Le molte ambiguità (e le molte bufale) del centrodestra

Raccogliendo il materiale per scrivere questo pezzo, mi sono ben presto accorto di quanto avrei dovuto dilungarmi (e assillarvi) nel tentativo di rendere conto appieno delle palesi incongruenze, delle plateali divergenze, delle disinibite contorsioni che stanno costellando la campagna elettorale del centrodestra. Così, ho deciso di concentrarmi essenzialmente sul duello in corso fra i due leaders che sostengono il peso maggiore della coalizione, le due “gambe” principali su cui poggia: da una parte, la Lega di Salvini in formato esportazione per allargarsi al Sud: dall’altra, Forza Italia nel solito modello berlusconiano, un tantino appesantita dall’età del capo che di anni ne conta 81 ormai.

Quanto agli altri due sostegni, se quello costituito dalla Meloni prova faticosamente a smarcarsi da Salvini, la quarta gamba è stata concepita, voluta e creata solo ed esclusivamente a favore di Berlusconi. Quindi, stia ben ferma e soprattutto stia lì dove l’ha piazzata il cavaliere. In caso di un’auspicata vittoria risulterebbe utile a moderare le pretese salviniane; dopo un pareggio, potrebbe rivelarsi essenziale nel favorire un saltafosso con il centrosinistra, le cui propaggini più moderate sono appostate, speranzose, appena più in là.

E qui siamo alla prima, forse più eclatante contraddizione fra i due leaders. Salvini giura tutti i giorni – e c’è da credergli – che lui mai e poi mai “si metterebbe con la sinistra”. Berlusconi approva, plaude, concorda, ma tant’è. Appena sbarca in Europa, cambia immediatamente registro perché il suo partito sta nei Popolari europei, perché lui sa bene quanto conti la Comunità Europea e perché gli serve un avallo da quella parte lì.

Già, perché? Ricorderete benissimo i sorrisini tra Sarkozy e la Merkel, appena qualche anno fa, sorrisini che tra Macron e Merkel potrebbero ripetersi. Ricorderete poi che Berlusconi non può candidarsi, in attesa di un pronunciamento dell’Alta Corte Europea di Strasburgo che non arriverà prima di fine anno. Ecco il motivo per cui l’ex cavaliere sta andando in giro ad affermare l’eventualità e la possibilità di un secondo turno elettorale, qualora nessuno vincesse al primo. “Nessuno”, in questo caso, si riferisce a lui perché è sotto gli occhi di tutti come i sondaggi ci dicano che l’unica coalizione in grado di superare il fatidico 40% dovrebbe essere quella di centrodestra e, al suo interno, sia in vantaggio proprio Berlusconi.

La seconda ambiguità, con conseguenti bufale, corre parallela ai gommoni dei migranti che solcano il Mediterraneo (e troppe volte ci muoiono). In questo caso è Berlusconi che si vede costretto a rincorrere la Lega, sulla spinta dall’onda montante contro l’immigrazione. Il Cavaliere non può permettere che Salvini lo sorpassi e, dunque, si adegua. Ma, come gli capita di solito, rilancia: cacciamo a casa loro 100.000 immigrati? 200.000? 300.000? Suvvia, facciamo subito 600.000, che risultano essere – decina più, decina meno – il numero degli illegali sparsi sul territorio nazionale.

Qui, ambiguità e bufale si sprecano perché nessuno si ricorda di dirci quanto costerebbe allo Stato italiano rintracciare tutta quella gente e rispedirla a casa, quanti anni servirebbero per compiere uno sforzo di tale portata e quali sarebbero i costi di un immigrato accolto, comparati con quelli che servono a cacciarlo via. Come si vede, un balon d’essai più che una proposta ponderata. Ma, si sa, il tema è caldo, caldissimo e ci sono in ballo voti, tanti voti.

Anche sul tema caldo delle tasse ci sono tanti voti. Dunque, non stupisce che Berlusconi e Salvini intervengano a più riprese, abbassando di volta in volta il limite massimo della tassazione, rincorrendosi tra loro. L’ultima trovata è quella della flat tax, che punta a ridurre tutte le aliquote IRPEF ad una sola. Secondo Berlusconi e Salvini, l’aliquota unica porterebbe a una maggiore equità fiscale, all’emersione dell’evasione e persino a un aumento complessivo del gettito per lo Stato. Secondo molti economisti, invece, capiterebbe ben altro. Riassumendo:

  • una flat tax intorno al 23-25% risulterebbe vantaggiosa soltanto per chi ha un reddito superiore ai 25.000 euro l’anno. Al di sotto, non capiterebbe proprio niente, anzi i contribuenti potrebbero averne svantaggi per la perdita di sussidi e contributi vari;
  • ecco perché il centro-destra si è affannato in questi giorni a proporre correttivi per sanare gli squilibri più evidenti in entrambe le direzioni. Ma c’è poco da correggere perché rimane un’evidenza: i benestanti ci guadagnano mentre i poveri non risparmiano nulla e può capitare che ci perdano.

Insomma, per concludere, una specie di Robin Hood alla rovescia, in barba al principio costituzionale che prevede la progressività della tassazione secondo la capacità dei cittadini. Ma, intanto, Berlusconi dà fiato alle trombe e azzarda una promessa strabiliante: tra flat tax, privatizzazioni e condoni vari, il nostro debito pubblico sarà domato in pochi anni, scendendo dal 130 al 100%.

Un mago della comunicazione. Non c’è paragone che tenga.