I leader che mancano a sinistra

Uno sguardo anche superficiale all’ultimo sondaggio di Ipsos commentato da Pagnoncelli sul Corriere ci dice che la destra ha saldamente in mano le prossime elezioni. Trainata da un fattore in cui, da anni, è egemone nello schieramento partitico: la leadership. Prima con Berlusconi, poi con Salvini, più di recente con la Meloni, il centrodestra è riuscito ad allinearsi al trend di tutte le democrazie occidentali: vince chi ha il leader più forte.

Il centrosinistra, al contrario, continua ad essere ostile a questa svolta. A parole, comincia a fare qualche concessione. Ma appena si fa avanti un potenziale capo di qualche carisma, si affrettano a tagliargli le ali. Renzi è il caso più eclatante. Direte voi, se l’è andata a cercare. Ma a metterlo con le spalle al muro erano stati i vecchi oligarchi, contenti di riprendersi il partito anche se ormai ridotto in briciole. La stessa sorte era toccata a Veltroni, silurato malgrado avesse avuto il miglior risultato storico della sinistra alle elezioni. In raffronto, provate solo a immaginare cosa sarebbe successo a Salvini se avesse commesso il suo autogol giocando nell’altro campo. Invece di rispedirlo a casa, i maggiorenti leghisti hanno incassato, trovato qualche aggiustamento e lasciato che il segretario riprendesse quota. E il loro partito insieme a lui.

Potremmo discutere a lungo sulle origini di questa sindrome suicida della sinistra, ma il problema immediato non cambia. E il problema è che, esaurita la parentesi del governo Draghi, il centrodestra incasserà una squillante vittoria. Certo, c’è ancora l’ipotesi che, se Meloni continua a crescere, si apra una sanguinosa contesa per la guida della coalizione. Ma, magari dopo un po’ di baruffa, troveranno una soluzione. Invece, dall’altra parte, cosa possono combinare? Mettetevi per un momento nei panni dello stato maggiore – si fa per dire – demogrillino, cosa possono provare a inciarmare almeno per contenere le perdite? Ci sono tre mosse. Le prime due sono piuttosto semplici, ma non è detto che riescano a farle. La terza è la più ardita e, conoscendo i protagonisti, la enuncio solo per dovere accademico.

La prima mossa è fare di tutto per prendersi le principali città. Trovando candidati unitari – come sono riusciti a fare a Napoli – o da votare insieme al ballottaggio. Una vittoria nelle metropoli difficilmente potrebbe ribaltare i rapporti di forza nazionali col centrodestra. Ma consentirebbe di cominciare a ricostruire alle radici quel rapporto con la società che, a sinistra, da tempo è andato smarrito. La seconda è portare Draghi al Quirinale. Il fatto che Salvini si sia detto disponibile non vuol dire, ovviamente, che sia veramente intenzionato a farlo. Ma è una buona base di partenza. Anche perché al centrodestra converrebbe, perché si andrebbe subito dopo al voto. Per la stessa ragione, la sinistra è spaventata dalla prospettiva. I suoi parlamentari dovrebbero rinunciare a un anno di stipendio. E, soprattutto, mandare in soffitta la tela delle cento penelopi che, da un lustro, stanno tessendo le proprie trame per arrampicarsi al Colle. Per questo caleranno – sottobanco – un bel mazzo di carte di riserva. Bruciandosi l’unico asso che metterebbe in sicurezza la tenuta istituzionale del paese: un presidente della statura di Draghi, capace di tener testa alle possibili sbandate di un premier di destra.

L’ultima mossa a disposizione è quella della disperazione. Tirare a lungo con la legislatura con l’alibi che possa uscire dal cilindro una soluzione salvifica. Provando a convincere Draghi a scendere lui nell’agone. O azzerando gli equilibri interni,  e inventandosi un altro papa straniero. Un leader – molto meglio, una leader – nuova di zecca, con la passione e la visione per ribaltare la situazione. Dopotutto, nessuno si aspettava che spuntasse Macron in Francia. E, nel paese dei miracoli, non è detto che non ne accada uno anche in politica. Ovviamente, sarebbe indispensabile che qualcuno cominciasse a pensarci fin da adesso. Anzi, ne facesse l’obiettivo ossessivo dei prossimi mesi. Ma riuscite a immaginarvi Letta e quel che resta del direttorio Cinquestelle mettersi a lavorare – nel più assoluto riserbo – a questa ipotesi? Non credo che ci scommettereste un euro. Ma in politica, si sa, mai dire mai.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 1 giugno 2021).

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