Il tempo che sta sfuggendo tra le carte del Premier

Nessuno sa più, con ragionevole certezza, quanto durerà questa crisi. E se lo stato d’eccezione si prolunga, per la democrazia sono guai. Solo le guerre hanno giustificato la sospensione indeterminata dei diritti fondamentali. E noi, per quanto spesso si ricorra all’analogia, non siamo in guerra. Per giunta, col sistema pervasivo e interattivo di comunicazione che ci ritroviamo, questa restrizione degli spazi contrasta con la moltiplicazione delle opinioni. E aumenta la tentazione di ribellione.

I guai di Conte nascono qui. Renzi – e gli altri contendenti, al momento un po’ più defilati – vedono la crescente difficoltà del governo nel dover prendere provvedimenti senza sapere se e quando, finalmente, usciremo dall’emergenza. Anche l’arrivo del vaccino, presentato come evento risolutore, è in realtà pieno di incognite. In primis sulla – complicatissima – logistica della distribuzione, un terreno su cui l’Italia è messa burocraticamente molto male. Che succede se sarà un mezzo fiasco? E si riuscirà davvero ad ottenere che si rispettino le priorità stabilite nella somministrazione? E ci staranno bene i criteri, magari partoriti – in extremis – con l’ennesimo DPCM?

Senza contare le nubi funeste che si addensano sul fronte epidemico. Che il virus potesse mutare, in teoria, lo sapevamo. Ma le recenti notizie inglesi sono state una doccia gelata. Anche perché sembrerebbero confermare le spiegazioni di come mai in Italia – e poi in tutta Europa – il Covid sia risultato tanto più aggressivo e contagioso che in Cina e nel resto dell’Asia. Con la terza ondata ormai data per certa a valle dei festeggiamenti natalizi con tutti a fare shopping sul Titanic, le maggiori preoccupazioni degli esperti sono per la tenuta di un sistema sanitario da troppi mesi e troppo duramente stressato. Ma allora, quando potremo veramente tirare il fiato? Non lo sappiamo. E il capo di Italia Viva non lo sa – statene certi – neanche lui. Ma ha fiutato che tutta questa incertezza comincia ad accumularsi sui processi decisionali dell’esecutivo. Più diventano urgenti le scelte, più cresce la sensazione di aver perso il bandolo di una soluzione capace di far svoltare il paese. Come in quella canzone di Endrigo, i ministri cominciano a leggerselo negli occhi. Ed è lo sguardo che infuoca l’animo di chi vuole far saltare il banco.

Non illudetevi. Non sarà con qualche cambio di poltrona che si risolveranno i problemi. Nemmeno se dovesse arrivare – ma poi, chi glielo farebbe fare? – l’ex capo della Banca europea. Ma il nodo di questa fase non è come far quadrare il cerchio, una ricetta che non ha nessuno. È trovarsi nella cabina di comando più potente – e più ricca – che un regime democratico abbia mai avuto. E Conte, agli occhi di Renzi e di molti altri suoi alleati, si trova lì da troppo tempo, e troppo solo. E accumula troppo potere. Mentre l’orizzonte della crisi si allunga nel buio dell’inverno. E la pazienza del paese comincia – inevitabilmente – a sfilacciarsi.

Per sottrarsi a questo attacco il Premier ha potuto contare, fino ad oggi, sulla botte istituzionale di non essere facilmente sostituibile. Ma ora che si allontana – e di molto – la luce della svolta in fondo al tunnel, questa protezione si incrina. Quando cresce il disagio e lo sgomento di un paese che non ce la fa più, la risposta che non c’è alternativa a questo governo in carica suona troppo politichese. Adesso servirebbe, invece, un colpo d’ala politico. Al di là delle reali intenzioni e della capacità di riuscirci, il discorso di Renzi ha il merito di indicare con chiarezza questa direzione. Se il Premier vuole sbarrare la strada al suo rivale, deve sfidarlo su questo stesso terreno. Per una volta, si rivolga al paese non per snocciolare l’elenco delle chiusure dei bar e della circolazione. Ma per aprire al futuro dove vuole portarci. Dicendoci con chiarezza che il quando, ormai, non ci è dato saperlo. Ma che, whatever it takes, ce la faremo.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 21 dicembre 2020).

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