Se si trattasse di redigere una voce
d’enciclopedia su Umberto Eco, probabilmente s’inizierebbe col definirlo un
semiologo; e un italiano d’istruzione media al sentir parlare di Semiotica
pensa probabilmente per prima cosa a Umberto Eco: anche se poi, magari, quello
stesso italiano potrebbe avere qualche imbarazzo nel definire che cosa sia la
Semiotica e quale ruolo Eco abbia ricoperto (ovvero ricopra) nelle vicende di
tale scienza.
Eppure, la definizione in sé è semplice
e presto data – e corrisponde all’incirca all’etimologia della parola –: la
Semiotica è lo studio dei segni e dei processi di significazione.
Il concetto di base è dunque quello di
segno: il segno è – nella celebre definizione già medievale – qualcosa che sta
per qualcos’altro. Per Ferdinand de Saussure il segno comprende un significante
(la parte fisicamente percepibile, come ad esempio il corredo fonico o grafico
di una parola) e un significato (il concetto mentale, che rimanda ad un oggetto
generalmente esterno al sistema di riferimento). L’idea di base, insomma, è
sempre quella della Filosofia Medievale per cui il segno è un qualcosa che sta
per qualcos’altro.
A
questa stessa generica idea si rifà il modello di segno proposto da Charles
Peirce. Peirce chiama il significante sossuriano “oggetto”: è l’oggetto ciò cui
il segno rimanda, e che esiste indipendentemente dal segno ma è conoscibile
solo attraverso di esso; il segno è un elemento che suscita un’interpretazione:
il segno entra nella mente del soggetto interpretante in relazione con un
oggetto; nella mente del soggetto esiste l’interpretante: una idea o pensiero
che interpreta il segno e ne attua la correlazione all’oggetto.
è piú che altro a questa idea di significazione (passata
attraverso il magistero di Luigi Pareyson) che si rivolge il pensiero di Eco.
Per
Eco, infatti, non esiste un’interpretazione univoca della Realtà (e cosí
dell’Arte): perché la relazione fra significante e rappresentazione è
arbitraria e la significazione avviene in misura diretta all’esprimersi del
soggetto interpretante. La significazione è, dunque, fondamentalmente un
processo che avviene nell’interpretante. Lo studio semiotico si rivolge
all’analisi dell’intera serie dei fenomeni cognitivi e di trasmissione dei
messaggi.
Nella
sua famosa classificazione dei segni, Peirce suddivide i segni in: icone (che
raffigurano e ritraggono direttamente il loro oggetto), indici (che sono indizî
quasi naturali del loro oggetto), simboli (che significano per pura
convenzione); secondo Peirce, solo le icone sono in loro stesse legate
all’oggetto mentre indici e simboli funzionano sulla base eminentemente
culturale del soggetto. Per Eco, anche le icone sono legate alla convenzione e
all’ambiente culturale del soggetto interpretante.
Ciò
di cui quindi, in effetti, la Semiotica si occupa è la serie di processi
generali e di relazioni particolari attraverso i quali un soggetto
interpretante lega un segno percepito al suo referente. Si tratta, insomma,
dello studio di una menzogna e di tutto ciò che può essere usato per mentire.
Anche
nell’Arte (dotta o popolare che sia) Eco porta questa stessa impostazione.
L’opera è aperta, l’interpretazione vi viaggia continuamente attraverso e la
riforma e riformula di volta in volta. Questo avviene soprattutto nel romanzo,
regno par excellence della menzogna:
il romanzo è una macchina pigra, che necessita del lettore per funzionare.
Questo è alla base della teoria echiana della lettura, che conto presto di
commentare su queste pagine digitali.
E,
esattamente come per l’Arte (che, come si diceva, produce opere aperte
continuamente coinvolte nel processo interpretativo), accade per il Mondo: la
semiosi – i processi di significazione e interpretazione – è illimitata. Ogni
segno significa segni, i libri parlano di altri libri, l’ermeneusi produce
sempre un nuovo oggetto d’interpretazione.
In
fin dei conti, è l’interpretante – il soggetto dell’interpretazione – l’oggetto
dell’interpretazione: sono i processi conoscitivi ad essere sotto osservazione,
è il processo stesso di significazione ed interpretazione che si significa e
s’interpreta nel segno. Il processo interpretativo non è nello sbilanciarsi
verso un’interpretazione, ma nell’oscillazione continua fra le interpretazioni.