Recovery Fund e ACNA di Cengio

Una ripassatina di quanto è stato fatto e del molto che resta da fare per mettere in sicurezza un sito profondamente contaminato come l’ACNA di Cengio (SV). Ce ne parla un tecnico dell’Ambiente, poco incline a strizzatine d’occhio e facili entusiasmi: Andrea Quaranta. La Redazione rilancia…. ben conoscendo il motivo del contendere.

Recovery Fund e ACNA di Cengio: cosa accomuna due storie così diverse eppur simili?

Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, ma con politiche proattive e contestualizzate

Mercoledì 3 Marzo 2021

Recovery Fund e ACNA di Cengio: cosa accomuna due storie così diverse eppur simili?

Il fiume Bormida nel tratto tra Piemonte e Liguria. Vicino ad un’ansa del fiume si insediò a fine ‘800 l’ACNA

Cengio si trova in provincia di Savona, al confine con il Piemonte. E qui, a due passi dal fiume Bormida che nasce questa fabbrica di dinamiti, nell’ormai lontanissimo 1882. Poi ad inizio ‘900 diventa ACNA, prima come Aziende Chimiche Nazionali Associate e poi come Azienda Coloranti Nazionali e Affini. E oggi una storia di bonifica ancora da chiarire.

Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, più o meno roboanti, ma con politiche proattive e contestualizzate, che richiedono anche un’approfondita conoscenza di quanto successo in passato. Per evitare di ricadere nella stessa tipologia di errori e per creare, finalmente, un business sostenibile.

La comunicazione tranquillizzante e …
…la comunicazione … ambientale o “economica”?
La presunta bonifica
L’emblema della gestione ambientale italiana
Il management ambientale è un business
La transizione ecologica tramite il Recovery Fund, l’autorevolezza e la storia

La comunicazione tranquillizzante e …

Qualche mese fa – siamo nell’estate del 2020 – il Ministero dell’Ambiente ha emanato un comunicato con il quale annunciava la chiusura, dopo ben 11 anni, di una procedura di infrazione contro l’Italia (una delle tante), “per la mancata sottoposizione a VIA delle bonifiche nel sito industriale di Cengio”.

Il “claim” del comunicato – nel quale sono state sintetizzate in poche righe le azioni meritorie del ministero in tal senso, e si è cercato di tranquillizzare in merito alle notizie secondo le quali proprio in quei giorni la Commissione avrebbe inviato ben due lettere di messa in mora al nostro Paese in relazione alle direttive NEC (National Emissions Ceilings) e sul danno ambientale. Sottolineando che “si tratta di procedure dovute ma che non ci preoccupano perché eravamo già al lavoro su entrambe le questioni e prevediamo di chiuderle entro l’anno” – era il seguente: “la Commissione europea ha riconosciuto positivamente l’impegno del nostro Ministero”.

…la comunicazione … ambientale o “economica”?

Impegno per che cosa?
Uno dei principali problemi delle politiche ambientali che si sono succedute nel corso dei decenni, a prescindere dalle appartenenze di chi reggeva pro tempore il dicastero, oggetto di una recente rimodulazione in ottica “transizione green”, è strettamente legato ad una non efficace, ma soprattutto, corretta, comunicazione ambientale.

Non è questa la sede per parlare della comunicazione ambientale, di cui abbiamo diffusamente parlato nella rivista Ambiente & Sviluppo (N. 4/2020, in un articolo dal titolo cinematografico: La nuova comunicazione ambientale: mission impossible?); non si può, tuttavia, non sottolineare come le parole, sopra riportate fra virgolette, sembrino lasciar intravedere un obiettivo “meno nobile” rispetto a quello della tutela dell’ambiente in quanto tale. Quello relativo ai costi economici connessi alle procedure di infrazione, e non quello connesso alla bonifica del sito.

Perché ancora oggi, nonostante siano passati tanti anni, non è possibile affermare che l’area dove sorgeva l’ACNA (e quella in Campania, dove sono stati “smaltiti” illegalmente gran parte dei fanghi contaminati provenienti proprio da Cengio) sia bonificata.

La presunta bonifica dell’ACNA

Riassumere e ricostruire la triste vicenda che ha visto protagonista l’Azienda Coloranti Nazionali ed Affini richiederebbe uno spazio, e un tempo, inconciliabili con le dinamiche di lettura tipiche del web. Anche per il ruolo svolto dalla comunicazione giornalistica nel corso degli anni, non sempre così precisa.

