La maledizione di Marengo o la ragione delle storie

 [1]  Due o tre mesi fa s’è riparlato di Marengo Hub, per molti solo un’ennesima iniezione di quattrini per rianimare la defunta Marengo napoleonica. Cioè la riprogrammazione d’un film in cartellone dagli anni ’90 prima con un ostello per la gioventù e un centro congressi ed eventi, poi con un museo …. ma sono mancati i giovani, i congressi, gli eventi e i visitatori. Nel frattempo è stato decapitato il grande trompe-l’oeil del monumento; nella corte nord è cresciuta un’incongrua e ingombrante piramide di ruggine; ed è di fatto scomparso l’unico segno davvero napoleonico del sito, cioè la colonna con l’aquila degli austriaci sconfitti, finita tra altissime siepi e alti guardrail nel cul de sac d’un battutissimo bivio stradale. In compenso emerge poco distante, un’insegna luminosa al neon “simil-Napoleone trionfante” e di incerto orientamento. Da lontano il sito è identificabile solo e sempre per la torre medievale dei Gamberini detta di Teodolinda, mentre la presenza napoleonica tende a svanire finite feste e celebrazioni: al punto che, dopo il flop dei revival bonapartisti degli ultimi trent’anni, qualcuno dei responsabili ha accusato Marengo di “portare sfiga” (sic)!

La mala sorte è inconsueta come categoria storiografica e culturale, ma perché non verificare?

Certo non se parla per il 14 giugno 1800 e neppure per il maggio 1805 quando Napoleone, in strada per Monza, sostò a Marengo per una commemorazione. Per l’occasione gli alessandrini Ghilini e De Giorgi avevano chiamato la ninfa Marica, l’eponimo duce ligure Mares, il nobile marincano Rufino Gamberino (ch’era stato con Rolando e Carlo Magno a difendere Marengo contro Desiderio): insomma il Gotha degli eroi indigeni apriva le porte del Pantheon “mandrogno” al grande Corso che “in guerra, e in pace più ammirare farassi – più d’ogn’altro grande Eroe d’ingegno adorno”. La cerimonia filò liscia anche se l’imperatore andava così di fretta da non lasciar né un monumento né la prima pietra della Ville des Victoires dove pensava di trasferire gli alessandrini. Se la Ville svanì per sempre, Marengo riemergerà dopo quarant’anni con l’alessandrino Delavo che vi eresse il primo memorial napoleonico d’Europa. Delavo ci mise quattrini e progetto, ma il mentore era Carlo Alberto che voleva irritare – colla celebrazione del mito di Marengo e di Napoleone – la Francia e l’Austria restie a dar spago all’espansionismo sabaudo. L’inaugurazione il 14 giugno 1847 fu un successone ma l’anno dopo scoppiò un tale “quarantotto” che tutto cambiò e la “jella” s’appiccicò su Delavo e la sua villa che, dopo il ’48, non interessava più i nostalgici d’oltralpe. Questo perché Presidente della Repubblica francese era divenuto Carlo Luigi Napoleone Bonaparte affettuosamente detto Napoléon le Petit: lui, solo a sentire il nome del grande zio, sclerava di brutto al punto che, sceso ad Alessandria per la seconda guerra d’indipendenza, non volle neppure metter piede a Marengo.

Così tutto tornò nell’oblio fino al nuovo secolo: il centenario di Marengo del 1900 era ghiotta occasione per esaltare l’Alessandria risorgimentale aggiungendo sul medagliere cittadino – oltre al 1821, al 1833 e al 1859 – il 14 giugno 1800 come prima battaglia per l’Unità: di più, il Napoleone autocrate e condottiero risultava politically correct in linea con le tendenze autoritarie e militariste di re Umberto I. Avviato nel ’97, il programma prevedeva studi, congressi internazionali e pubblicazioni di storici italiani, francesi e germanici e le cose filarono senza intoppi fino al ’99 quando una coalizione di sinistra – che non aveva a cuore né Napoleone, né Marengo, né le ambizioni umbertine – conquistò il Comune di Alessandria. La Giunta resse poco, ma abbastanza per tagliare dal bilancio del 1900 i fondi per le celebrazioni del centenario che, ovviamente, non si poté celebrare: per il sovrano, benché coinvolto solo idealmente, andò peggio perché poco dopo l’anniversario a Monza incontrò l’anarchico Bresci.

Difficile ignorare una “sfiga” tanto manifesta: al punto che per evitarla quando venne alla luce nel ’28 il “tesoro di Marengo”, proprio non se ne volle sapere, lo si fece emigrare e finire come “star” d’un museo torinese, mentre chi quel tesoro aveva trovato, non ne ricavò che grane, tante e brutte.

