Il futuro del centro-sinistra
Cofferati e Renzi
Franco Livorsi
Ci fu un tempo in cui Cofferati mi piaceva molto. Era stato
un segretario di categoria e poi generale della CGIL al tempo stesso molto
pragmatico e molto determinato. Aveva firmato molti buoni accordi. Non aveva
esitato a polemizzare anche con D’Alema quando questi era stato presidente del
Consiglio. E contro la politica economica del governo Berlusconi aveva saputo
promuovere una manifestazione di tre milioni di persone a Roma, rivolgendo ai
convenuti parole che andavano all’anima dei lavoratori. Libero da impegni
sindacali nella CGIL, era poi diventato, nel 2002, un leader autorevolissimo
dei Democratici di Sinistra, uno dei partiti in cui si era incarnato il PCI
dopo lo scioglimento del 1991. Speravo che potesse diventare, per tali ragioni,
il traghettatore dei Democratici di Sinistra nel socialismo democratico europeo
“senza se e senza ma”: entrandovi per la
porta di sinistra (quella di Mitterrand e infine di Jospin, ossia
dell’alternativa di sinistra politica e istituzionale, per intenderci). Mi era
sempre parsa l’evoluzione naturale della sinistra in un paese in cui dal 1948
il primo partito era stato il PCI. Qui il socialismo democratico in senso
europeo avrebbe potuto essere solo di sinistra, pensavo ben prima dello
scioglimento del PCI. Per tale rinascita “positiva”, ed unitaria, il leader non
è tutto, ma è un fattore importante: una condizione non sufficiente, e neanche
preponderante, ma necessaria. Al proposito non ho mai avuto pregiudiziali verso
i grandi sindacalisti nella politica, e perciò speravo che Cofferati avrebbe
potuto diventare il grande leader da contrapporre a Berlusconi che la sinistra
non aveva saputo esprimere negli anni del crollo del comunismo e della necrosi
della prima repubblica. Del resto. già alla morte di Berlinguer (1984), quando
ero il capogruppo del PCI nel Comune di Alessandria, avevo auspicato che il PCI
puntasse su un grande leader di pari livello rispetto all’Enrico tragicamente
scomparso, e di altrettanto grande popolarità e connessa autorevolezza, ma apertissimo
al socialismo riformista. Speravo che si sarebbe puntato non sul solito Vice in
carriera da una vita di Berlinguer, cioè sul pur onestissimo Natta, ma su
Luciano Lama. Non fu così. Anche per quella via si sarebbe potuto entrare nel
socialismo democratico europeo “da sinistra”, senza ammazzare quel che di
democratico e riformatore c’era pur stato - sia
pure insieme a non poca zavorra burocratica ed unanimista - nel grande comunismo
italiano; ma anche senza calare le brache di fronte al Capitale, come la destra
socialdemocratica saragattiana, e non solo, aveva fatto. Tuttavia non fu
possibile: non solo nel 1984 (alla morte di Berlinguer), ma neanche nel 2002-2003,
quando Cofferati era spontaneamente seguito da folle di simpatizzanti ovunque
andasse. Tra cui noi di “Città Futura”, che stavamo nascendo. Con Cofferati,
insieme alla Camera del Lavoro di Alessandria ed altri, facemmo una
manifestazione al Cinema Ferrovieri, in cui per noi parlò, con efficacia, il
nostro amico Renzo Penna, e in cui, su invito dell’allora segretario uscente della
CGIL parlai brevemente anch’io. In quella fase scrivevo regolarmente sul
“Piccolo” e volli discutere lì, il 6 novembre 2002, nella stessa giornata del
dibattito, la prima biografia del personaggio: “L’ultimo leader. Biografia di Sergio Cofferati”, di Nunzia Penelope
(Editori Riuniti, Roma, 2002). Il solito D’Alema, in quella fase, cominciò il suo