E tuttavia, una sintetica, ma efficace, ricostruzione, è stata data dal ricercatore Walter Ganapini, in un articolo pubblicato giusto un anno fa. Una sorta di risposta ad un precedente articolo – evidentemente non preciso, sul punto, tanto da costringere Ganapini “all’ennesimo intervento contro lo ‘sbianchettamento’ della memoria in tema ambiente, fidelizzato, come sono, al bridging the gap (colmare il gap) intergenerazionale come imperativo morale. Anche per evitare il facile alibi italiota (e non solo), tanto in voga, «se avessi saputo»”.

Dalla nascita della fabbrica (un dinamitificio), nel 1882, fino alla chiusura avvenuta nel 1999, l’articolo – scritto da chi ha partecipato in prima persona ad alcune fasi della “tentata bonifica” – sintetizza le tappe salienti dei problemi che la fabbrica di esplosivi, prima, e quella di coloranti, che ne ha preso successivamente il posto attraverso successivi passaggi di proprietà, ha creato:

  • dalla prima legge sulle bonifiche dei siti contaminati al confronto internazionale sui metodi per bonificare, purtroppo ….”snaturato” in Italia);
  • dal primo intervento di bonifica all’Acna di Cengio alla descrizione degli “ostacoli (politici) agli interventi di bonifica”, passando per la descrizione delle carenze tecniche e tecnologiche e delle differenze giuridiche fra “bonifica” (impossibile anche perché troppo costosa) e “messa in sicurezza”;
  • dal ruolo dei lavoratori nel processo di riconversione dei processi produttivi al “dietro le quinte” delle bonifiche, fatto di “interessi immobiliaristici”;
  • dalla constatazione delle difficoltà “anche in campo ambientalista, di sfuggire a logiche conflittuali spesso prive di adeguato supporto conoscitivo, in ambito sia tecnico che normativo” fino ad arrivare a simulazioni, dalle quali è sempre emersa l’impossibilità di bonificare effettivamente l’area.

Il tutto, per giungere alla conclusione, amara e distaccata allo stesso tempo, che hanno condotto alla bonifica. Una bonifica, tuttavia, soltanto “proclamata”.

Piano Nazionale Ripresa e Resilienza: un punto di vista sull’attuale bozzaMinisteri: transizione ecologica e digitale, Mit e Mic, ecco cosa cambia

L’emblema della gestione ambientale italiana

La storia riassunta da Ganapini è l’emblema del modo che finora ha avuto la politica italiana di (non) trattare le problematiche ambientali.
E il riferimento allo “sbianchettamento della memoria” suona come un monito:

  • non solo per la politica, che oggi si trova a dover gestire una transizione ecologica che, considerati i presupposti, sembra tutt’altro che facile,
  • ma anche per i cittadini, che tendono a dimenticare “vecchie storie” finite male, appunto, perché vecchie, come se lo sviluppo tecnologico, aumentato esponenzialmente nel corso degli anni, fosse di per sé stesso in grado di porre rimedio alle conseguenze nefaste di scelte non accorte.

Anche perché certe storie non finiscono mai.

Lo dimostrano i chilometri di sentenze che, ogni anno, vengono emanate in relazione al c.d. “inquinamento storico”; alle responsabilità nel caso di successione, di passaggi di proprietà di siti contaminati di mano in mano; di messe in sicurezza (permanente?) spacciate per bonifiche vere e proprie; di proprietari in colpevoli di inquinamenti difficilmente attribuibili a qualcuno perché risalenti (ma non si sa quanto) nel tempo. Questo solo per fare qualche esempio.

Bonifica: l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica.
Concentrazioni soglia di rischio (CSR): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito.
 Messa in sicurezza permanente: l’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici.

Casi accomunati dal fatto di essere, fra l’altro, gestiti soltanto in una fase “ex post”, quando ormai il danno è stato fatto, e da un “finale aperto”. Non potendosi parlare di bonifica, non si possono, ad oggi, prevedere quali potrebbero essere le ulteriori conseguenze per la salute, in futuro.
E soprattutto, non è possibile, stando così le cose dal punto di vista burocratico-legislativo-amministrativo-tecnico (in una parola: gestionale), sperare di spostare l’attenzione dal governo emergenziale alla gestione preventiva.

