Il risiko di Matteo Renzi

Ne sono convinti tutti. Perfino – forse – sul Colle più alto. Andrà a finire con un Conte tre. Le altre ipotesi sono fuori gioco. Se ci fosse solo un rimpastino, Renzi ci perderebbe la faccia. Un cambio di premier democratico, i Cinquestelle non lo accetterebbero mai (e neanche il segretario Pd). Andare al voto, manco a parlarne. Ve la vedete una maggioranza in carica che rinuncia, in un colpo solo, a duecento miliardi da spartire e alle poltrone di deputato e senatore? Resterebbe l’azzardo di Conte. Il voto di fiducia in parlamento per cercare di racimolare una pattuglia di responsabili. Ma ammesso che ci riuscisse, che governicchio ne verrebbe fuori? E se fallisse, si sarebbe bruciato i ponti alle spalle. Dunque, tutto già deciso? Non so.

C’è un’incognita che nessuno può sciogliere. Si chiama Matteo Renzi. Nessuno sa – neanche lui – dove e quando si potrebbe fermare in questo gioco di cui è maestro. Il gioco del rottamatore. Non entro qui nel merito delle ragioni politiche per cui questo governo andrebbe – o non andrebbe – cambiato, o addirittura mandato a casa. Lasciamo alle dichiarazioni ufficiali il compito dello story-telling (in cui, peraltro, Renzi resta il più bravo). Non è uno scontro di narrazioni. Questa è una partita di potere. E perché ci sia una soluzione, c’è una condizione indispensabile. Una sola. Un minimo di fiducia reciproca. Quanto basta a siglare un patto sapendo che non verrà disfatto nel giro di qualche settimana. Ma chi si fida, oggi, di Renzi? Perché non dovrebbe sparigliare, in pochi giorni, l’accordo che oggi firmerebbe? Non ha capovolto in un’ora – quell’ora che ha segnato la sorte, e che sorte, del capo della Lega – il suo giudizio su un’alleanza coi Cinquestelle? E non ha fatto la sua scissione dal Pd, dando vita a un nuovo partito, meno di due settimane dopo aver fatto nascere il Conte due? Perché Renzi dovrebbe accontentarsi e starsene quieto al fianco del Premier che oggi vuole silurare?

Il problema di Renzi è semplice. Ha sbagliato clamorosamente i calcoli. Pensava di sfondare nei sondaggi e/o forse di traghettare in IV molti più parlamentari, e ministri. Cosa può fare ora? Attendere che passi altro tempo e la sua sorte di emarginazione si compia? O giocarsi il tutto per tutto, come appunto sta facendo ora? Semmai, ci sarebbe da sorprendersi che abbia aspettato così a lungo. Se vuole sperare di sopravvivere, Renzi deve riprendersi la scena. Ma non come co-protagonista. Ha bisogno di fare il mattatore. O, se vi piace di più, il rottamatore.

Non si tratta di una tendenza caratteriale (anche se quella contribuisce). Si tratta dell’unica via di uscita dal cul de sac in cui è finito. Fino alle fatidiche elezioni, tra un anno, del nuovo capo dello Stato e ancor più nei mesi successivi di accesissima campagna elettorale, Renzi – lo voglia o meno – sarà costretto ad agitarsi peggio che se lo avesse morso la tarantola. Per guadagnare visibilità mediatica, senza la quale il suo partitino non ha nessuna chance di crescere. E per provare a posizionarsi come ago della bilancia negli equilibri – equilibrismi – tra i due poli. Non si può certo rimproverarlo. Conte è riuscito nell’impresa senza muoversi di un millimetro dalla poltrona di Palazzo Chigi. Un cavallo di razza come Renzi dovrebbe starsene fermo al palo, e aspettare la fine della legislatura per tornarsene a Rignano sull’Arno?

Ecco cosa si sta chiedendo Conte (e, con lui, Zingaretti e Di Maio). Ha senso concedere a Renzi tutto questo spazio e potere, solo per ritrovarselo di nuovo contro al prossimo giro? Per questo – non per un atto di malintesa protervia – il premier avrebbe preferito rivolgersi direttamente alle Camere. E vedere se la va o la spacca. Ma i partiti che lo sorreggono non sono in condizione di rischiare. Renzi lo sa, per questo tira la corda. Ma non sarebbe la prima volta che una corda che tira troppo si spezzi.

di Mauro Calise

(“Il Mattino”, 4 gennaio 2021)

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