Il formicaio

Come ben ricorderanno gli amici di Kubrick, nel suo bellissimo film, “Orizzonti di gloria”, il soggetto della pellicola è appunto un formicaio, un nido di mitragliatrici ed uomini (tedeschi), che si oppongono ai ripetuti attacchi dalle trincee dei soldati francesi.
Il film, come ricorderete, è un meraviglioso inno alla pace, e, per certi versi, un inno alla pace dovrebbe essere un ospedale, un luogo in cui si ricoverano i malati, si curano e si accudiscono nel migliore dei modi.
Sono stato ricoverato per un certo periodo nell’anno 2019 nell’ospedale civile di Siena, e devo dire che, oltre ad alcuni aspetti positivi, ne ho riscontrati alcuni, in egual misura, negativi.
A parte la pulizia, che era tutto sommato diffusa e ben curata, quello che mi ha colpito è stato il comportamento delle infermiere e delle inservienti, che, a parte il consueto, continuo chiacchiericcio, manifestavano un certo atteggiamento, quasi familiare, verso i pazienti, quindi simpatico.
Quello che invece mi ha colpito negativamente, a me, reduce dalle cliniche svizzere, è stato il fatto che mancava una certa organizzazione di lavoro, cioè tu chiedevi un bicchier d’acqua e arrivavano in quattro; avevi bisogno di essere sollevato o spostato sul fianco dopo l’intervento operatorio, e c’era a disposizione una persona invece di tre o quattro, come sarebbe stato necessario.
Molto cuore, ma poca disciplina.
Certe volte sembrava, durante i lunghi pomeriggi di veglia, che tutto il luogo fosse un distributore automatico di salari più che un centro efficiente, come se bisognasse distribuire 1000 Euro a testa per soddisfare tutti (tutte) piuttosto che rispondere ai bisogni di un’efficienza ospedaliera o clinica, che a me sembra essere un dovere assoluto.
La cosa che mi ha fatto più sorridere è stata la vicenda del mio vicino di stanza, il signor P., il quale era un signore senese e sembrava conoscere molto bene il funzionamento dell’ospedale, anche perché, fra l’altro, ci abitava molto vicino.
Doveva operarsi il giorno seguente e mi raccontò che il suo chirurgo, colui che l’aveva operato la prima volta, gli aveva assicurato che si trattava di un veloce intervento di routine, di circa un’ora.
Era lì tutto tranquillo, spiritoso e ci raccontavamo aneddoti ospedalieri con una certa simpatia.
Tale suo atteggiamento mutò radicalmente quando, verso sera, il chirurgo che doveva operarlo il giorno dopo, alle 7 di mattina, gli spiegò la procedura dell’operazione, da cui risultava che la durata della stessa poteva essere anche di 5 o 6 ore.
Ciò detto, il medico se ne andò.
A questo punto, il signor P., bianco in volto, mi disse che gli avevano mentito spudoratamente e che di quello che gli era stato detto poc’anzi lui non era mai stato informato ed erano passati molti mesi dal primo intervento, che sembrava non aver avuto il successo sperato.
Io gli replicai dicendo che anche a me era successo di aver subito un ritardo enorme rispetto al previsto per il secondo intervento, quello di ricanalizzazione, e che a quel punto non si poteva far altro che aspettare, soffrire e sperare.
Tutta la gaiezza del mio vicino se ne era andata e lo sentì borbottare tutta la notte.
Come sapete, le notti passate in ospedale non sono fra le più allegre, quindi io ebbi un sonno un po’ disturbato.
Comunque verso le 6.30 di mattina mi svegliai e vidi un’ombra che percorreva la stanza con un borsone in mano.
Era il signor P., il quale, dal momento che ero sveglio, mi disse francamente che lui non se la sentiva di esser sottoposto all’intervento chirurgico.
Quindi lui stava tagliando la corda: non gli sembrava giusto che i medici non lo avessero informato, a tempo debito, della lunghezza dell’intervento stesso.
Ciò detto, riempì il suo borsone, mi salutò educatamente e a gambe levate se ne andò, senza farsene accorgere dalle infermiere.
Alle 7 arrivò la squadra d’intervento, vide il letto vuoto e mi chiese dove fosse il signor P., io risposi che era scappato mezz’ora prima e non sapevo dove fosse, visto, fra l’altro, che dovevo pensare ai punti miei.
Ecco, questo è un esempio di quel tipo di disciplina, di ordine ospedaliero, che manca in Italia.
Questo sicuramente in Svizzera non sarebbe stato possibile, poiché ogni domanda del paziente avrebbe ricevuto una risposta logica e di buon senso.
Così è la vita: speriamo che dopo la terribile batosta del Coronavirus, qualcosa cambi (in meglio).

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