Il management ambientale è un business

Fatica ancora, nel 2021, infatti, a farsi strada l’idea che l’ambiente, lungi dall’essere un costo, è un business: di più, l’ambiente rappresenta un investimento.
Sia (soprattutto) per le generazioni future – pilastro della sostenibilità ambientale, ma anche di quelle che con gli anni, dal rapporto Bruntland del 1987, le si sono affiancate: sostenibilità sociale ed economica – sia a medio e breve termine anche per noi, imprese, Stato, cittadini.

Oltre a non dover rincorrere l’emergenza di turno (non solo sanitaria: il caso ACNA è emblematico anche, come se non bastasse, di una pessima gestione del territorio, in quanto realizzato in un’area alluvionale), e a sopportarne i costi (per la bonifica, ma anche per le procedure di infrazione), avere un approccio manageriale alla tutela dell’ambiente significa fare degli investimenti, anche in capitale umano. Che sono in grado di far crescere l’economia nel solco della circolarità, di cui in tanti parlano, senza tuttavia aver capito nulla….

La transizione ecologica tramite il Recovery Fund, l’autorevolezza e la storia

Chi invece lo sa benissimo è l’Unione Europa, che ha messo sul piatto una cifra enorme, per la ricostruzione “post pandemia”. I cui effetti sono stati acuiti dal Coronavirus, ma le cui cause  affondano all’alba dei tempi. Tuttavia, prima ancora che scegliere come distribuire, e dove allocare, i fondi per la transizione ecologica, occorre (ri?)costruire, intorno alla politica, che dovrà gestire la transizione ecologica, un sistema di autorevolezza. Che, in termini molto sintetici, significa capacità di scegliere, di programmare, di pianificare, di guardare al lungo periodo, di implementare, di gestire, di migliorare continuamente, di mettersi in gioco.

Significa anche imparare a ricordare, per imparare dai propri errori. Ecco, in definitiva, perché si deve continuare a parlare delle storie, come quelle dell’ACNA, che non fanno parte soltanto di un triste passato. Ma i cui effetti si continuano a vedere oggi, e le cui cause potrebbero perpetrarsi, se non vengono finalmente affrontate nel modo giusto.

Andrea Quaranta

Sua descrizione in curriculum pubblico. :

Recovery Fund e ACNA di Cengio: cosa accomuna due storie così diverse eppur simili?

Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, ma con politiche proattive e contestualizzate

Mercoledì 3 Marzo 2021

Recovery Fund e ACNA di Cengio: cosa accomuna due storie così diverse eppur simili?

Il fiume Bormida nel tratto tra Piemonte e Liguria. Vicino ad un’ansa del fiume si insediò a fine ‘800 l’ACNA

Cengio si trova in provincia di Savona, al confine con il Piemonte. E qui, a due passi dal fiume Bormida che nasce questa fabbrica di dinamiti, nell’ormai lontanissimo 1882. Poi ad inizio ‘900 diventa ACNA, prima come Aziende Chimiche Nazionali Associate e poi come Azienda Coloranti Nazionali e Affini. E oggi una storia di bonifica ancora da chiarire.

Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, più o meno roboanti, ma con politiche proattive e contestualizzate, che richiedono anche un’approfondita conoscenza di quanto successo in passato. Per evitare di ricadere nella stessa tipologia di errori e per creare, finalmente, un business sostenibile.

La comunicazione tranquillizzante e …
…la comunicazione … ambientale o “economica”?
La presunta bonifica
L’emblema della gestione ambientale italiana
Il management ambientale è un business
La transizione ecologica tramite il Recovery Fund, l’autorevolezza e la storia

La comunicazione tranquillizzante e …

Qualche mese fa – siamo nell’estate del 2020 – il Ministero dell’Ambiente ha emanato un comunicato con il quale annunciava la chiusura, dopo ben 11 anni, di una procedura di infrazione contro l’Italia (una delle tante), “per la mancata sottoposizione a VIA delle bonifiche nel sito industriale di Cengio”.

Il “claim” del comunicato – nel quale sono state sintetizzate in poche righe le azioni meritorie del ministero in tal senso, e si è cercato di tranquillizzare in merito alle notizie secondo le quali proprio in quei giorni la Commissione avrebbe inviato ben due lettere di messa in mora al nostro Paese in relazione alle direttive NEC (National Emissions Ceilings) e sul danno ambientale. Sottolineando che “si tratta di procedure dovute ma che non ci preoccupano perché eravamo già al lavoro su entrambe le questioni e prevediamo di chiuderle entro l’anno” – era il seguente: “la Commissione europea ha riconosciuto positivamente l’impegno del nostro Ministero”.

…la comunicazione … ambientale o “economica”?