ricorrente gioco di far fuori i grandi leader non figli della burocrazia di
partito (come Lama, come Cofferati, come Renzi, se gli fosse riuscito),
cominciando a dire che, in politica, i sindacalisti non vanno bene. E tanti
clarinetti dell’ex apparato comunista gli dicevano di sì. Meglio Natta, meglio
Fassino, meglio Bersani, insomma “l’usato sicuro” … Cofferati riempiva piazze e
sale ovunque andasse, ma non gli fu spianata alcuna strada, nonostante la
povertà di leader, denunciata allora da Nanni Moretti su una Piazza di Roma
(“con questi leader perderemo sempre”). In alternativa gli fu offerto di andare
a fare il sindaco di Bologna. Con delusione successiva dei bolognesi, perché il
“Sergio” era nato agitatore e leader d’organizzazione di massa e non
amministratore. Fu per me la prova, percepita con malinconia, che Cofferati –
contro quello che avevo sperato - non era un leader nazionale, ma uno pronto a
gettare la spugna prima della battaglia decisiva, vendendo la primogenitura per
un piatto di lenticchie municipali (poi andategli pure per traverso). Dopo di
che Cofferati divenne deputato europeo, e tale resta. Infine gli si prospettò
l’occasione di diventare candidato del centrosinistra per governare la Liguria
ed accettò. Ma i tempi erano cambiati perché nel frattempo era nato il PD,
sorto dall’unione - stranissima storicamente - tra post-comunisti e post-democristiani.
Una formazione politica seleziona i capi conformi alla sua natura. Così arrivò
Renzi, un uomo finalmente nuovo, giovane, leader, post-comunista, già della
sinistra “cattolica” ma per nulla democristiano, come non lo è Rosy Bindi: il
nuovo segretario del PD che ha subito fatto aderire il suo partito – cosa mai
fatta nei sei anni di vita precedenti del PD - al Partito Socialista Europeo; e
lo ha fatto diventare, con le elezioni europee, il primo partito della sinistra
europea, popolarissimo in tutte le socialdemocrazie fuorché in Italia. In
pratica come sinistra, con Renzi, si è finalmente usciti dal guado del non
essere “né comunisti né socialisti” e si è entrati a vele spiegate nella
socialdemocrazia europea. Ma per la porta della destra socialista europea. Siccome
i comunisti (o meglio i postcomunisti), da Occhetto a D’Alema, avevano impedito
che ci si entrasse “alla francese”, da sinistra, per la via di Jospin, bocciando
ogni aperta metamorfosi socialista, anche fatta per unire tutta la sinistra
come avrebbe potuto esser fatto tra 1989 e 1991, e ogni leader non sgusciato
dall’apparato ex comunista, si è sfondata la porta della socialdemocrazia
europea “in Italia” da destra, per la via di Tony Blair. Tanto più che il
riformismo, dopo la fusione tra ex comunisti ed ex democristiani, poteva ormai
essere solo un “ultrariformismo”, sulla linea della destra socialista europea. Per
questa stagione, ma la storia non finisce qui. Quelli che strillano come aquile
contro il “rinnegato Renzi”, come Lenin nel ’19 gridava in un suo famoso
piccolo libro contro il “rinnegato Kautsky”, avrebbero dovuto impedire la
nascita del PD, cioè il matrimonio tra post-comunisti e post-democristiani, e
soprattutto avere il coraggio di lasciar nascere un leader molto forte fuori
dalle loro piccole vecchie logiche da uomini di apparato che avevano tutti acquisito
i gradi da “colonnello” o “generale” nel PCI. Oggi lì è tutto un lamento da
“secchia rapita”, ma ormai è tardi. Indietro nella storia non si torna. Ormai
la socialdemocrazia europea “di sinistra”, ammesso e non concesso che non sia
