Così come continuano, malgrado tutto quel che è successo (l’elenco è
superfluo), a votare per Berlusconi, alcuni milioni di italiani insistono a
informarsi sulle cose d’Italia e del mondo leggendo i noti giornali finanziati
dal padrone di Mediaset esperto in falsi di ogni genere, specie propagandistici
e fiscali (senza qui rivangare le cene eleganti, il bunga bunga, i convegni
privati, ma con scorta di polizia, con signore e signorine disinvolte e le
ripetute figuracce davanti all’Europa e al mondo intero). E’ incerto se la
fedeltà sia dovuta ad intima convinzione, nostalgia del passato, desiderio di
apprendere notizie negative sull’usurpatore o altro ancora.
Ora, non si può certo giurare che ogni notizia pubblicata dalla stampa
definibile in via approssimativa come indipendente sia del tutto genuina,
veritiera, completa e immune da suggestioni contrastanti con l’obbiettività che
viene normalmente richiesta alla pubblica informazione. Ma da qui a preferire,
per “viaggiare informati”, i giornali di cui sopra, il salto logico non sembra spiegabile
se non con un tenace rifiuto di prendere
atto della realtà.
Qualche esempio di serietà professionale dei suddetti, anche fuori del
campo della politica generale.
Poco tempo prima della sentenza definitiva della corte di cassazione di
condanna per la nota enorme frode fiscale internazionale è comparsa con gran
rilievo tipografico la strabiliante notizia dell’arrivo dall’America di una
serie di prove schiaccianti della totale inconsapevolezza del caimano circa le
manovre evasivo-fraudolente in questione. Dunque, si ammetteva per la prima
volta che frode c’era stata, contrariamente a quanto sostenuto per anni nel
processo dai principi del foro ingaggiati dall’interessato. Inoltre, la
stranezza eclatante della notizia, indipendentemente dall’identità dell’autore
o degli autori del misfatto, saltava immediatamente agli occhi considerando che
di tali prove decisive non s’era avuto il minimo accenno - sia pure per
lamentarne la mancata acquisizione - nel corso degli anni ed anni in cui si era
svolto il processo nei vari gradi, costellati di tutte le istanze, eccezioni e
proteste possibili e immaginabili; ma dove stavano i brillanti difensori quando
si discuteva all’infinito? Infine, particolare non irrilevante, restava oscuro
se si trattasse di prove testimoniali o documentali o ancora di altro genere.
Dopo qualche giorno la grande notizia è caduta nell’oblio assoluto.
Segue una variante. I difensori avrebbero annunciato il sicuro successo
del ricorso per revisione del processo, unico rimedio previsto dal codice
contro le sentenze definitive, per “l’evidente” errore giudiziario commesso in
tutti e tre i gradi del giudizio. Anche qui restava indefinito se la revisione
dovesse essere fondata sulle sullodate prove americane o su altro genere di
fatti e di risultanze. Dopo tanti mesi, del ricorso in questione non vi è stata
più notizia alcuna e il redattore è passato disinvoltamente ad altri argomenti
ritenuti più interessanti e tali da far dimenticare il promesso miracolo
giudiziario.
Altro titolone: il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo per
la pretesa evidente violazione dei diritti fondamentali di libertà, di difesa,
di opinione etc. etc. In parole povere, la “doglianza”, per usare un termine
forense, sarebbe consistita nella tesi secondo cui un soggetto che aveva
riportato un mucchio di voti in sede di elezioni politiche ed aveva avuto
l’onere e l’onore di ricoprire la carica di primo ministro conseguendo
strepitosi successi sul piano interno e su quello internazionale (opinione del
tutto soggettiva), nonché ricchissimo imprenditore televisivo e in tempi ormai
lontani palazzinaro provvisto di capitali di ignota provenienza, non poteva
essere processato da giudici che erano stati incaricati della loro funzione per
effetto di semplice concorso, senza investitura popolare. Per di più, un
soggetto del genere non poteva essere incriminato per frode fiscale (ed
evidentemente neppure per altri reati comuni) essendo egli praticamente
“legibus solutus”, cioè escluso dalla norma generale di eguaglianza di tutti
davanti alle leggi dello Stato, della Comunità europea e internazionali.