Impegno per che cosa?
Uno dei principali problemi delle politiche ambientali che si sono succedute nel corso dei decenni, a prescindere dalle appartenenze di chi reggeva pro tempore il dicastero, oggetto di una recente rimodulazione in ottica “transizione green”, è strettamente legato ad una non efficace, ma soprattutto, corretta, comunicazione ambientale.

Non è questa la sede per parlare della comunicazione ambientale, di cui abbiamo diffusamente parlato nella rivista Ambiente & Sviluppo (N. 4/2020, in un articolo dal titolo cinematografico: La nuova comunicazione ambientale: mission impossible?); non si può, tuttavia, non sottolineare come le parole, sopra riportate fra virgolette, sembrino lasciar intravedere un obiettivo “meno nobile” rispetto a quello della tutela dell’ambiente in quanto tale. Quello relativo ai costi economici connessi alle procedure di infrazione, e non quello connesso alla bonifica del sito.

Perché ancora oggi, nonostante siano passati tanti anni, non è possibile affermare che l’area dove sorgeva l’ACNA (e quella in Campania, dove sono stati “smaltiti” illegalmente gran parte dei fanghi contaminati provenienti proprio da Cengio) sia bonificata.

La presunta bonifica dell’ACNA

Riassumere e ricostruire la triste vicenda che ha visto protagonista l’Azienda Coloranti Nazionali ed Affini richiederebbe uno spazio, e un tempo, inconciliabili con le dinamiche di lettura tipiche del web. Anche per il ruolo svolto dalla comunicazione giornalistica nel corso degli anni, non sempre così precisa.

E tuttavia, una sintetica, ma efficace, ricostruzione, è stata data dal ricercatore Walter Ganapini, in un articolo pubblicato giusto un anno fa. Una sorta di risposta ad un precedente articolo – evidentemente non preciso, sul punto, tanto da costringere Ganapini “all’ennesimo intervento contro lo ‘sbianchettamento’ della memoria in tema ambiente, fidelizzato, come sono, al bridging the gap (colmare il gap) intergenerazionale come imperativo morale. Anche per evitare il facile alibi italiota (e non solo), tanto in voga, «se avessi saputo»”.

Dalla nascita della fabbrica (un dinamitificio), nel 1882, fino alla chiusura avvenuta nel 1999, l’articolo – scritto da chi ha partecipato in prima persona ad alcune fasi della “tentata bonifica” – sintetizza le tappe salienti dei problemi che la fabbrica di esplosivi, prima, e quella di coloranti, che ne ha preso successivamente il posto attraverso successivi passaggi di proprietà, ha creato:

  • dalla prima legge sulle bonifiche dei siti contaminati al confronto internazionale sui metodi per bonificare, purtroppo ….”snaturato” in Italia);
  • dal primo intervento di bonifica all’Acna di Cengio alla descrizione degli “ostacoli (politici) agli interventi di bonifica”, passando per la descrizione delle carenze tecniche e tecnologiche e delle differenze giuridiche fra “bonifica” (impossibile anche perché troppo costosa) e “messa in sicurezza”;
  • dal ruolo dei lavoratori nel processo di riconversione dei processi produttivi al “dietro le quinte” delle bonifiche, fatto di “interessi immobiliaristici”;
  • dalla constatazione delle difficoltà “anche in campo ambientalista, di sfuggire a logiche conflittuali spesso prive di adeguato supporto conoscitivo, in ambito sia tecnico che normativo” fino ad arrivare a simulazioni, dalle quali è sempre emersa l’impossibilità di bonificare effettivamente l’area.

Il tutto, per giungere alla conclusione, amara e distaccata allo stesso tempo, che hanno condotto alla bonifica. Una bonifica, tuttavia, soltanto “proclamata”.

Piano Nazionale Ripresa e Resilienza: un punto di vista sull’attuale bozzaMinisteri: transizione ecologica e digitale, Mit e Mic, ecco cosa cambia

L’emblema della gestione ambientale italiana

La storia riassunta da Ganapini è l’emblema del modo che finora ha avuto la politica italiana di (non) trattare le problematiche ambientali.
E il riferimento allo “sbianchettamento della memoria” suona come un monito:

  • non solo per la politica, che oggi si trova a dover gestire una transizione ecologica che, considerati i presupposti, sembra tutt’altro che facile,
  • ma anche per i cittadini, che tendono a dimenticare “vecchie storie” finite male, appunto, perché vecchie, come se lo sviluppo tecnologico, aumentato esponenzialmente nel corso degli anni, fosse di per sé stesso in grado di porre rimedio alle conseguenze nefaste di scelte non accorte.

