Tutto sbagliato, tutto da rifare

Avevo sottomano un titolo più mordace ma ho optato per il più tranquillo e mitico giudizio del Ginettaccio toscano, Bartali per i meno attempati, del quale si ricorda la battuta e meno l’occasione.
Oggetto: le convulsioni post elettorali del PD e del suo entourage di commentatori accorsi a certificarne il disagio.
Siamo ancora, quando scrivo, nella settimana degli esiti, voti e seggi in parlamento, ma dopo tre giorni di penosa presa d’atto, è dilagato senza argini un diffuso, sofferto ”che fare”. Sofferto per alcuni, meno per altri, usi all’avevo detto sul tasso di illusioni di bandiera.
Primo indice di sofferenza: la significativa esagerazione del lutto. Mini coalizione a parte, il PD, pur con tutta la mobilitazione (oddìo) sul finale di campagna, ha conseguito un esito negativo ( il suo 19% vale meno tre punti e mezzo rispetto alle europee del 2019 e si colloca a pari livello rispetto alle politiche del 2018). Discreta scopola e conseguente delusione in confronto alle pur risicate
aspettative.
Nulla però, o ben poco, che giustifichi obiettivamente, nel normale alternarsi di alti e bassi elettorali, l’uso smodato di giudizi quali disastro, catastrofe, tragica sconfitta o “fine corsa” se non fosse per il rimescolio, di vecchia data, di dissapori sotto e sopra traccia, di perplessità sul condursi del partito. E l’uso, quantomeno precipitoso, di drammatici inviti alla rifondazione, al riprogettare dalle fondamenta, al salto del fosso, al chiudi e riapri bottega che si scambiano protagonisti e osservatori.
Poco importa o poco consolatorio che la rumorosa compagine leghista abbia subito uno smacco anche maggiore e abbia deciso, in tre giorni e con successo, di trattenere e blindare al proprio interno analisi e rese dei conti, gradi compresi da riassegnare al vecchio capitano.
Frattanto la prima reazione del, PD – Segreteria uscente, per contrastare subitamente il clima polemico-depresso di cui si diceva, è stata quella di prevedere già nei primi due mesi del nuovo anno una sorta di Congresso di resurrezione ( esiti da festeggiare a Pasqua?) con tradizionale scansione di stadi attuativi ( quattro: proposizione dei temi, ampia discussione, sintesi programmatica da approvare, emersione della coppia di candidati alla nuova segreteria che si affronterànno al voto nei famosi “gazebi”).
Che poi nella salvifica ramazzata debba essere compreso, eventualmente, il cambio del nome e del simbolo del partito, non so se sia una vera necessità di processo o una strizzatina d’occhio all’innovazione.
Acquista la bella, accorata requisitoria di Michele Serra (Repubblica, 27.09, Alla ricerca dell’identità perduta), la fulminea reazione tamponatoria della segreteria PD è apparsa improntata alla fretta di pagare pubblico dazio, e chiudere la partita mettendo al lavoro la struttura, i quadri, (l’intendence) prima che il costo politico aumentasse ancora.
Nell’avviare i lavori di recupero, è auspicabile poi, almeno a mio sommesso avviso, che non venga messo a latere un problema non meno importante del dibattito sulla nuova identità (software) : quello del tipo di insediamento (hardware) sul territorio e/o nel web, del nuovo partito (o movimento?) previsto e funzionale alle nuove esigenze di contatto con i cittadini.
Insomma correre ai ripari, certo!, ma secondo possibilmente una logica complessiva.
Dario Fornaro

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