“Schiavi mai” . La ribellione dei braccianti nel Piemonte del capolarato

Bello il libro (1) di Olivieri e Pesce, bello e da leggere tutto d’un fiato (sono un centinaio di pagine) . Si tratta di una piccola grande storia di prevaricazione, di sfruttamento, sostanzialmente di “comportamento mafioso” che si è svolto (e forse si svolge ancora) qui da noi, nella civilissima “padania”. . Ce la descrive bene Olivieri quando, a pag. 19, non ha peli sulla lingua e con precisione descrive cosa sta succedendo: “Schiavi. Importiamo schiavi. Neppure chiamati per nome, ma con sprezzanti appellativi “il Grosso”, “Occhi di Gatto”, “Cassetta” e via di seguito, al posto di Hamid, Kassem ecc. (…) Nell’azienda agricola di “Bruno e Mauro Lazzaro” (…) a una quarantina di lavoratori immigrati – trenta uomini e dieci donne – mancavano solo le catene: orari di lavoro spaventosi, fino a 13/14 ore al giorno, sette giorni su sette, domeniche e festivi compresi; lavoro irregolare (su una quarantina di lavoratori ben 13 erano in nero); ricatti ed estorsioni (fino a 2500 euro versati direttamente al padrone per il rinnovo dei permessi di soggiorno); salari ridotti all’osso: pochi, pochissimi euro di soli acconti per circa 300, 350 ore di lavoro mensili; condizioni lavorative terribili, costretti a raccogliere ortaggi, sia d’inverno che d’estate, sotto il sole cocente, senz’acqua (al massimo c’era quella delle canaline di irrigazione) e con il cibo che si portavano da casa sulle loro biciclette, senza guanti, senza abiti, né scarpe da lavoro…(…) Con la stessa libertà degli schiavi. La catena in realtà c’era, ma non si vedeva. “

