L’ “Urlo” di Papa Francesco.

 

“Laudato si’”, la prima enciclica sull’ambiente. Un vero “Urlo” a fronte dell’indifferenza e del pressappochismo.

Uno dei momenti fondamentali dell’attività papale di Papa Francesco

“Laudato si’, sulla cura della casa comune”. È questo il titolo dell’Enciclica di Papa Francesco sui temi ambientali.

Il punto centrale? 

 «La terra è ferita, serve una conversione ecologica».  

Ecco che cosa dice l’enciclica…ecco cosa ci lascia (con molto altro) un Pontefice lungimirante, intelligente e aperto.

La costernazione per la morte di Jorge Bergoglio conosciuto da tutti come “Papa Francesco”, la tristezza mista a preoccupazione per “quanto puo’ succedere dopo”, ci porta – immediatamente – a riprendere qualcuno dei passi fondamentali del suo importante Pontificato. Fra questi l’ “Enciclica Laudato sì”.

In attesa di capire di più su cause della morte, eventuali “strapazzamenti” non adatti all’età e alla condizione fisica, reazioni interne ed esterne al Vaticano, ci limitiamo a rilanciare quanto, per noi, è stata ed è una pietra miliare: l’enciclica “Laudato si'”. 

È un enciclica per tutti, non solo per i Cristiani. Si trattò di  una lettera molto importante perché per la prima volta la Chiesa Cattolica pubblicò un documento ufficiale sui temi dell’ambiente e della sua salvaguardia.

Non che uomini di Chiesa e cristiani non abbiano mai preso in considerazione il tema (per esempio, San Francesco d’Assisi nel 1200, che viene citato proprio nel titolo dell’enciclica). Ma il documento di oggi fa parte del Magistero (cioè dell’insegnamento sommo) della Chiesa. È la voce ufficiale e autorevole della Chiesa Cattolica.

L’enciclica è stata scritta personalmente da papa Francesco (insieme a diversi esperti e scienziati) e – un paio di giorni prima della promulgazione – è stata inviata via mail a tutti i vescovi (e sono migliaia).

Ma – la premessa è d’obbligo – non è un documento scientifico, è un documento spirituale che invita prima di tutto a una «conversione ecologica». La salvaguardia dell’ambiente è collegata alla giustizia verso i poveri e alla soluzione dei problemi di un’economia che persegue soltanto il profitto. Le tre questioni non possono essere disgiunte e, infatti, il tema ambientale viene trattato da Francesco in un contesto più ampio, quello della dottrina sociale della Chiesa.

Ma che cosa dice questo documento – che si può scaricare e leggere cliccando qui – diviso in 6 capitoli e lungo ben 246 paragrafi? Il punto di partenza è l’analisi dei dati scientifici ma papa Francesco non desidera intervenire nel dibattito scientifico o stabilire in quale percentuale il riscaldamento globale sia causato dall’uomo. Questi temi sono appannaggio soltanto degli scienziati. Però Francesco intendeva spiegare che «esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico», dovuto per la maggior parte alla grande concentrazione di gas serra. L’umanità deve «prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo».

Il Papa prende in considerazione lo scioglimento dei ghiacci e la perdita della biodiversità. Gli impatti più pesanti «probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo». «Perciò è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente». Il quadro che racconta Francesco nel primo capitolo della sua enciclica è deprimente: deterioramento della qualità della vita umana e della degradazione sociale. Il punto di vita del pontefice è quello di un teologo: Francesco ricorda che «l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme» colpendo i più deboli.

Problemi che «non trovano spazio sufficiente nelle agende del mondo».

Strigliata politica

Le parole di Francesco non ammettevano (e non ammettono oggi, con Francesco che ci guarda da lassù) sconti: a sei mesi dalla prossima conferenza sul clima (siamo nel 2015, prossimi alla Conferenza di Parigi), il pontefice invitava i grandi della Terra a cambiare registro, a fare passi in avanti considerevoli: denunciava «la debolezza della reazione politica internazionale» e «molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti».

Esiste un «debito ecologico» tra il Nord e il Sud:«Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra». I Paesi sviluppati devono contribuire a «risolvere questo debito» ecologico. Come? Il pontefice suggeriva di limitare «in modo importante il consumo di energia non rinnovabile». Mentre i Paesi più poveri «hanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impatto ambientale». Queste situazioni richiedono un «sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi».

«I poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria», oggi (e ieri, alla data della promulgazione dell’Enciclica) «qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta». Di fronte all’esaurimento di alcune risorse si va creando «uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni». La politica dovrebbe essere più attenta, ma «il potere collegato con la finanza» resisteva (e resiste oggi più che mai)  a questi sforzi.

Diversità di opinioni. 

