“Hammamet” di Gianni Amelio

Discusso, amato, odiato, poi rimpianto, dimenticato, oggi riportato in vita da un grandissimo Pierfrancesco Favino in questo attesissimo “Hammamet”, per la regia del maestro Gianni Amelio, con un cast di primo livello, che comprende Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Giuseppe Cederna, Renato Carpentieri, Claudia Gerini, il rimpianto Omero Antonutti, Alberto Paradossi, sulle linee disegnate dalla sceneggiatura dello stesso Amelio e di Alberto Taraglio.

Bettino Craxi, rintanato sul finire del 20° secolo in quella Hammamet dove si era rifugiato per scappare dalla giustizia italiana, da Mani Pulite e dal fragore della sua caduta (lui fino a pochi mesi prima uno dei più importanti uomini politici del panorama mondiale, primo socialista a diventare Presidente del Consiglio) è ormai malato, stanco nel corpo ma non nella mente.
Vive circondato dalle guardie messe a sua disposizione da Ben Alì, il dittatore di quella Tunisia dove vive con la figlia, la moglie, il nipotino, in una villa fuori mano, dove riceve la visita del figlio rimasto in patria, dell’amante, di amici e misteriosi confidenti.
Intanto il suo stato di salute si aggrava, molti gli chiedono di tornare in Italia per le cure, lui rifiuta, riflette, confessa pensieri, idee, sensi di colpa e incredulità verso quel paese di cui era dominatore e padrone, senza sapere fino in fondo se tornare o rimanere nel suo sdegnoso esilio.

Hammamet riflette su uno spaccato scottante della nostra Storia recente. Sono passati vent’anni dalla morte di uno dei leader più discussi del Novecento italiano, e il suo nome, che una volta riempiva le cronache, è chiuso oggi in un silenzio assordante. Fa paura, scava dentro memorie oscure, viene rimosso senza appello. Basato su testimonianze reali, il film non vuole essere una cronaca fedele né un pamphlet militante. L’immaginazione può tradire i fatti realmente accaduti ma non la verità. La narrazione ha l’andamento di un thriller, si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia che lotta per lui, e un terzo personaggio, un ragazzo misterioso, che si introduce nel loro mondo e cerca di scardinarlo dall’interno.

Siamo ben lontani da “il Divo” di Paolo Sorrentino non tanto per natura e finalità, ma proprio per energia e ritmo, anche per poesia, che Amelio insegue con uno sguardo intimo, umano, ma che paradossalmente non emerge perché non stimolato, non pungolato dagli eventi o dai personaggi che gli si muovono attorno.
Ma è l’incertezza del percorso intrapreso, la sua natura ibrida (che però non può e non deve per questo essere confusa) e priva di coerenza con il personaggio in sé e la sua natura, a lasciare perplessi, ad emergere ancor di più mano a mano che si intuisce quanto il centro di tutto questo percorso sia Favino. Solo lui.

“Hammamet” infatti poggia completamente sulle sue spalle, sa solo che è innamorata del suo Capitano, il suo grande Capitano, Pierfrancesco Favino, che qui si supera, va oltre persino ciò che “Il Traditore” o “ACAB” avevano fatto pensare potesse essere il suo massimo.

Chi si aspettava di trovare un punto di vista chiaro e risolutivo sulla parabola di Bettino Craxi rimarrà probabilmente deluso dal nuovo film di Gianni Amelio. Insieme al cinema, spesso altre forme di intrattenimento hanno la capacità di insinuarsi nelle pieghe stropicciate della Storia senza distenderle, accontentandosi piuttosto di raccontare segni, cancellature e scarabocchi che si traducono in conflitti, contraddizioni e rimpianti. Forme come il teatro, ad esempio, cui Hammamet deve molto per almeno un paio di ragioni.
La maschera di Favino, innanzitutto. Il trucco è davvero impressionante (cinque ore e mezza ogni giorno, prima di girare), inoltre l’attore romano riesce a replicare sia andatura, tic e movenze dell’ex-capo del PSI, sia a far emergere i tratti tipici del proprio talento: è forse il solo in Italia in grado di padroneggiare così bene lo sguardo, insieme all’abilità di esprimere forza e compostezza nella stessa scena. Ma soprattutto il nuovo lavoro di Gianni Amelio sembra girato su un palcoscenico: è un prodotto “verboso”, in cui si parla davvero molto, per quasi tutta la sua durata. Craxi discute, parla con tutti, e quando affronta un dialogo a imporre la conversazione è solo e sempre lui. Autoritario e autorevole, ma anche ferito, scosso, claudicante e anche un po’ infantile.
Hammamet parte da qui, dalle confessioni di un ex-leader in un memoriale che non dà risposte ma invita a domandarsi perché una figura tanto importante per la politica italiana, nel bene e nel male, sia stata totalmente rimossa dalla memoria e dal dibattito dal giorno della sua morte, avvenuta esattamente vent’anni fa.

Piuttosto che essere una celebrazione o un tentativo di riabilitazione “Hammamet” è uno spaccato intimo e umano di un uomo al crepuscolo della sua esperienza, non solo politica, in cui si indagano le ragioni di un oblio che dura da vent’anni.

Riccardo Coloris

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