Un venticello da sinistra

È bene attendere il ballottaggio di Roma, la cui posta è enorme e che potrebbe ammorbidire la botta. Ma il centrodestra esce male, molto male da queste elezioni. Non solo per le vittorie al primo turno del centrosinistra in tre città chiave della penisola. Ma perché la sconfitta denuncia un limite che rischia di andare ben oltre le amministrative: l’assenza – come Letta ha sottolineato – di un federatore di tre partiti che diventano sempre più conflittuali. Non c’è chi svolga il ruolo che in passato fu di Berlusconi. La leadership di Salvini, che sembrava due anni fa inattaccabile, è sfidata dalla Meloni, e viene messa in discussione addirittura all’interno della Lega. Sembra, insomma, che si sia ribaltata la situazione che, storicamente, è stata il tallone d’Achille del centrosinistra: l’assenza di un leader unitario, e i contrasti continui tra le troppe sigle che lo componevano – e scomponevano.

È presto per sapere cosa tutto ciò significherà quando gli italiani saranno chiamati a votare alle prossime politiche. Ma l’impressione sempre più diffusa è che il vento stia cambiando direzione. Sei mesi fa, il Pd era diviso sull’alleanza coi Cinquestelle, e si aggrappava al governo Draghi come ciambella di salvataggio in un tragitto di cui non riusciva a intravedere l’approdo. Con l’unica certezza che avrebbe perso la sfida con la destra. I risultati delle amministrative danno un messaggio diverso. Il centrosinistra resta magmatico, coi grillini ancora alle prese con una crisi di identità, e di consensi. Ma il Pd ne è ridiventato il baricentro. Sia per essere riuscito ad esprimere sindaci vincenti, direttamente dalle proprie fila o come esponenti autorevoli della società civile. Ma anche per le percentuali ragguardevoli in alcune città simbolo: a Milano, il Pd prende più voti dei tre partiti di centrodestra messi insieme.

Il successo del Pd va oltre la dimensione locale anche per il legame indiscutibile con la sua azione di governo. Tra tutti i partiti in lizza, i democratici sono stati, fin dall’inizio, i più convinti sostenitori di Draghi, e quelli la cui piattaforma – e ideologia – meglio si coniuga con gli orizzonti europei di cui il Primo ministro è alfiere. Letta ha buon gioco a rivendicare la coerenza e continuità coi successi – e la popolarità – del Premier, e a farsene garante e promotore. In questo – come ha notato Minzolini – il centrodestra non ha, invece, colto il cambio di direzione – e di passo. Pensando di poter continuare a coltivare messaggi e bandiere del vecchio populismo pre-covid, mentre il clima d’opinione, nel paese, era mutato. Un mutamento ancora più netto proprio in quel Nord dove la Lega aveva il proprio radicamento.

Non mancano, ovviamente, le ombre sul vento che comincia a soffiare a favore della sinistra. La leadership dei Cinquestelle non dovrebbe avere remore a convergere su Gualtieri nel difficile ballottaggio romano. Ma è tutto da verificare quanto l’appello verrà raccolto dagli elettori della Raggi, in gran parte ancora visceralmente anti-Pd. E se dovesse fallire la sinergia nella partita della capitale, i cocci non sarebbero facili da ricomporre. Né è chiaro quanto possa giovare il precedente napoletano che, fa, per il momento, storia a sé.

Qui la candidatura di Manfredi è stata un esempio irripetibile di fusione tra sintesi politica e autorevolezza tecnica. Grazie allo stretto rapporto con Conte, il neo-sindaco partenopeo è riuscito a incarnare a pieno titolo il nuovo corso di un’alleanza strategica tra Pd e Cinquestelle, ma conservando l’indipendenza di una professionalità di altissimo profilo. Che, accanto allo status accademico, può vantare una capacità gestionale che gli è valsa l’appoggio convinto del governatore De Luca. Si è molto insistito sul vantaggio per la candidatura di Manfredi di una pletora di liste in appoggio. Ma è un fenomeno che si è registrato anche a Milano. Ed è probabile che sarà proprio Sala il modello che all’ex-ministro interesserà coltivare.

Senza illudersi di potere attingere al ricchissimo retroterra industriale – e di servizi avanzati – che fanno della città meneghina un avamposto europeo. Ma puntando alle opportunità inaspettate che il PNRR mette a disposizione del Sud, e della sua capitale naturale. Non si tratta più di quattrini da elargire – più o meno – a pioggia. Ci sono grandi aziende e grandi gruppi che, dal Norditalia e dall’Unione, hanno bisogno di trovare a Napoli un interlocutore credibile e affidabile per gli investimenti che il governo sta mettendo in pista in questi mesi. La storia personale di Manfredi lo proietta in questa direzione. Se incrocerà la spinta del paese, sarebbe una svolta storica.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 5 ottobre 2021).

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*