Secondo copione, neppure tale fantasioso ricorso ha avuto seguito nella prassi
e nelle notizie per il pubblico degli utenti. Non si sa veramente cosa pensare,
o meglio, si deve concludere che la fabbrica del fumo funziona
continuativamente e, pare, utilmente.
L’”affaire” Dell’Utri. A leggere gli articoli-previsione-auspicio
pubblicati a ripetizione, si trattava di una montatura dei soliti p.m.
bolscevichi e golpisti contro un noto galantuomo scelto dall’Unto dal Signore
per la cura dei propri affari personali assolutamente non trasparenti, specie
quelli di cui si erano interessate persone che contavano in Sicilia e dintorni
e con le quali occorreva mantenere più che opportuni contatti. La Cassazione,
assicuravano i solerti informatori, avrebbe quanto prima fatto strame delle
inconsistenti e persecutorie motivazioni dei giudici di primo grado e di
appello circa la (inesistente) partecipazione esterna ad associazioni mafiose dell’amatore
di libri rari e scopritore di memorie mussoliniane fasulle. La Corte suprema,
ahimé, non solo ha confermato il persecutorio verdetto dei giudici di merito ma
ha anche rincarato la dose ponendo in rilievo nella motivazione la notevole
pericolosità sociale del soggetto desumibile dalle molteplici relazioni con
noti personaggi della malavita organizzata, bancarottieri, corruttori,
speculatori immobiliari e trafficanti di genere vario ma sempre oscuro. Per la
verità, pare che la Corte abbia persino esagerato elevando al rango di “uomo di
panza” uno che poteva forse essere meglio assegnato a una specie inferiore del
genere (ominicchi o quaquaraqua?); ma tant’è, sempre di mafia si sta parlando.
Anche qui è calato il silenzio, rotto soltanto dalle notizie sull’estradizione
e sulle caritatevoli visite all’illustre detenuto da parte di signore e signori
del Movimento.
Tra le ultime novità, l’inatteso (ma non troppo) sostegno e
incoraggiamento al progetto politico del giovane Matteo sottoscritto da
autorevoli opinionisti del gruppo; e ciò dopo la serie dei noti attacchi
d’obbligo ante e post elezioni europee, le caricature e le predizioni di insuccessi.
Ma non c’è da meravigliarsi troppo. Uno storico delle cose d’Italia
rievocherebbe quel trasformismo che è stato caratteristica pressoché costante
della politica nostrana successiva all’Unità e della pubblicistica di sostegno.
Salire sul carro del vincitore è, come noto, pratica ormai collaudata nella
nostra storia passata e recente. E la stampa di (ex) regime deve accompagnare
fedelmente il processo finalizzato ad appropriarsi degli eventuali successi dei
nuovi arrivati o quanto meno a propagandare i contributi, anche se immaginari,
dei provvisoriamente sconfitti; salvo riserva di saltare giù in caso di
fallimento. Tutto ciò dovrebbe allarmare il nuovo giovane premier anche e
soprattutto in considerazione della evidente strumentalità di queste novelle e
sospette manifestazioni di apparente amicizia e fiducia direttamente incidenti
in modo nettamente negativo, tra l’altro, sulla coesione delle varie correnti
interne al raggruppamento politico che ha vinto le elezioni europee, correnti
che già di per sé si caratterizzano (anche se la cosa presenta alcuni aspetti
positivi, quali il rispetto della dialettica democratica interna e
l’approfondimento dei problemi) per la vivacità spesso eccessiva dei contrasti.