Questo succedeva (e in parte succede ancora in altre zone d’Italia, anche al nord), nei pressi di Castelnuovo Scrivia, ridente centro di quasi seimila abitanti sul margine est della provincia di Alessandria, vicinissimo alla Lombardia. Una situazione che abbiamo voluto raccontare citando testualmente lo scritto e che, il 22 giugno 2012, ha provocato una protesta che si è trasformata in una vera e propria vertenza sindacale con pressioni e richieste chiare da una parte a cui sono seguite, per parte padronale, serrate temporanee, tentativi di sostituzione di personale e, addirittura (seppure con esito negativo e penalizzante per la proprietà denunciante) una segnalazione alla magistratura di sette cittadini italiani e 28 braccianti (stranieri) con tanto di richiesta di intervento da parte della procura di Tortona e, quindi, dei Carabinieri. Non solo, gli stessi proprietari, anche se nel frattempo hanno scelto di tutelarsi con un marchio differente, dovranno  risarcire migliaia di euro ai lavoratori stessi, denaro che, per il momento, non è stato ancora consegnato. Vi è infatti ancora una vertenza aperta con la proprietà originale anche se, prima o poi, si arriverà ad una sistemazione del contenzioso, in ogni caso a vantaggio del personale bracciantile. Questa la vicenda raccontata in poche righe che si dipana in senso cronologico nel libro, con una comunicazione scorrevole e facile alla lettura. Quasi il contenuto prezioso di un bastimento che trova nell’introduzione di Boris Pesce e nella ampia bibliografia, la sua migliore collocazione. Davvero un involucro speciale con abbondanti riferimenti giuridici e di analisi sociologiche che dimostrano quanto sia importante il lavoro di Olivieri e Pesce, sicuramente degno di considerazione  in ambiente universitario o di Centro Studi specializzati. Ritornando al contenuto, Olivieri più volte stigmatizza il comportamento poco empatico della stessa popolazione castelnovese, così come segnala le ripetute pressioni (anche via lettera) , provenienti da ambiti sindacali vari , tesi a minimizzare la gravità dei fatti e a farli passare sotto silenzio o quasi. Anche le pagine che riguardano la dott.ssa Tafuri, prefetto di Alessandria in quel periodo, non sono tenere. Clima di diffidenza, difficoltà a capire le ragioni della giusta protesta, invito reiterato a  “non trascendere”, quasi come se tutto fosse poco più di una “ragazzata”. Ma, purtroppo, non è stato così e non sarà così in casi simili. Ciò che sta succedendo, specie in questi ultimi anni in ambito lavorativo, soprattutto in presenza di incarichi e sub-incarichi collegabili in qualche modo al fenomeno del “capolarato”, ce lo ricordano continuamente coloro che di queste cose fanno il loro lavoro quotidiano. Per esempio…bene fa il segretario nazionale della CGIL Landini a ricordare che “È una strage, lo diciamo da tempo. Quello che emerge è un modello di fare impresa che uccide, che è fondato sulla riduzione dei diritti e dei costi. Il lavoro è considerato una merce da comprare e vendere. A Latina è stato un atto di schiavismo disumano e sentire il commento dell’imprenditore, sentirgli dire che il bracciante è morto per una sua leggerezza, è come sentirgli dire che quello che è successo è un prezzo che si deve pagare a quel modello di fare impresa. Io credo che sia non più accettabile, bisogna cominciare ad agire, bisogna vietare di fare impresa in quel modo, vanno applicate le leggi che esistono nel nostro Paese. Qui parliamo di lavoro nero, caporalato, di persone clandestine: e allora bisogna cancellare la Bossi-Fini, muoversi in una misura completamente diversa. Non a caso noi stiamo facendo questa campagna referendaria: vogliamo cancellare leggi sbagliate perché questo modello di fare impresa in realtà è frutto della legislazione che negli ultimi venti anni si è affermata nel nostro Paese che ha reso possibile l’appalto, il subappalto, il lavoro precario, la logica fondata sulla riduzione dei diritti e non su qualità e innovazione. Il governo dia risposte e faccia leggi in questa direzione e anche il sistema delle imprese deve cominciare a prendere le distanze. Bisogna salvaguardare gli imprenditori seri, che rispettano i lavoratori e i diritti. In ballo c’è la libertà delle persone: una persona non è libera quando è precaria, quando rischia di morire al lavoro, quando non ha un salario dignitoso. E questa libertà bisogna affermarla con tutti gli strumenti a disposizione, dal referendum alle lotte, alla mobilitazione, ai contratti” …  (2). Parole  pronunciate di recente che non lasciano spazio a strumentalizzazioni o sminuimenti di sorta. Il “capolarato” esiste, si è mantenuto forte, vivo e vegeto in questi anni ed è refrattario ad ogni tipo di regolamentazione o controllo. Strumenti che, invece, a più riprese ha raccomandato l’ASGI ma che con il Governo attuale e con il revanchismo che sta caratterizzando la nostra società, saranno difficilmente applicabili. (3). Beh…prendiamo i suggerimenti dell’ASGI come un augurio e, per il momento, limitiamoci a conoscere più direttamente realtà crude come quella descritta in “Schiavi mai”. Realtà con cui siamo a contatto tutti i giorni ma che ci viene comodo ignorare. Grazie ad autori ed editore per questo contributo. Oltretutto i proventi delle vendite del libro (14.00 euro) andranno al Fondo Cassa di resistenza dei Braccianti della Bassa valle Scrivia. Anche questo un segnale che dovrebbe far riflettere.

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.1. Antonio Olivieri. Internazionalista da sempre, è stato segretario provinciale della Filcams, della Filcea e della Fiom. Già fondatore, con altri amici e compagni, dell’associazione Verso il Kurdistan, nel 2012 è stato tra i protagonisti della straordinaria lotta dei braccianti marocchini in Valle Scrivia. Da quell’esperienza è nato il Presidio Permanente di Castelnuovo Scrivia, tutt’ora dedito alla difesa del diritto all’abitare e al contrasto dello sfruttamento lavorativo nelle campagne. “Schiavi mai”, scritto con il ricercatore Boris Pesce, è il suo primo libro.

Boris Pesce. Si occupa di storia sociale, storia orale e storia del lavoro. Ha svolto ricerche presso l’Istoreto, l’Archivio storico Fiat, il Politecnico di Milano e l’Università di Torino. Attualmente collabora con l’Istituto Gramsci di Torino. Tra le sue pubblicazioni “Colletti bianchi a Torino”, “Il ceto medio e l’industria privata 1900-1945 (2010). “Gli impiegati della Fiat dal 1955 al 1999. Un percorso nella memoria (2015). “Eredi di una speranza. Casa , scuola, lavoro dei figli di immigrati a Torino dal 1945 al 1990 (2022).

“Schiavi mai”. La ribellione dei braccianti nel Piemonte del capolarato. Redstar edit. Roma. 2024.

