Reburdo e La valle per far luce sul “4 marzo”

Mentre tutti i commentatori si concentrano sul balletto di alleanze, con piroette degne del miglior circo Togni, vorrei ritornare, brevemente, sul perché le forze più “responsabili”, o presunte tali, hanno perso. In questo mi viene d’ aiuto quanto pubblicato qui a fianco a firma di Raniero La Valle, illustre parlamentare della “Sinistra Indipendente” di una ventina di anni fa. Lasciando ai nostri cari lettori l’incombenza della lettura “meditata” del pezzo, ne evidenzio un passaggio, che mi sembra centrale. “Gli analisti pronti all’uso dicono che la sinistra perde perché non ha saputo adeguarsi alla nuova realtà della globalizzazione. È verissimo, ma non ha saputo farlo perché la globalizzazione non è una nuova condizione di natura, come pretende il pensiero unico, ma è il frutto di una scelta economica e politica, che ha vinto e ha chiuso il gioco, gettando la sinistra fuori dal campo. Si tratta cioè – continua La Valle –  di un ordinamento artificiale, fatto da mano d’uomo, che semplicemente non prevede alternative al regime unico del neoliberismo e della finanza globale.”(1) Parole assolutamente condivisibili (per parte mia)  che rimandano all’indietro la ricerca delle motivazioni della sconfitta del 4 marzo 2018.

Il pensiero va alla santificazione della “Logistica” e della velocizzazione di prodotti finiti o semilavorati, creati in regioni lontane del mondo, con marchi italiani o europei, ma rigidamente legate ai “must” dell’economia di mercato più spinta: abbattimento del costo del lavoro, in ogni modo, e condizionamento della domanda, anche fittizia, antiecologica , a volte antieconomica, in prospettiva di puro consumo. Conseguenze di questo approccio sono panieri indicativi del PIL insufficienti e superati dall’evoluzione dei tempi, come pure il mantenimento di tecnologie obsolete, tranquillamente sostituibili, (ad esempio l’insistenza sui carburanti fossili per tutti i tipi di autotrazione). Quel che è stato peggio, però,  è la forzatura su scelte di politica industriale negative per l’insieme dell’economia italiana e penalizzanti per le maestranze.

Bene. In tutta questa sequela di “scelte” discutibili, hanno avuto un ruolo di peso alcune architravi della cosiddetta sinistra storica. Prima il PSI, il PSDI e il PRI, poi lo stesso  PCI (fino al PDS e ai DS) con una accettazione progressiva e inesorabile di tutte le prescrizioni del “finanz-capitalismo”. Una lenta agonia iniziata con i governi di “centrosinistra” post boom economico, continuata dalla stagione della “Milano da bere” del periodo socialista-craxiano, mantenuta – con contraddizioni varie –  durante i governi Prodi e D’Alema. Senza mai fare i conti con il passato, cioè con l’essenza della “Prima Repubblica”, caratterizzata dal conservatorismo , dall’incapacità di produrre riforme sostanziali, con il ricorso a finanziamenti mostruosi per poter coprire il crescente debito pubblico, di cui vediamo oggi i risultati peggiori. Un’incapacità di analisi dell’esistente e soprattutto di “narrazione dei fatti”, di identificazione chiara di “insabbiatori” e “profittatori” che, alla fine, ha prodotto la scomparsa della stessa idea di “riscatto democratico”, intesa come possibilità di pari affermazioni per tutti.

Di fatto, ad un certo punto non ci si è creduto più… E siccome non veniva spiegato il perché del peggioramento generale del livello di vita, delle opportunità di lavoro venute meno, delle garanzie e dei diritti sociali e personali erosi inesorabilmente, si sono cercate altre vie, più comode. Quelle che vengono chiamate (anch’io spesso le definisco così…) “scorciatoie”. Una delle più facili e alla portata è quella che comporta una “chiusura”, un tentativo di perpetuamento di condizioni che – invece- non saranno più le stesse, nella vana  “recherche du temp perdu” poco proustiana e molto “nazional-popolare”.

Oltre che dalle idee dell’on. La Valle, mi è venuto in aiuto un altro esponente di rilievo, sempre della stessa area politica, che ebbi modo di incontrare a Pinerolo nella mia ultima “naja” elettorale (periodica, visto che si tratta della settima o ottava chiamata) durante la campagna precedente il 4 marzo. Quella, per capirci, della disfatta di Canne (siamo addirittura ai tempi della Seconda Guerra Punica) a cui feci riferimento in un precedente editoriale. La persona in oggetto, questa volta, è Beppe Reburdo, arzillo e reattivo ottantenne che, dopo essersi qualificato alla fine di un dibattito elettorale del 21 febbraio scorso in cui – è la verità – ho parlato 45 secondi, mi consegna una chiavetta USB con un articolo della “Repubblica” del 1985 (2)… Mi dice “guardalo…e ti divertirai…”. L’ho aperto una decina di giorni dopo la débacle e vi ho trovato all’interno una delle conferme che cercavo, sostanzialmente vi era “l’inizio della fine”.

