Ricordi di Ankawa (Irak)

Per una volta un breve flash di vita vissuta tra l’avventura, la religione, la storia (e l’umanità innata delle persone)

Papa Francesco e la Chiesa irakena ci spingono da mesi “ a non assistere “inerti e muti”, a non “volgere lo sguardo da un’altra parte” verso i nostri fratelli e sorelle perseguitati a causa della fede”, anche se , a volte, le motivazioni religiose sono solo escamotages  per operazioni di vera e propria pulizia etnica. Oppure, nel caso dei profughi a maggioranza Cristiani (di rito Caldeo) dell’area di Mosul e delle vicine alture di Sringtgar, prevaricazioni dettate da interessi economici e di usufrutto di interi quartieri o di aree coltivate. Un vero obbrobrio che ebbi già modo di verificare nel 2018 a Dohuk (nord Irak) quando incontrammo una delegazione di Cristiani e Yezidi (zoroastriani) in fuga dalle zone di guerra della Siria. Grazie alla disponibilità di parenti ed amici si piazzarono come profughi in cortili di abitazioni, in garages, in dependances più o meno vivibili. Un’alternativa ai “campi” , dovuta alla accessibilità di fonti idriche, alla maggiore sicurezza di una copertura in legno-cemento-metallo, all’impressione di non essere ancora “definitivamente ai margini”. Proprio vicino al centro profughi UNHCR di Domiz, nord Irak, ci capito’ di vedere scritte in più lingue contro ad alti muri di cinta di villette e di aree residenziali. Sempre la stessa solfa: “Area privata. Tenersi lontano. Il Centro accoglienza è più avnti” e via di seguito. Chiaro segno di una insofferenza acuta nei confronti di chi veniva vissuto come un intruso nel territorio. Mancava solo “aiutiamoli a casa loro” e la frittata era fatta. Comunque la storia che ci raccontò Pere Louis in uno stentato francese fu devastante e, in qualche modo, viene ripresa nel filmato che trovate in collegamento. Crisi dello Stato iraqeno a Mosul e dintorni, una città di più di un milione di abitanti improvvisamente senz’acqua, cibo e elettricità. Una grande tradizione universitaria, centri culturali e religiosi di eccezione, tutto – all’impriovviso – riportato nei secoli più bui del Medioevo.

http://www.asianews.it/index.php?l=it&idn=111 

Una situazione aggravata dalla presenza di bande più o meno regolari di aderenti all’ISIS (il famigerato Islamic State of Iraq and Syria), che – oltre ad instaurare un regime dittatoriale, facevano della “sharija” più ortodossa, il loro codice di comportamento. Conversioni forzate incluse, solo talvolta – e in casi ben precisi – posticipate a fronte di grosse somme di denaro. Una situazione intollerabile che, a metà 2017, Pere Louis decise di affrontare (e risolvere) con una fuga avventurosa quanto risolutiva. Il percorso fino al quartiere di Anqawa ad Erbil assommava complessivamente a 60 chilometri e, con difficoltà, in quattro giorni fu possibile giungere a destinazione. Settecentocinquantadue persone partirono (di diversissima età) e tutte arrivarono a destinazione. Quando racconta quell’esperienza Pere Louis , Anwar, Reada e tutti gli altri che gli stanno intorno, hanno gli occhi lucidi e, tengono a precisare, “ci ha fatto vivere una esperienza di comunità indimenticabile”. Glissiamo sui commenti rivolti ai neri figuri dell’ISIS e a qualche pastore o operaio musulmano incontrato lungo il tratto… Basti ricordare che a dieci chilometri dalla grande città di Erbil furono fermati dalla Polizia iraqena che, senza mezzi termini, comunicò loro che – grazie ad una segnalazione – erano stati informati di questo grande esodo “non autorizzato” e che dovevano procede agli arresti di tutti coloro i quali – seppur iraqeni – erano sprovvisti di documenti. Una ritorsione voluta, più che una evenienza casuale che fu risolta con il versamento di 500 dollari cash da parte di Pere Louis nelle saccoce dei voraci poliziotti con l’impegno a versare una quantità equivalente all’arrivo ad Erbil. Dopo una settimana di sistemazione, Anwar, Reada, Souleyman e il vecchio consigliere yezida di Mosul (Al Raini) si diressero al Commissariato di Ankawa ma, per fortuna, fu loro detto che era prassi comune comportarsi in quel modo e che comunque non avrebbero dovuto versare una seconda tranche. Poteri della fede o, più semplicemente, peso della vergogna per chi, ben sapendo di coprire un abuso, ha dovuto trovare una soluzione plausibile alla malaparata. Alla fine però tutti si sistemarono, E cio’ è quanto più conta.

Prende perciò una diversa luce la comunicazione, al limite del propagandistico, che segnaliamo:

“Il papa chiede poi a tutti i cristiani una “preghiera intensa”, una “partecipazione concreta” e un “aiuto tangibile” per tutti loro. Per questo AsiaNews, da mesi, ha lanciato la campagna “Adotta un cristiano di Mosul” che ha permesso la raccolta e l’invio di circa 1,2 milioni di euro per il fabbisogno quotidiano dei profughi irakeni fuggiti da Mosul sotto le minacce dello Stato islamico. I loro bisogni continuano ad essere enormi e il loro ritorno a casa non è per nulla immediato. A causa di ciò, i vescovi stanno progettando il passaggio dall’emergenza durata fino ad oggi a una situazione più stabile. Il progetto prevede il trasferimento di tutti i rifugiati cristiani – circa 130mila persone, 21mila famiglie – in case da abitare, dove essi possono riprendere responsabilità della loro vita, trovare un lavoro, pensare a un futuro prossimo per i figli. AsiaNews invita lettori e amici a continuare la campagna “Adotta un cristiano di Mosul” per raccogliere contributi che sostengano le spese per questo progetto, il cui costo si aggira sui 3,5 milioni di euro.”

Segue conto corrente e tutto il resto ma di questo, ovviamente, ve ne scampiamo. Ecco…verrebbe da dire “così va il mondo reale”; quello che conta davvero.

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