Altra novità recente: l’annuncio, peraltro riportato anche da altri
giornali, di una specie di inciucio diretto all’elezione a giudici
costituzionali di un noto ex magistrato passato da tempo alla politica nelle
file della sinistra e di un altrettanto noto (specie per la produzione di
cavilli a getto continuo) avvocato difensore dell’Unto nei vari processi penali
che negli scorsi anni, anzi decenni, hanno visto costui imputato di reati vari
anche gravissimi. Notizia strettamente collegata ad altra già sventolata
periodicamente: la minaccia da parte del diretto interessato di togliere
l’appoggio della propria provvisoriamente malconcia clientela politica alle
riforme progettate dal novello premier nel caso di rifiuto di adeguate
contropartite, sempre rigorosamente ad personam, in primis la grazia “sovrana”
e totale o una nuova legge ad personam destinate a permettere il ritorno del
soggetto alla piena “agibiltà” politica. Si ignora, almeno per ora, quanto
fondamento abbia la prima; ma la seconda, che tra l’altro suona indirettamente come smentita di tutte le
precedenti pretese di estraneità al malaffare, è refrain da tempo ricorrente
fondato sulla asserita indispensabilità dell’uomo e fa mostra di ignorare, tra
l’altro, le cause ostative del beneficio costituite da altre condanne penali in
vista, delle frequentazioni più che sospette e dalla condotta in generale
tenuta da sempre dal caimano. La realizzazione anche in parte di tali
prospettive rientrerebbe ampiamente nell’osceno ormai abituale di certi livelli
della vita politica italiana.
E’ infine arrivata l’assoluzione del caimano, in sede di appello, dalle
imputazioni del cosiddetto processo Ruby. I motivi del capovolgimento radicale
della condanna di primo grado restano al momento non noti, in assenza della
motivazione che si avrà tra 90 giorni. La corte ci dovrà spiegare
esaurientemente, con solidi e convincenti argomenti, perché non sia
configurabile il reato di concussione nel comportamento di un capo di governo
che, in contrasto palese con le leggi vigenti e con le espresse direttive del
giudice per i minori, esiga con più o meno buone maniere da un funzionario di
polizia svegliato nella notte l’immediata consegna di una prostituta minorenne
(oggetto delle attenzioni satiriaco-maniacali del richiedente e indicata sfacciatamente
come nipote del presidente egiziano) ad una signora sconosciuta negli ambienti
giudiziario ed assistenziale-minorile ma ben nota in altri più frivoli, per
usare un eufemismo; e ottenendo obbedienza immediata per evidente timore di
conseguenze negative! Ma a parte tali considerazioni, il clamore carnevalesco-trionfale
della corte dei vassalli e dei valvassori rimasti in servizio sulla immaginaria
riabilitazione integrale per effetto di una decisione riguardante soltanto
alcuni episodi del “cursus honorum” del Nostro, già condannato in via
definitiva per altri gravi reati e comunque definitivamente marchiato dagli
insuccessi politici a ripetizione, dagli inqualificabili comportamenti pubblici
e privati e dal ridicolo internazionale, ha trovato adeguata risonanza anche in
un “foglio” che si proclama indipendente per meglio usufruire, a quanto pare,
dei preziosi aiuti finanziari dell’interessato, al quale da sempre dedica
devoti consigli e preziosi suggerimenti di condotta politica. Foglio che,
secondo lo stile dal suo direttore, ha coperto di insulti sanguinosi altri
giornalisti che in passato si erano permessi di narrare al pubblico le imprese
politiche, finanziarie e giudiziarie dell’Unto dal Signore elargito all’Italia
dalla divina provvidenza.
Il notiziario potrebbe continuare.
Ma quanto sopra basta e avanza, pare, per far riflettere sulla totale mancanza di
affidabilità e soprattutto di rispetto dell’interesse pubblico ad una
informazione passabilmente corretta che caratterizza questo genere di stampa al
servizio di un personaggio da sempre perseguente in modo esclusivo, sin dalla
sua “discesa in campo”, il proprio utile personale e aziendale, con dispregio
totale, dietro lo schermo dei discorsi autoelogiativi e delle falsificazioni
sistematiche, di quel senso dello Stato che dovrebbe informare ogni atto
politico a prescindere dall’orientamento degli attori.
Ed è anche occasione per prendere atto con realismo delle apparenti stranezze
dell’arte di governo la quale, come direbbe il
Machiavelli, spesso è costretta dalla necessità ma in vista del superiore
interesse della cosa pubblica a scendere a compromessi ed a frequentazioni che
sarebbero giustamente considerate inammissibili per la morale privata.
E speriamo che questo superiore
interesse sussista in concreto e trovi soddisfazione.