la solita ribollita “né socialista né comunista” velleitariamente cercata da
Occhetto e da tutti gli epigoni del PCI, si può tentare solo spaccando il PD di
Renzi; ma gettando via, se lo si farà, l’acqua sporca col bambino, e facendo
sfacciatamente, senza crederlo, il gioco del centrodestra, ridando ad esso
ossigeno: un centrodestra fattosi nel frattempo sempre più lepenista e
xenofobo, cioè fascistoide. Ma naturalmente pretendere che anche i migliori
epigoni del defunto comunismo o marxismo, rivestitisi di panni costituzionali
ma sempre ugualmente minoritari e marginali rispetto al “mondo della politica”,
possano comprendere che per tal via si opera per la sconfitta della sinistra e
per il trionfo di una destra-destra sarebbe eccessivo. Comunque la loro
irritazione, benché tardiva dopo il matrimonio coi democristiani di sette anni
fa, “umanamente” si può capire. Il “renzismo”, infatti, ha segnato la fine di
tutta la vecchia guardia, compreso Cofferati. Ha pure posto fine al diritto di
veto, implicito, dei sindacati sulla politica sociale, irritando a morte chi l’aveva
esercitato. E tutta questa “vecchia guardia” naturalmente si è irritata. Perciò
sembra italicamente pronta a rovinare il riformismo possibile per costruire,
tramite la fabbrica della nostalgia, nuovi “strumenti” all’antica, nuovi
partiti, costi quel che costi. Questa “vecchia guardia” della sinistra non è né
stupida né irresponsabile, per come la conosco io. Ma è tentata dallo scissionismo: dopo che la CGIL è
scesa in campo contro Renzi e dopo che si è profilata la vittoria di una nuova
sinistra in Grecia. Tuttavia la CGIL, dopo l’acme dell’opposizione sociale
dello sciopero generale avvenuto, secondo me nell’anno in corso - non saprei
dire quando - dovrà tornare all’interlocuzione col governo, e Renzi, che è un
po’ cinico ma niente affatto stupido, dovrà fare altrettanto, per molti motivi
che non sto a elencare. Con ciò la retrovia “di massa” della CGIL, per un
“nuovo partito”, verrà subito meno. Quanto alla Grecia, essa è un piccolo
glorioso Paese che è totalmente difforme dall’Italia; è un Paese paragonabile
per sviluppo capitalistico alla Calabria. Perciò, dal più al meno, la “nuova
sinistra” resterà quella vecchia, più o meno ferma al 5%, generalmente non
raggiunto, dal 1964. Oltre a tutto l’idea che il nuovo leader di una nuova
sinistra nascente non sia uno come Maurizio Landini, che non vuol saperne di
smettere i panni da sindacalista, che in effetti sarebbe il solo che avrebbe
l’età e il carisma giusti “alla bisogna”, bensì un vecchio leader più volte
bruciato dalla storia come l’ottimo Cofferati, è davvero una pia illusione.
Ma torniamo ai
“fatti recenti di Liguria”. Dati i tempi “renziani”, a Cofferati, lì, si è contrapposta
la quarantenne Raffaella Paita, che l’ha distanziato. Lo scontro aspro da un
lato, e la volontà di molti ex – o non ex – di destra di condizionare il PD
votando la “renziana”, hanno prodotto episodi gravissimi, da condannare in modo
alto e forte, che hanno portato ad annullare il voto di tredici sezioni,
facendo però emergere ugualmente un distacco netto a favore della Paita di 4500
voti, poco meno del dieci per cento dei votanti alle primarie, ossia assoluto. Cofferati
non ha accettato il risultato ed ha preferito uscire dal PD, però guardandosi
bene dal mollare il seggio europeo restituendolo al partito che l’ha eletto. E
nessuno gliel’ha neppure chiesto. I tempi ormai sono così per tutti.