Il titolo era : “Tra polemiche , fischi e pestaggi, il Sì della Regione rossa alla nuova centrale nucleare sul Po”. Ne riprendo alcune frasi, nemmeno fra le più significative, sufficienti per dare informazioni sul clima politico di allora segnato da incomunicabilità e pregiudizi. Vi erano le raccomandazioni dei tecnici di Enel e del Governo di allora, tutte favorevoli alla scelta nucleare all’insegna del “non si può rimanere indietro”; come erano ben presenti le pressioni del mondo politico, tranne alcune piccole formazioni, di quello sindacale (quasi in toto), delle stesse gerarchie ecclesiastiche. Anche una parte (maggioritaria ma non troppo) del mondo accademico era favorevole alla costruzione di queste nuove centrali a fissione nucleare “Westinghouse” , nonostante ciò l’opposizione era forte. Una opposizione qualificata con interventi di personaggi del calibro di Edo Ronchi e Gianni Mattioli, supportata da migliaia di militanti. Comunque, come scrive “Repubblica” del 5 gennaio 1985 “… i numeri dicono poco, ciò che conta è che la centrale di Trino Vercellese sarà costruita anche contro la volontà delle popolazioni di quelle aree che dovranno ospitarla.” Poi continua…   “Che vi fossero forti dissensi lo si sapeva da tempo, ma quanto è accaduto ieri mattina forse neppure gli amministratori regionali più sensibili agli umori dell’ opposizione l’ avevano messo in conto. Diversamente avrebbero evitato di affrontare a quattro mesi dalla scadenza elettorale la decisione su una scelta che altre regioni italiane hanno accantonato e non soltanto per puro calcolo elettoralistico.” Soprattutto mette in luce un lato della questione che alla lunga si rivelerà cruciale – in termini di assunzione di responsabilità e avallo anche di quanto è difficile sostenere. Infatti, inclemente, il giornalista rimarca:  “Anche in questo caso il Piemonte ha voluto fare da battistrada su un terreno carico di difficoltà ed ha cominciato a pagare il prezzo di una lacerazione che ha attraversato orizzontalmente quasi tutte le forze politiche.” .

Il recente incontro con Reburdo a Pinerolo mi ha riportato a quegli anni, a ciò che fecero (lui e Corrado Montefalchesi in Consiglio Regionale, cercando – vanamente – di far parlare in aula due rappresentanti di vaglia degli oppositori… Proprio Edo Ronchi e Gianni Mattioli che, una decina di anni dopo – ironia della sorte – saranno nominati ministri della Repubblica proprio da uno dei governi di centrosinistra, erano allora presenti e cercarono di spiegare le giuste ragioni di opposizione. Ma proprio la maggioranza “rossa” di quel tempo a Palazzo Lascaris glielo impedì. Una delle tante scaramucce, delle “sgomitate”, ispirate da un modo di pensare pernicioso: “chi sono questi che vogliono mettere il naso in cose di cui sanno poco e che non competono loro…?”; “si facciano eleggere e poi –  forse – ne riparleremo”. Avversari da bloccare, ancor più deleteri se professori universitari, fisici, studiosi, difficilmente etichettabili come “asini raglianti”. Ecco… probabilmente la sconfitta nasce dalla convinzione che non si ha bisogno di una parte dell’elettorato o dei loro rappresentanti, perché “non agglutinabili” e poco ortodossi. Ancor meglio se approssimativi e non “politici di professione”. Comunque, che siano bravi o meno  “vinciamo noi…. e di sicuro non si ha bisogno di loro” direbbe qualcuno… Aggiungendo “la gente vede quanto abbiamo fatto e capisce… per cui non ci saranno problemi”… E invece i problemi c’erano e ci sono. Proprio perché la gente vede e se non comprende bene le motivazioni dei disastri …reagisce male. E torna alle scorciatoie.

(1) Una felice discontinuità [di Raniero La Valle] 10 marzo 2018 / Società & Politica

(2) [Fonte: Repubblica — 05 gennaio 1985 pagina 7 sezione: INCHIESTE]

 

p.s. Dal 4 al 6 gennaio feci parte di quella manifestazione; non avevo nemmeno una foto dell’evento e ora, grazie a Reburdo, ne ho quattro. Una è quella “postata” ad inizio articolo. Per la cronaca, al contrario di quanto succede qui da noi, il legame con Edo Ronchi e Gianni Mattioli è sempre ottimo, così come con Colombati, Semeraro, Scalia, Vernetti e molti altri. …Altre latitudini, …altro spessore.

 

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