Ancora cinque o sei lustri e villa e parco passarono alla Montecatini di Spinetta che ne fece un dopolavoro sportivo: il Comune di Alessandria lasciò disperdere (per scaramanzia, ovvio) sala d’armi e carrozza di Napoleone, e nell’ala nobile ottenuta in uso mise insieme un piccolo museo con un grande plastico della battaglia e una raccolta di stampe commemorative del 14 giugno 1800. Sciolto negli anni ’70 il dopolavoro, nel museo mai davvero funzionante non restava che il plastico, cioè l’unica cosa di nessun interesse per i visitatori abusivi. Ancora una volta, dunque, Marengo napoleonica era durata quanto una bolla di sapone.

Di lì a non molto villa e parco passarono alla Provincia di Alessandria che, insensibile all’aura negativa di Marengo, si giocherà l’appuntamento del bicentenario senza riguardo per il “trapassato remoto” del sito: il programma non ammetteva deviazioni da Napoleone e dalla battaglia. Così piovvero libri, cartoline, annulli postali, rievocazioni in costume, congressi, sparatorie e fuochi d’artificio, conferenze e seminari: tutto come 100 anni prima e senza alcun rischio elettorale (benché si bisbigliasse d’una mossa per ipotecare la poltrona di Primo Cittadino). La mala sorte ‘sta volta si manifestò con una performance di straordinaria entità e durata di Jupiter pluvius. Nel pantano risultante, al momento di tirare le somme, uno dei responsabili si sfogò prendendosela con la “sfiga” di Marengo; la stessa che resterà appiccicata al sito e al suo nuovo “museum” (?) per il ventennio successivo, tanto da sconsigliare ulteriori ipotesi di rianimazione.

Eppure nel 2013 il sito era salito agli onori della grande cronaca grazie al successo della rimpatriata del Tesoro di Marengo che in tre o quattro mesi attirò molti, anzi moltissimi visitatori in più di quanti non ne abbia attirato il Marengo Museum in un quindicennio. Nessun problema intervenne a turbare l’esposizione che durò più del previsto: e se è vero che l’evento si tenne ad Alessandria, è non meno certo che sarebbe andato anche meglio a Marengo!

Esorcismo o distrazione della “jella”? No, l’unica differenza evidente rispetto alle altre vicende narrate è che all’esposizione del Tesoro mancava Napoleone, tuttavia presente in carne e ossa nel 1805: e quella volta le cose erano andate tanto bene che poco dopo, a Monza, l’imperatore aveva incontrato la corona ferrea anziché la pistola di Bresci.

A questo punto il motivo determinante emerge chiaro come l’acqua. Nel 1805 tutto il solitamente schivo Pantheon “mandrogno”era stato convocato per cooptare Napoleone: cioè le stesse storie anche antagoniste e le sfuggenti presenze che la rimpatriata del Tesoro aveva rievocato e che, pur avendole apprese da Marengo antico e moderno (1842), Delavo aveva escluso dalla sua villa e dalla sua festa. Così come – coincidenze davvero stupefacenti – sarebbe successo alle vigilie del centenario e del bicentenario con gli importanti segnali rilasciati l’una e l’altra volta dal sito di Marengo: il revival delle storie di Maino della Spinetta, e le antichissime selci scheggiate della regione “Trono”, e i sepolcri millenari o poco meno …. Segni espliciti che nel 1847, nel 1900 e nel 2000 nessuno seppe vedere o preferì ignorare.

No, non è “sfiga”: è che la storia di Marengo non può chiudersi nell’epopea di 24 ore. C’è un tale spessore prima del 14 giugno 1800 che Napoleone deve farsene una ragione: per avere il suo posto nel Pantheon di Marengo dovrà acconciarsi a chiedere il permesso a Carlo Magno, Aleramo, Barbarossa (e a Mares con mamma Marica, a Baudolino da Foro, a Rufino Gamberino, a Maino di Spinetta, ecc.). E, con buona pace dei bonapartisti e maggior impegno di archeologi e medievisti, caro Napoleone, dovrai convivere con eroi e semidei mandrogni persino il 5 maggio 2021 se vorrai che Marengo ti ricordi nel bicentenario della tua morte.

di Guido Ratti

  1. Guido RATTI, Alla periferia del mito. Luci e ombre su Marengo nel secolo XIX, Alessandria, Boccassi e Fissore ed., 1997

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