Naturalmente tutti
gli oppositori di Renzi hanno gridato all’untore, che sarebbe il Matteo, il
“rinnegato Renzi”. Egli avrebbe preso il problema sotto gamba, trattando in
modo spiccio la grave questione. Personalmente non concordo, anche se non sono
iscritto ad alcun partito. Ho seguito, come faccio sempre, la Direzione del PD,
venerdì 16 gennaio, dalla prima all’ultima parola, per TV. La questione è stata
sollevata in almeno cinque brevissimi interventi, per lo più genovesi, ma pure,
e con più decisione e calore di tutti quanti gli altri a favore della Paita,
dal sindaco di Alessandria, Rita Rossa, che forse varrebbe la pena
d’intervistare in proposito. Renzi ha ricordato che sulla questione si è
pronunciata una commissione di vigilanza del PD presieduta da un giudice al di
sopra di ogni sospetto già membro della Corte Costituzionale. Questa
Commissione ha annullato il voto di tredici sezioni e però stabilito che,
ciononostante, la Paita aveva vinto con uno scarto di ben 4500 voti. Ora si
trattava di lavorare unitariamente – ha detto Renzi - per far prevalere il PD e
il centrosinistra anche in Liguria. Può essere vero, come diceva Bersani per TV
il 19 gennaio sera a Lilly Grüber,
che le primarie vanno riformate, ma ciò naturalmente varrà per primarie future.
Non certo per fare lì nuove primarie. E comunque se alle primarie del PD vanno
a votare ex votanti di destra, “purché” non eletti in liste, e non tuttora militanti
iscritti ad altri partiti, e non “pagati”, questo si chiama sfondamento del
fronte avversario, e potrebbe essere visto male solo da puri masochisti. Se gli
altri si sgretolano, noi abbiamo il dovere di aiutarli a sgretolarsi. Fatevelo
spiegare da qualche ex dirigente comunista sopravvissuto.
Non sono un
militante, ma un osservatore partecipe. E renziano. Sono contento che finalmente
un vero nuovo leader – giovane, abbastanza colto, furbo, concreto e
determinato, com’era ed è necessario - sia emerso, grazie al Cielo, finalmente,
“dalla nostra parte”. Ma sono molto preoccupato. In queste settimane e giorni
si sta segando il ramo su cui si è seduti. Ho notoriamente una buona memoria
politica su oltre cinquant’anni di storia vissuta, oltre ad averla molto
studiata “en historien”. Tra il 1962 e il 1974 furono fatte grandi riforme, che
ci hanno dato un Welfare State molto avanzato, rese possibili dalla dialettica
costruttiva tra governi di centrosinistra più o meno riformisti (democristiani
di sinistra e socialisti) e opposizione di sinistra. politica e sindacale
(sostanzialmente comunista). Ma dopo? – Dopo non è arrivato quasi niente. Certo
abbiamo visto tanti uomini di sinistra al governo. Ma per fare che? - Tanti
sacrifici, e inoltre la storica adesione dell’Italia all’Unione Europea e
all’euro. Tutte cose importantissime, ma di per sé non “di sinistra”.
Ora arriva un PD
che per la prima volta governa quasi da solo (il che è già un elemento di
alternativa di sinistra), e si pone come protagonista dell’innovazione in
politica economica e soprattutto a livello di macchina dello Stato. Se Draghi
in Europa ha potuto spingersi così avanti contro politiche deflazionistiche, il
renzismo “c’entra” (e molto, come fuori d’Italia tutti riconoscono
tranquillamente). Sono stati dati, “for ever”, 80 euro in più a dieci milioni
di lavoratori. Sono stati detassati largamente coloro che assumono a tempo
indeterminato. E’ vero, è stato commesso l’errore di attaccare l’articolo 18
dello Statuto dei lavoratori, cosa che qui ho subito criticato, non parendomi
il caso di andare a sfidare la CGIL su una faccenda che in un Paese in cui il
90% degli addetti lavora in piccole imprese senza quello Statuto, riguarda
pochissime persone all’anno. La CGIL e la UIL hanno risposto come si sa, e qui
non aggiungo commenti. Comunque Renzi, che non è affatto sordo alle critiche, ha
cercato di correggere il tiro: prima ha stabilito che l’abolizione valesse solo
per i nuovi assunti, e poi che fossero esclusi, dalla cancellazione
dell’articolo 18, gli statali. Anche sulle riforme del sistema elettorale ed
istituzionale, proprio nella Direzione del 16 gennaio, ha potuto fare l’elenco
delle cose modificate, proprio su pressione della sinistra, rispetto al primo
accordo del Nazareno con Berlusconi: la soglia per correre da soli al 3 e non
all’8% (io preferirei il 4); il livello per avere il premio di maggioranza al primo
turno non al 37 ma al 40%; il premio non alla coalizione, ma alla lista. E’ pur
vero che ciò spingerà poi a listoni ampi, come ha ricordato Bersani per TV il
19 gennaio, ma proprio di lì passa l’avvento di un sistema sostanzialmente
bipartitico (non per numero di partiti in parlamento, ma di governo, che in
sostanza saranno due).
