Visco, la Sinistra e l’ombra della crisi: fiutando il vento.

Non è facile dare un quadro unitario ed efficace di ciò che sta accadendo oggi nel mondo. Tuttavia, è indispensabile descrivere gli eventi confusi che ci accadono sotto gli occhi, raccogliere le messe imponenti di informazioni che ci sono propinate ogni giorno, ordinando tutto questo materiale informe e ridando così senso alla materia dispersa della realtà. Nel compiere questo sforzo di razionalizzazione mi pare che si possa dare inizio alla nostra descrizione osservando come non si possa parlare oggi che di tre crisi che si manifestano concatenate l’una nell’altra. Si tratta di inquadrare una crisi di egemonia, quella liberale del mondo anglosassone, la crisi sanitaria dovuta alla epidemia da Covid, e di una grave crisi economica che non ha soluzione nelle ricette tradizionalmente usate negli ultimi decenni.

Iniziamo dall’economia, visto che questo elemento ‘strutturale’ mi sembra lo strato su cui scivolano le altre crisi, pur non essendo la prima presa in esame delle tre quella determinante la direzione dell’intero processo sociale, ma certamente l’origine di tanti fenomeni spesso perniciosi. Ci troviamo, dunque, in una situazione che molti economisti, spesso di impostazione marxista che mi appaiono coloro che più approfonditamente descrivono le debolezze del sistema, denunciano come ‘crisi da sovraproduzione’, determinata dalla crescente pressione sui fattori della domanda causata dagli aumenti vertiginosi di produttività oraria degli ultimi quarant’anni, e che una domanda alquanto asfittica a livello mondiale stenta a assorbire a dovere. La crisi da ‘sovraproduzione’ poteva esplodere già anni e anni fa, ma sono stati due elementi, giostrati sapientemente dalla direzione economica e geo strategica americana, a impedire il deragliamento strutturale del ‘treno capitalistico’. Mi riferisco al ruolo nuovo nell’economia mondiale giocato dall’estremo Oriente, ( vedi Cina, Vietnam, Corea ecc.), che ha costituito per molto tempo l’officina del mondo caratterizzata da produzione a basso costo, permettendo di spiazzare la forza della classe operaia in Occidente e di abbattere l’inflazione da costi, e infine, al fattore della finanza anglosassone, che ha permesso di tenere alta la domanda di consumi e di investimenti in Occidente malgrado il progressivo deteriorarsi dei livelli dei salari nei paesi più avanzati.

In questo modo, tuttavia, un sistema basato su centri produttivi a basso costo e una domanda trainata dalla finanza ha esposto l’equilibro economico globale ad essere intaccato e consumato da crisi sempre crescenti e ravvicinate di tipo finanziario; le bolle speculative, gonfiate a dismisura da una crescita dei valori dei titoli di credito, non giustificati da una base produttiva e di consumo sempre più asfittica, ha precipitato l’intero sistema ad un primo collasso finanziario nel biennio 2007 – 2008.

Siamo, dunque, giunti alle soglie del mondo di oggi; dal 2008 in avanti, la rinnovata ‘stagnazione secolare’, così è stata definita la nostra fase storica dall’economista americano Larry Summers, ha evitato un crollo definitivo di tipo produttivo e finanziario solo grazie alla enorme massa di denaro immessa nei sistemi bancari di mezzo mondo. Ma tale politica sta giungendo, come un arco esageratamente teso, al punto di tensione massima. Ci sono troppi capitali monetari che si trasformeranno presto in carta straccia se non potranno essere valorizzati tramite l’economia reale. Quest’ultima, tuttavia, sconta una crisi di scarsità di domanda, ( salari a livelli troppo bassi in quasi tutto il mondo, troppi paesi che vogliono esportare e deprimono le loro domande), e un accentuarsi della dinamica tecnologica che accelera l’aumento della produttività oraria che non ha precedenti nella storia dell’economia mondiale.

In sostanza, l’economia sconta un tale abbassamento del livello della domanda globale che a nulla valgono gli sforzi profusi nel tenere i tassi di interesse bassi e nel pompare denaro nel sistema bancario. A mio avviso nei mesi estivi abbiamo già raggiunto un punto di svolta drammatico: a Jackson Hole il presidente della FED degli Stati Uniti è apparso cristallino nella sua prolusione, ‘dobbiamo cambiare la politica monetaria degli ultimi trent’anni, ovvero far correre e non reprimere l’inflazione appena essa rialza la testa’. In sostanza ciò vuol dire qualcosa che modifica i piani di tutti gli attori in campo. L’inflazione consente di ripagare debiti, che gravano su banche e sugli attori pubblici, impedendo il totale fallimento del sistema, tuttavia, il deprezzamento del Dollaro che ne consegue per natura ad una politica monetaria inflazionistica, accelera la crisi di egemonia americana.