Anche perché certe storie non finiscono mai.

Lo dimostrano i chilometri di sentenze che, ogni anno, vengono emanate in relazione al c.d. “inquinamento storico”; alle responsabilità nel caso di successione, di passaggi di proprietà di siti contaminati di mano in mano; di messe in sicurezza (permanente?) spacciate per bonifiche vere e proprie; di proprietari in colpevoli di inquinamenti difficilmente attribuibili a qualcuno perché risalenti (ma non si sa quanto) nel tempo. Questo solo per fare qualche esempio.

Bonifica: l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica.
Concentrazioni soglia di rischio (CSR): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito.
 Messa in sicurezza permanente: l’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici.

Casi accomunati dal fatto di essere, fra l’altro, gestiti soltanto in una fase “ex post”, quando ormai il danno è stato fatto, e da un “finale aperto”. Non potendosi parlare di bonifica, non si possono, ad oggi, prevedere quali potrebbero essere le ulteriori conseguenze per la salute, in futuro.
E soprattutto, non è possibile, stando così le cose dal punto di vista burocratico-legislativo-amministrativo-tecnico (in una parola: gestionale), sperare di spostare l’attenzione dal governo emergenziale alla gestione preventiva.

Il management ambientale è un business

Fatica ancora, nel 2021, infatti, a farsi strada l’idea che l’ambiente, lungi dall’essere un costo, è un business: di più, l’ambiente rappresenta un investimento.
Sia (soprattutto) per le generazioni future – pilastro della sostenibilità ambientale, ma anche di quelle che con gli anni, dal rapporto Bruntland del 1987, le si sono affiancate: sostenibilità sociale ed economica – sia a medio e breve termine anche per noi, imprese, Stato, cittadini.

Oltre a non dover rincorrere l’emergenza di turno (non solo sanitaria: il caso ACNA è emblematico anche, come se non bastasse, di una pessima gestione del territorio, in quanto realizzato in un’area alluvionale), e a sopportarne i costi (per la bonifica, ma anche per le procedure di infrazione), avere un approccio manageriale alla tutela dell’ambiente significa fare degli investimenti, anche in capitale umano. Che sono in grado di far crescere l’economia nel solco della circolarità, di cui in tanti parlano, senza tuttavia aver capito nulla….

La transizione ecologica tramite il Recovery Fund, l’autorevolezza e la storia

Chi invece lo sa benissimo è l’Unione Europa, che ha messo sul piatto una cifra enorme, per la ricostruzione “post pandemia”. I cui effetti sono stati acuiti dal Coronavirus, ma le cui cause  affondano all’alba dei tempi. Tuttavia, prima ancora che scegliere come distribuire, e dove allocare, i fondi per la transizione ecologica, occorre (ri?)costruire, intorno alla politica, che dovrà gestire la transizione ecologica, un sistema di autorevolezza. Che, in termini molto sintetici, significa capacità di scegliere, di programmare, di pianificare, di guardare al lungo periodo, di implementare, di gestire, di migliorare continuamente, di mettersi in gioco.

Significa anche imparare a ricordare, per imparare dai propri errori. Ecco, in definitiva, perché si deve continuare a parlare delle storie, come quelle dell’ACNA, che non fanno parte soltanto di un triste passato. Ma i cui effetti si continuano a vedere oggi, e le cui cause potrebbero perpetrarsi, se non vengono finalmente affrontate nel modo giusto.”

Andrea Quaranta:  (dal suo curriculum pubblico)

Progetto ed implemento sistemi di gestione ambientale.

Fornisco consulenza e servizi in campo ambientale a 360°: environmental risk and crisis management, risk analysis, audit interni, compliance normativa e registri delle prescrizioni legali, consulenza strategica, pareri, formazione in azienda, pratiche amministrative.

Collaboro con le riviste Ambiente & Sviluppo, e Ambiente & Sicurezza sul lavoro e il portale www.teknoring.com

Ho scritto più di 1100 articoli in materia ambientale, e ho pubblicato due volumi in materia di incentivi da fonti rinnovabili di energia.

Per Ipsoa-WKI ho curato lo speciale Responsabilità ambientale & Assicurazioni (2014).

“L’audit interno: come anticipare il futuro creando business” è il primo e-book scritto in collaborazione con WKI in tema di compliance.

Sono il titolare di naturagiuridica.com e di sistemaiso.com

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