E i partiti stanno a guardare

Lo schema di gioco è chiaro. Tutti all’attacco. Tutti, ovviamente, quelli che hanno qualche pallone da giocare. E qualche asso da schierare. Nei prossimi mesi – almeno fino a settembre – assisteremo alla competizione di chi riesce a fare più gol nella lotta contro il virus. Gol, cioè risultati concreti. Non chiacchiere che, in questa fase, stanno a zero. Per questo in campo ci sono solo governo e governatori. Mentre i partiti stanno a guardare.

Rispetto a meno di un mese fa, è uno scenario completamente diverso. Non si discute più sui divieti, su quali misure servono a proteggere quali fasce d’età, a come evitare che i contagi riprendano a correre forte. Questi discorsi, se dovesse andar male, ritorneranno in autunno. Oggi la parola d’ordine è ripartire. Il più rapidamente e con quante più risorse possibile. E le risorse sono in mano a chi governa. Al centro e in periferia. La competizione è tutta lì. Chi ha più vaccini, chi li somministra meglio, chi riesce a proteggere i turisti, chi consente alle attività commerciali di riprendere a pieno ritmo. E qui le leve sono solo in parte nelle mani di Draghi e dei ministri. Certo, tocca ancora a loro dettare le linee guida. Stanziare – sulla carta – i quattrini. E, soprattutto, approvvigionarsi sui mercati internazionali dei vaccini. Ma questo, ormai, lo danno tutti per scontato. Il merito – o il demerito – principale se lo prendono i governatori, che hanno riconquistato la scena mediatica che avevano avuto agli esordi della pandemia. Sono a loro che guardano – e si rivolgono – i cittadini disperatamente alla ricerca di un po’ di sollievo, e di fiducia.

Esemplare la parabola di De Luca, abilissimo nel battere sul tempo i suoi competitor. Sfidando la stampa nazionale, prontissima a rivoltarglisi contro, è stato il primo a capire che gli elenchi anagrafici andavano a rilento. E che, piuttosto che sprecare le dosi, conveniva somministrarle ad altre platee critiche. Facendo del turismo covid-free una bandiera subito imitata da molti altri presidenti di regione. Al tempo stesso, dopo essere stato il più tetragono guardiano del coprifuoco, ha capito che – nei mesi estivi – aveva molto meno senso e che, comunque, i ristoranti erano ormai allo stremo. Meglio prendersela con la movida, sapendo già che il governo non farà un bel niente per evitarla.

In questa battaglia per scalare le montagne dell’efficienza e l’auditel della popolarità, i partiti stanno a guardare, da una distanza siderale. Se volete sapere cosa fanno, e a cosa stanno pensando, dovete infilarvi nel monopoli delle candidature locali. Pensano ai sindaci che verranno, ai consiglieri da mettere in lista, e alle alleanze – si fa per dire – con cui dovrebbero guadagnarsi le poltrone. È difficile dire chi stia peggio tra centrodestra e centrosinistra. I grillini si sono persi nel labirinto delle beghe legali, con Conte – un esperto del ramo – che si era illuso di poter trovare il filo di Arianna per uscirne. Probabilmente, starà già rimpiangendo di non essersi fatto il suo partito, quando era all’apice della popolarità e si sarebbe facilmente portato dietro i big grillini, lasciando a Casaleggio e a Di Battista le macerie del movimento. Il Pd sembra avere perso il tocco magico del nuovo segretario, e ha rimesso i suoi panni correntizi: Bologna a te, Torino a me e Roma alla più bella del re.

Sull’altro fronte, Salvini sembra incapace di concentrarsi sul calcio di rigore che Renzi ha messo per lui sul dischetto. Se seguisse i suggerimenti di Giorgetti, dovrebbe limitarsi a stare fermo, aspettando le prossime elezioni per calciare dritto dritto in porta. E invece, non fa che guardarsi sempre più nervosamente alle spalle. Cercando di spiare le mosse – tutte azzeccate – con cui Giorgia Meloni continua a rubargli la scena. Certo, a leggere la sua intervista di sabato a Cazzullo sul Corriere, la leader di Fratelli d’Italia dimostra di avere le doti decisive per sfondare sui social, e in tv: personalità e sincerità. Sono quelle che i partiti hanno smarrito. Salvini, che in materia se ne intende, forse fa bene a preoccuparsi.

di Mauro Calise,

(“Il Mattino”, 10 maggio 2021).

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