Resta la faccenda
dei capolista “garantiti” nei cento collegi della Camera, che è pesante, perché
manterrebbe secondo i critici cosiddetti di sinistra un parlamento di nominati
(dai partiti!) al 60% e secondo i renziani al massimo al 40. Solo un po’ meglio
che al tempo di Bersani, per anni senza che alcuno se ne lamentasse. I primi
due partiti veri certo avrebbero un numero limitato di nomine del genere,
essendo i collegi cento, ed avendo il primo 340 seggi e il secondo duecento o
più. Gli altri, piccoli, invece vedrebbero limitata la libertà degli elettori.
Non trascuro affatto il problema. E’ chiaro che Berlusconi, il re traballante
dei cosiddetti moderati, non vuol rinunciare ai suoi nominati (“capolista”). Io
riterrei pazzesco non votare questa riforma solo per tale aspetto negativo. Se
gli oppositori avessero l’accordo a portata di mano col Movimento 5 Stelle
potrebbe avere senso. Ma in mancanza di ciò, com’è addirittura palese, il far
fallire l’Italicum sarebbe una scelta assolutamente folle e infantile.
A me sembra incredibile che gente con la testa
sul collo non capisca che al mondo ci sono solo due sistemi: quelli bipolari
oppure quelli proporzionali. Ciascuno dei due con tanti varianti nazionali. Quelli
proporzionali - in generale, e tanto più dove non esistano più “partiti forti”
o fortissimi e unificanti le grandi masse - producono governi o di coalizione tra
moderati e ultramoderati con la sinistra riformista (il centro sinistra col trattino),
o di unità nazionale. In Italia è andata così dal 1946, e ancor più dal 1961,
al 1994. Gli altri sistemi, bipolari, si basano sull’alternativa tra blocchi
omogenei opposti, sia che siano
maggioritari di collegio o presidenziali o semipresidenziali, o bipolari di
partito (come nell’Inghilterra e, con varianti legate alla nostra storia,
nell’Italia che si cerca di “rifare” con Renzi).
Ora io sono
convinto di poter dimostrare che ove si prescinda dalla mancata rivoluzione
protestante di cinquecento anni fa o giù di lì (che fu una vera rivoluzione
morale, da noi ormai “fuori tempo massimo”), la causa principale della spaventosa
corruzione italiana, nella sfera pubblica, sia stata il trasformismo: il mettere insieme il diavolo e l’acqua santa; tutto un
sistema in cui o in forma manifesta o anche occulta parti opposte tra loro su
quasi tutto sono costrette a governare e a ricattarsi a vicenda, mentre quelle
fuori dall’area di governo, come spesso il vecchio PCI (o in tanti enti locali in
cui governava il PCI, i democristiani), o si mettono d’accordo “sotto banco”
nei modi più cinici e amorali, o premono per entrare anche loro “con” almeno
una parte, o con tutti, gli avversari. Rinunciando con ciò, salvo le
sceneggiate per il loggione di tanto in tanto, a quel ruolo di “costruttiva” e “separata”
opposizione e “controllo” che spetta alla minoranza nella democrazia
“dell’alternativa”, cioè “vera”. No, grazie! “Ghemu già da’”. Ora Renzi, con la sua riforma elettorale, fa vincere il sistema dell’alternativa. E
chi è di sinistra o liberale già solo per ciò dovrebbe benedirlo. O vincerà
il primo partito della sinistra (col 55% dei seggi) o della destra (sempre col
55%), grazie a un premio di maggioranza dato al primo turno se il primo abbia
il 40% oppure al secondo se non l’avesse avuto al primo. Questa separazione