E qui giungiamo alle soglie della seconda e della terza crisi. In questi mesi si è potuto notare come le classi dirigenti Occidentali sono sempre meno in grado di presidiare i pilastri che reggono il sistema liberale, e valgono a poco le ricette di coloro che, illusi di poter restaurare il buon tempo antico appena passata la crisi, si ostinano a somministrare le vecchie ricette austere senza comprendere che in tale modo si accelera il crollo dell’intera impalcatura della così definita ‘democrazia liberale’. Il sistema democratico entra all’interno di una fase di convulsioni incontrollabili addirittura negli USA, nel centro dell’Impero, la gestione della economia oscilla fra il desiderio di restaurare ‘l’ordoliberismo’ e la necessità di implementare e ampliare nuove politiche di intervento pubblico per gestire una crisi sociale che ormai afferra vasti strati dei ceti medi. Infine, si accentuano le tensioni internazionali, anche fra paesi Nato, (si pensi al conflitto sfiorato fra Grecia e Turchia), e la guerra pare essere, per alcuni ambienti delle classi dirigenti Occidentali, un modo per tenere sotto controllo una società ormai in preda a processi non più controllabili. Tuttavia, meccanismi che inneschano conflitti ampi e generali, rischiano di ripoliticizzare le masse, con evidenti rischi per la tenuta del sistema di potere attuale, aggravando quella assenza di controllo della società che si vorrebbe riportare, invece, ad uno stato di totale calma. In tale contesto, la crisi sanitaria è semplicemente un acceleratore dei processi sopra descritti, e tuttavia il fatto che la crisi sociale e politica si svolga a ritmi sostenuti può rendere impossibile dominare i conflitti che si stanno aprendo fra le classi e l’alto e il basso del corpo sociale. In questo difficile autunno si potrebbe determinare il fatto che non vi sia più la possibilità di dover scegliere fra il blocco dell’economia e il giusto salvaguardare la salute dei cittadini. E’ possibile, dunque, che si determini un situazione in cui pur non bloccando l’economia per motivi sanitari si determini comunque una situazione dominata da crolli bancari, fallimenti e disoccupazione a livelli mai visti, e, per contro, non si sia comunque in grado di frenare l’epidemia e di garantire il diritto alla salute per vasti strati della popolazione. Se ciò si determinasse in pochi mesi tutte le classi dirigenti dell’Occidente sarebbero travolte dallo sdegno popolare e da una irreversibile crisi di legittimità.

Cosa c’entra tutto ciò con la riflessione che l’ex ministro Vincenzo Visco, uomo della sinistra democratica di lungo corso, oggi in MDP, che in un articolo del 7 ottobre sul quotidiano Domani rilancia la sinistra della giustizia sociale contro la riproposizioni tardive e destinate al fallimento della ‘Terza via’ di bleriana memoria? Molto a mio avviso. Visco, nei primi paragrafi dell’intervento a stampa, chiarisce molto bene come le concezioni della sinistra e del liberalismo non coincidano, pur se possono queste collaborare e trovarsi alleate in diverse fasi e intemperie storiche, ma sono alternative nelle ragioni di fondo. Ciò che le divide, mi pare questa l’essenza delle argomentazioni di Visco, è il concetto di giustizia sociale, che deve contemperare e integrarsi con la libertà, e la difesa del ruolo del lavoro dentro una società capitalistica che tende a rendere il lavoratore mero strumento della accumulazione del capitale. Dentro questa crisi, sopra descritta, si stanno affermando tre atteggiamenti caratteristici per affrontare la difficile fase. Il primo atteggiamento contraddistingue le classi dirigenti liberali le quali sperano di restaurare le leggi del bel tempo che fu, le leggi della austerità liberista, appena sia terminata l’emergenza sanitaria. Essi si illudono come ho prima illustrato. Il secondo atteggiamento riguarda la destra religiosa e nazionalista, la quale soffia sulla insofferenza sociale del popolo, ma in realtà non ha soluzioni per uscire dalla crisi, se non imporre scelte regressive come ulteriore compressioni dei diritti del lavoro e dei diritti sociali e alimentare le tensioni e i conflitti internazionali. Il terzo atteggiamento è ancora in parte assente dalla scena, impedito dalle proprie timidezze e dal pensiero errato e stigmatizzato da Visco, il quale tende a identificare il liberalismo e la sinistra. Ma per Visco, e anche modestamente per chi scrive, se la sinistra vuole essere protagonista di una fase così difficile ed angosciosa, deve sapere tracciare una linea di confine chiara fra sé stessa e la cultura liberale. La sinistra deve, sopratutto oggi, costruire un progetto di trasformazione radicale della società, e ritrovare nei classici del suo pensiero e nei grandi passaggi della nostra costituzione una risposta di ‘civiltà’ alla crisi che è nelle corde e nella sua ispirazione storica. Si può parlare di tutto ciò seriamente? I temi per discutere non mancano e l’urgenza del momento premono, ciò che è mancante è il luogo organizzato per incontrarsi. Forse è giunto il momento di porsi seriamente il problema del luogo dove classicamente si fa la politica, ovvero il partito.

Alessandria 12-10-20                                                                Filippo Orlando.

Foto di proprietà della redazione CF: “La strada difficile”

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*