Il Papa riconosceva che c’è diversità di opinioni sulla situazione e sulle possibili soluzioni. Citava (nelle molte occasioni di commento all’Enciclica)  due estremi: chi sostiene che «i problemi ecologici si risolveranno semplicemente con nuove applicazioni tecniche, senza considerazioni etiche né cambiamenti di fondo». E chi ritiene «che la specie umana, con qualunque suo intervento, può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta». La Chiesa su molte questioni concrete «non ha motivo di proporre una parola definitiva», «basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune». Parole Sue. Non nostre di questa Redazione o di qualcuno di noi…

Il punto di vista dell’enciclica nel proseguio del documento è la responsabilità morale degli uomini che – con i loro comportamenti – influiscono su ambiente, inquinamento, riscaldamento globale e – in ultima analisi – di come possiamo impedire tutto questo. E il papa chiama tutti a una conversione ecologica. Il Papa invitava a cambiare rotta: a impegnarsi al salvaguardia dell’ambiente, della nostra casa comune. Lo faceva nel 2015, in prossimità della Confetrenza sul clima di Parigi, quella boicottata da alcuni Stati importanti (in primis gli Stati Uniti di Trump 1) e vissuta come “una necessità obbligata” quasi “una noiosa vetrina” da molti altri rappresentanti di stati importanti a livello mondiale.  In fondo…la richiesta era un “cambiamento globale” e questo cambiamento erano in pochissimi a volerlo. 

Ritornando al testo dell’Enciclica affermava , testualmente, che inquinare, contribuire al riscaldamento globale, alla deforestazione è – in fondo – un peccato.

La parte teologica. 

Quando il papa, a partire dal secondo capitolo introduceva gli aspetti di fede lo faceva con un preambolo molto chiaro: «perché inserire in questo documento, rivolto a tutti le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede? Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe».

A partire dalla panoramica tracciata, Papa Francesco riprende nel secondo capitolo alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana. Lo fa (lo faceva) con grande rispetto delle posizioni di tutti: «Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità […]. Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione» (n. 63). Vengono così di seguito presentate la testimonianza dei racconti biblici, le sfide poste dal mistero dell’universo, la rilevanza di ogni creatura nell’armonia di tutto il creato, l’urgenza di una comunione universale, la consapevolezza teologicamente fondata della destinazione comune dei beni, fino alla presentazione dello sguardo di Gesù sul mondo e l’umanità che lo abita. In ascolto dell’esegesi più avvertita, papa Francesco ricordava che i testi biblici, letti «nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, […] ci invitano a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr Gen2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (n. 67). […]

Nel terzo capitolo l’Enciclica approfondiva (e rendeva “chiarissime”) le radici della situazione attuale, in modo da cogliere non solo i sintomi ma anche le cause più profonde di essa.

Un’osservazione di fondo contestualizzava l’analisi: «Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo» (n. 104). Un grande rischio sta nella mentalità che l’enorme crescita tecnologica aveva (ed ha) contribuito a diffondere: «Ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti» (n. 106). Si è fatto strada nelle coscienze «un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile» (n. 116). A questa responsabilità si oppone il relativismo pratico, che dava, secondo bergoglio (e continua a dare), assoluta priorità agli interessi contingenti e trascura le prospettive di lungo termine. Al contrario, un giusto senso di responsabilità viene favorito dall’attenzione alla dignità del lavoro: «In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro […].

Il quarto capitolo dell’Enciclica è dedicato (era, è e sarà dedicato, vista l’importanza dell’oggetto)  alla proposta di un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Partendo dal principio che «tutto è connesso» (n. 138), se ne deduce che la natura non può essere considerata «come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà» (n. 139).

È (era e sarà ancor di più) necessario, perciò, cercare soluzioni integrali, «che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (ibidem). Ne consegue l’inseparabilità dell’ecologia ambientale, economica e sociale dall’ecologia culturale, che investe le mentalità e richiede il rispetto oltre che della natura anche del patrimonio storico, artistico e culturale di una comunità o di un popolo, spesso ugualmente minacciato (n.143), e dall’ecologia della vita quotidiana, che coinvolge ogni abitante del pianeta nelle sue abitudini e nei suoi comportamenti. In quest’ottica, papa Francesco propone riflessioni molto significative su una possibile «teologia della città» e sulle conseguenze di essa, di cui occorrerebbe tener conto: «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce» (n. 151). […]

Il capitolo quinto proponeva (e, di fatto, ancora oggi ne + un aspetto portante) alcune linee di azione in rapporto alle sfide e ai compiti delineati: l’idea chiave è quella del dialogo, a partire da quello sull’ambiente nella politica internazionale, a quello finalizzato allo sviluppo di nuove politiche nazionali e locali, al dialogo come metodo inseparabile dalla trasparenza nei processi decisionali, a quello fra politica ed economia in vista della promozione dell’umano, fino al dialogo fra religioni e scienze nel servizio alla causa ecologica. Il presupposto di queste diverse forme di dialogo è il «concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune […].

Un progetto comunce che riguardava tutto il mondo

L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (n. 164), specialmente per favorire la «transizione energetica» e l’opzione condivisa per le energie rinnovabili.In proposito, Francesco non esita a denunciare come in questo campo «i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale» (n. 169), e manifesta ancora una volta la sua preoccupazione per i popoli e le categorie più deboli del pianeta. «Anche in questo caso, piove sempre sul bagnato» (n. 170).