sana tra campo dei moderati e campo dei progressisti in Italia non c’era quasi
mai stata, dal 1876 in
poi e prescindendo dal fascismo. In Italia sin dall’inizio del Novecento
abbiamo avuto una sinistra che o ha fatto e fa l’utile idiota dei moderati, sia
pure a fin di bene e anche portando a casa benefici per tutti, oppure abbaia
alla luna. Integrati o apocalittici. Con Renzi però diventa prevalente “un’altra sinistra” (è arrivata la
compagna Europa). E così arriva a compimento il sistema dell’alternativa
democratica, tentato dal 1994 ma bloccato sia dal prevalere di una destra
pasticciona e corrotta, col suo capo ideale conforme, e sia da norme assurde
come il bipolarismo ma “di coalizione” e a un solo turno, e poi immonde come il
Porcellum completo, usato disinvoltamente per molti anni anche da chi oggi strilla
contro i capolista bloccati (che in effetti ove e quando sarà possibile
dovranno essere superati).
Si sta anzi
determinando una situazione di lotta aperta contro il renzismo, passata ormai
tutte le sere nella TV, e persino in parlamento. Ai limiti della scissione. Gli
oppositori, che non hanno ancora capito che il vero modo di “essere costretti” a fare il governo con
Forza Italia e probabilmente con la destra è quello di far fallire l’Italicum, tornando
a una qualche proporzionale, sono scatenati. I “niet” della CGIL e il prossimo
successo della nuova sinistra in Grecia li hanno di nuovo rigettati nelle
vecchie illusioni stramorte e “strafallite” nella storia. Sono bravissimi
compagni, cari amici e spesso ottimi intellettuali, ma non hanno compreso che a
furia di sputtanare Renzi, per motivi economicamente limitati e
istituzionalmente senza la minima alternativa, riducono paurosamente la
distanza tra centrosinistra e centrodestra. Quando vedo tali cose, mi sembra di
sognare, perché una sinistra che lavora contro il sistema dell’alternativa tra
partiti opposti, che mette fine al reciproco sputtanarsi con gli avversari ideologici
e di classe, mi sembra persino impossibile. Anche prescindendo dalla questione
decisiva della governabilità degli Statinell’epoca della crisi degli Stati
nazionali. Non l’avrei creduto possibile neanche nei più cupi momenti di sconforto politico. E non ci credo neanche
ora, sperando che stiamo solo assistendo a piroette tattiche tra frazioni
assolutamente interconnesse di un partito e della sinistra. Ma è un gioco molto
pericoloso, che se fallisce darà a chi lo fa l’imprinting degli irresponsabili,
di fronte alla storia, con l’aggravante della cinquantennale recidiva. Spero
perciò che chi si oppone al renzismo riesca a migliorare le riforme senza far
“saltare il banco”. Ma qualora tali “giochi pericolosi” si risolvessero nella
vecchia logica del “tanto peggio, tanto meglio”, non mi basterebbero tutti gli
aggettivi qualificativi più coloriti del vocabolario e del gergo popolare per
definire chi nella storia abbia agito, per la centesima volta, in tal modo.
(franco.livorsi@alice.it)
21/01/2015 15:43:23
17.03.2018
Danilo Bruno
Ieri (il riferimento è al 14 marzo u.s.), a stare alle cronache di stampa, il
ministro allo sviluppo economico e neo-PD Calenda,che era presente a Bari
con Prodi a presentare il libro di Giovannini sull’utopia sostenibile, avrebbe
pronunciato, tra le altre cose, una importante affermazione: “ Serve un...