.2. https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/landini-e-questo-modello-di-fare-impresa-che-uccide-va-cambiato-j69nj12f

.3.Il 22 aprile 2020  numerose associazioni e centinaia di persone di ambiti sociali differenti hanno proposto una regolarizzazione delle persone migranti, che si differenza per molti aspetti da altre che stanno circolando, compresa quella di “fonte” governativa. Innanzitutto, è una proposta che non seleziona i/le migranti sulla base dei soli bisogni del mercato del lavoro italiano (agricoltura, pesca, assistenza domestica) ma intende dare visibilità giuridica e dunque dignità (art. 2 Costituzione) alle centinaia di migliaia di persone straniere che vivono in Italia senza permesso di soggiorno o con permessi di tipo precario, le quali, per questa loro condizione, sono maggiormente esposte a sfruttamento ed emarginazione.

La proposta mira, nel contempo, a garantire in concreto il diritto alla salute di tutti/e, sia come bene individuale che collettivo (art. 32 Costituzione), poiché solo se ogni persona ha effettivo accesso alle cure e, in generale, al Sistema sanitario nazionale, è tutelata anche la salute collettiva. L’emergenza da Covid-19 ha dimostrato, casomai ve ne fosse bisogno, questa realtà incontestabile. Nel caso delle persone straniere, solo il permesso di soggiorno consente anche a loro quel diritto nella sua ampia articolazione e dunque la salute dell’intera comunità.

Infine, la proposta ha l’obiettivo di svincolare la regolarizzazione dal contratto di lavoro, consapevoli del grave fenomeno del “traffico” dei contratti che ha contraddistinto tutte le precedenti regolarizzazioni. Non è la sola ipotesi prevista, in quanto è senz’altro delineata anche la possibilità di far emergere il lavoro in nero, ma si è ritenuto importante indicare l’ulteriore ipotesi, alternativa, che permetta il rilascio di un permesso per “ricerca occupazione”.

Questo particolare permesso di soggiorno era previsto dall’originario Testo Unico immigrazione, d.lgs. 286/98, ma è stato abrogato nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, nonostante fosse l’unico meccanismo che non costringeva lo/la straniero/a al farraginoso meccanismo del decreto flussi (cioè dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro, poiché il lavoratore straniero può essere chiamato da un datore di lavoro solo se vive nel suo Paese), evitando pertanto il crearsi di ampie sacche di irregolarità. Abrogazione che, infatti, ha reso necessario, nel corso degli anni, periodiche regolarizzazioni/sanatorie, con cui è stato riconosciuto il permesso di soggiorno a 1,8 milioni di stranieri/e, cioè più del 50% di coloro che, cittadini non europei, vivono oggi regolarmente in Italia, il 60% dei quali ha un permesso di lunga durata.

Questi i tre caratteri distintivi della proposta presentata il 22 aprile, che, diversamente dalle altre, considera i diritti di tutte le persone che vivono in Italia “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3 Costituzione). Un’occasione per prefigurare una società più uguale, evitando che, dall’emergenza sanitaria astrattamente “democratica”, possa uscire una società ancora più escludente e divisiva.

La proposta di Asgi :”Per i/le cittadini/e stranieri/e che dimostrino, mediante idonea documentazione, la presenza in Italia alla data del 29 febbraio 2020, in condizioni di irregolarità o anche di regolarità ma con permesso non convertibile in lavoro, è rilasciato, a richiesta, un permesso di soggiorno per ricerca occupazione, rinnovabile e convertibile alle condizioni di legge, oppure un permesso di soggiorno per lavoro qualora alla predetta data del 29 febbraio 2020 o alla data della domanda il richiedente abbia in corso un rapporto di lavoro. Entrambi permessi hanno la durata di 1 anno dalla data del rilascio o quella maggiore secondo le disposizioni di cui all’art. 5, co. 3 d.lgs. 286/98. La domanda può essere presentata a partire da 8 giorni successivi alla entrata in vigore del presente decreto legge.

Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge e fino alla conclusione del procedimento di emersione sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le violazioni delle norme: a) relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, con esclusione di quelle di cui all’articolo 12 del d.lgs. 286/98 b) relative all’impiego di lavoratori, anche se rivestano carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale.

La sottoscrizione del contratto di soggiorno, congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione all’INPS, e il rilascio del permesso di soggiorno comportano, rispettivamente, per il datore di lavoro e il lavoratore l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma che precede. Il datore di lavoro assolve agli obblighi di natura fiscale, previdenziale e assistenziale relativi al pregresso periodo di lavoro tramite il versamento di un contributo forfettario pari ad € 500,00 per ogni lavoratore”.

 (https://www.asgi.it/lavoro-dirittisociali/regolarizzazione-e-la-costituzione/)

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