Qui l’Enciclica ribadiva l’urgenza segnalata da Benedetto xvi e da diversi dei suoi predecessori di arrivare a un’autorità politica mondiale in grado di intervenire sulle scelte che riguardano il bene di tutti e tutelare i più poveri, privi di mezzi di espressione e di difesa (n. 175). «La grandezza politica – osserva il Papa – si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune a lungo termine» (n. 178). La responsabilità verso l’ambiente e le generazioni presenti e future deve coniugarsi alla lungimiranza, alla capacità di fare talvolta anche passi indietro o di rallentare ritmi eccessivi, alla scelta della sobrietà come valore inseparabile dalla solidarietà. È nella proposta e nell’esercizio di queste prassi che le religioni possono avere un ruolo fondamentale nel superamento della crisi ecologica mondiale.  Ecco allora che l’espressione da “Urlo di Munch” che abbiamo scelto per ricordare il nostro Francesco assume valore universale e, purtroppo, di forte denuncia.   Ma chi ascolta e ascolterà questo urlo?

L’ultimo capitolo, il sesto, era intitolato (e mai titolo fu più azzeccato), «educazione e spiritualità ecologica»: esso muove dal bisogno di cambiamento che l’umanità non può non avvertire alla luce delle sfide e della posta in gioco rappresentate dalla salvaguardia del creato. Occorre anzitutto puntare su un altro stile di vita, educando all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente, stimolando a quella che può chiamarsi la «conversione ecologica», che sola sarà foriera di una vera gioia e di una pace duratura. Occorre che cresca nelle coscienze l’amore civile e politico, che sia nutrito nei credenti dalla ricchezza dei segni sacramentali e dall’esperienza del riposo celebrativo insegnato dalla tradizione biblica. Al fondamento di tutto, però, dovrà esserci una rinnovata percezione del rapporto fra la Trinità divina e la relazioni tra le creature, che trovano in essa il modello esemplare e la sorgente della forza necessaria a sostenere comportamenti solidali e responsabili finalizzati al bene di tutti. «Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare» (n. 204). […]

Una conversione personale, spiritualer premessa per quella “ecologica”

La sfida ambientale si congiunge così a quella educativa, fondata sulle possibilità dell’essere personale a crescere nella consapevolezza delle proprie responsabilità e ad agire di conseguenza in maniera ecologicamente sostenibile e solidale, anzitutto nell’ambito della famiglia. Occorre creare una «cittadinanza ecologica», in cui reciprocamente ci si aiuti ad «aver cura del creato con piccole azioni quotidiane […] fino a dar forma ad uno stile di vita» (n. 211). Occorre sviluppare una vera e propria «spiritualità ecologica», fondata nella sequela di Gesù, di cui Francesco d’Assisi è testimonianza eloquente: «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (n. 217). Veramente si può sperimentare in questo campo come sia vero che «meno è di più […]. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose» (n. 222). Questa spiritualità è fortemente nutrita dalla partecipazione agli eventi sacramentali e in particolare all’eucaristia, che «è fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (n. 236), specialmente nella celebrazione domenicale e festiva, dove lo spazio del riposo e della festa ci aiuta a gustare il dono di Dio nel creato intero (cfr n.237). Si sperimenta così come l’universo viva nel grembo della Trinità e il Dio vivente si offra in tutte le Sue creature al riconoscimento e all’adorazione della Sua trascendenza e della Sua provvidenza (cfr nn. 238-240). Modello della creatura che percepisce tutto questo in umiltà e amore è la Vergine Madre Maria, «Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza. Lei non solo conserva nel suo cuore tutta la vita di Gesù, che custodiva con cura, ma ora anche comprende il senso di tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che ci aiuti a guardare questo mondo con occhi più sapienti» (n. 241).

L’Enciclica si conclude con testi di contemplazione semplice e profonda: in particolare, Francesco proponeva due preghiere, l’una offerta a tutti i credenti, la seconda specificamente ai cristiani. Emerge ancora una volta la sensibilità dialogica di questo Papa, che ha scritto le pagine di Laudato si’ con costante attenzione all’altro, tanto all’esperto di questioni ambientali, quanto a ogni persona desiderosa del bene comune, sia al credente non cristiano, che al discepolo di Cristo Gesù. tutti fattori che ci rendono ancora più pesante e difficile da sopportare questa “perdita”. Un tassello fondamentale negli equilibri interni al vaticano, come negli equilibri internazionali, mai come oggi bisognosi di una parola matura, informata, consapevole e aperta. Una ferita che sarà difficile rimarginare. 

Grazie Papa Francesco. E non aggiungiamo altro. Solo la speranza che la tua voglia di comparire anche in condizioni difficili, estreme, dopo i ripetuti ricoveri ospedalieri, valga come monito e come invito a migliorarsi…sempre. A non abbandonarsi al nulla, alla disperazione e all’isolamento. Tutti segnali verificabili della presenza del “maligno”. 

 

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