La poesia delle mani

ARBANELLA - BEATRICE MINUTO - Il Pampano - interior | lifestyle | kids                              

Camminare per i carugi liguri con lo sguardo attento e il cuore aperto allo stupore, non può che portare a fecondi incontri.

A Celle Ligure, un piccolo paesino che in questi vicoli ancora mostra il Genius Loci in attività, la porta di una piccola vetrina, aperta al passante, ti chiama ad una sosta.

Nel laboratorio ceramico di ARBANELLA si forma la forma così come il Poeta forma la Parola.

Quella Parola non vana che ancora sa mettere insieme la pienezza del senso dell’innocenza di un gesto e la gentilezza di un sentimento.

Qui dentro ogni oggetto della nostra quotidianità si eleva ad una universalità ancestrale e nostrana, segno e dono di una perenne freschezza d’animo.

Anche le cose piangono”, dice un verso di una mia poesia e mai come da Arbanella incontri le mani curatrici, quelle che trascendono la mera fisicità, quelle mani che sanno rimettere al posto giusto la sacralità sacramentale delle cose che si amano, quelle mani che interrogano la cruciale e necessaria esperienza dell’equilibrio tra la verticalità e l’orizzontalità delle cose del mondo, tra tempo e perennità.

Non a caso l’ideatrice e creatrice di Arbanella si chiama Beatrice. Uno dei femminili della Commedia dantesca, la Donna-Anima che conduce alla luce quello che da dentro chiama e che necessita di una spinta arditamente amorevole.

Beatrice, come molti giovani d’oggi, ha seguito la via della tecnologia, con lo strumento del computer applicato allo studio del design, lascia la campagna per la città, a Milano, quella che una volta era la città del “laurà “, città oggi inascoltata e lasciata nelle grinfie diaboliche della globalizzazione.

Ma che bello avere il coraggio di ascoltare il proprio Daimon !

Quella vocetta sotterranea e suadente, quella vocetta che ti chiama e che non vorresti se ntire, quella vocetta che ti sfida, che non ti dà tregua, che ti chiede di divenire quello che sei, non quello che vorrebbero farti essere.

E così la giornata del fai questo e fai quello, della fretta e più in fretta, del fare per “ fa i danè” ti si rattrappisce addosso come un panno di lana dentro la centrifuga della lavatrice. Non ce la fai più.

Sul computer le tue mani non sono più in linea diretta col tuo cuore e la tua testa, sul PC le mani diventano protesi insensibili, gelidi strumenti che mortificano la sublime passione della Creazione.

Siamo noi il capolavoro dell’Artigiano, quel humus che si trasforma modellando creta e anima, quella terra divina che ci consente l’approdo nella vera Vita, quella per cui siamo stati creati: “ che sia Vita, e Vita piena “.

L’Arte dell’ascolto, ecco quella che Beatrice ha praticato, ha saputo ascoltare il suo Daimon, perchè ha capito che la vera scelta è senza scissione alcuna. Sentire è capire, ma capire non è sentire . E Beatrice ha sentito che se non passava attraverso la “crocefissione “, moriva. E’ così che si muore da vivi.

Beatrice ha lasciato tutto, quella città disumanizzante, seppur diabolicamente invitante, quella possibilità di lavoro, quello strumento che certo ci può dare una mano, solo a patto di non farci fagocitare, perchè la tecnologia non è neutra.

I lavori di Arbanella sono la Poesia delle sue mani, un rapporto diretto con la profondità delle cose del mondo e della vita.

Qui si evitano i preamboli e l’inutilità dei metodi, qui ci si ascolta come esseri umani, unici e irripetibili.

Chi mi paga la noia di fare sei cose tutte uguali!” , dice l’Artigiano a chi gli chiede di realizzare in serie quello che le mani realizzano arditamente appassionatamente ogni volta, è solo in questo modo che la gioia nasce dentro di noi, e la gioia non ha contrario, è un fiore che sboccia dentro in armonia col cosmo intero.

Ogni cosa una volta, una volta soltanto. Una volta e non più. E anche noi una volta.

Mai più. Ma quest’essere stati una volta, anche una volta sola, quest’essere stati terreni pare irrevocabile.”

Ecco come il poeta Rainer Maria Rilke ci illumina la via, quella via che Beatrice ha saputo scegliere e percorrere, la via dell’onesta verso sé stessi, inseparabile dall’onestà verso il mondo e verso l’invisibile, la via dell’umiltà dell’ humus che niente, meglio della terra sa farci vivere, mostrandoci tutta l’insensatezza del crederci padroni in casa nostra. Solo se ci arrendiamo ci troviamo, solo se hai il coraggio di perderla, l’identità la troverai.

Siamo api dell’invisibile – dice ancora Rilke – e io l’ho vista un’ape sostare felice su un’opera di Beatrice, succhiava il nettare dalla mani della Poesia.

di Patrizia Gioia

 

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