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14.03.2018
Mauro Fornaro
Qualche riflessione, più
di carattere psicologico che non politologico, sul crollo del PD da parte di un
“vecchio” simpatizzante. Classe dirigente e molti militanti del PD sembrano al
momento essersi arroccati sulla difensiva, sia a seguito degli attacchi
insistenti e insolenti della Lega e del M5S nel...
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13.03.2018
Mauro Calise (*)
Inutile, per il momento, affacciarsi sul crogiuolo
della crisi in corso. Troppe incognite ancora da sciogliere. E, soprattutto,
troppe spavaldissime mosse tattiche che dovranno cedere il passo a più miti consigli
– e consiglieri – strategici. Ma, quale che sarà la soluzione che alla fine
prevarrà,...
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12.03.2018
Egidio Zacheo
C'è smarrimento nel Partito Democratico e
a sinistra. La loro sconfitta è stata bruciante . Ma mentre quella del PD da
molti - diciamolo- era stata prevista da tempo, anche se non nelle proporzioni
verificatesi, una sorpresa generale ha destato quella di " Liberi e
Uguali". Vi è stata una polarizzazione...
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12.03.2018
Goffredo Bettini
"Articolo
proposto dal Cives Pier Luigi Cavalchini"
Abbiamo subito una sconfitta storica. Infatti, se ragioniamo
su un arco temporale ampio, balza agli occhi il rovesciamento di una anomalia
italiana. Negli anni '70 l'anomalia
consisteva nella forza elettorale di una sinistra comunista e socialista...
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10.03.2018
Franco Livorsi
Nel
mio articolo del 28 febbraio ultimo scorso, “L’Italia congelata” - scritto pochi giorni prima delle elezioni
politiche - motivando il mio voto a favore del PD - di cui ero e sono
totalmente convinto - esprimevo tutta la mia preoccupazione per la tenuta della
democrazia liberale e rappresentativa...
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09.03.2018
Filippo Boatti
La disfatta, questa volta finale, della sinistra era
purtroppo prevedibile e inevitabile, inevitabile perché la sinistra non ha
saputo né voluto reagire alla gabbia che le impedisce di sussistere. Certo si
può chiamare in causa una “questione morale” interna alla sinistra. E’ un fatto
vero, il mancato...
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08.03.2018
Alfio Brina
I
vari politologi fanno risalire al comportamento un po’ guascone di Matteo
Renzi, le cause della sconfitta elettorale di questo 4 marzo 2018. Un uomo solo
al comando attorniato da fedelissimi, sicuramente toscani e possibilmente
fiorentini, Poi il modo irriverente, per non dire sguaiato con cui è...
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07.03.2018
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Il seguente articolo comparso sul blog di "repubblica.it" curato da Carlo Clericetti è segnalato (e proposto alla lettura) dal civis Filippo Boatti....Due indagini del dopo-elezioni confermano quello che
chiunque abbia osservato con un po’ di attenzione quello che accade aveva già
capito, e che conferma...
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07.03.2018
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1. Dopo tanto impegno e
tanti sacrifici, il risultato tanto sperato finalmente è arrivato. Finalmente abbiamo perso.[1] E non poteva che
essere così. Siccome siamo stati particolarmente in gamba, abbiamo perso anche
in maniera pesantissima, inequivocabile, con cifre oltre ogni previsione. Da
capogiro....
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Gassman e Marco Giallini sul grande schermo
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Si è appena concluso un anno particolarmente intenso di
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interessante articolo comparso sul sito “Le Scienze.it”
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Il Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato” presenta il
suo nuovo progetto per il 2018: le celebrazioni...
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Segnaliamo un interessante articolo comparso sulla rivista
online economiaepolitica
http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/la-ripresa-e-lo-spettro-dellausterita-competitiva/...
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SCHEDE SU LUOGHI, MONUMENTI E PERSONAGGI
A conclusione di un intenso lavoro, avviato...
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Segnaliamo il libro di Agostino Spataro, collaboratore di Cittàfutura su un argomento sempre di estrema...
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