I giovani che
rischiano la loro vita esprimono già una nuova visione, e non si tratta né di
essere martiri né eroi, si tratta solo di essere
quella fede che non ha oggetto né luogo, ma solo una direzione, e questa
direzione si chiama amore.
Il cavallo, i tre
tigrotti “albini”, cioè d’un biancore
inedito per la loro natura, mi sembrano bandiere bianche che sventolano verso
di noi dicendoci: uomo diventa umano !
Ce lo dice il cosmo
intero.
“Hai buona vista tu
monello?
Io? – rispose il
ragazzo –io vedo un passerotto lontano un miglio.
Saresti buono a salire
in cima a quell’albero?
In cima a
quell’albero? Io? In mezzo minuto ci salgo.
E sapresti dirmi
quello che vedi da lassù, se c’è soldati austriaci da quella parte,
nuvoli di polvere,
fucili che luccicano, cavalli?
Sicuro che saprei.
Che cosa vuoi per
farmi questo servizio?
Che cosa voglio? –
disse il ragazzo sorridendo – Niente.”
Mi ritorna ogni volta alla mente e al cuore la storia de “La
piccola vedetta lombarda”, scritta da quel ( ahimè, così si dice sempre) sentimentale e
piagnucoloso di De Amicis nel libro “ Cuore”, libro che
non leggiamo più perché non sappiamo più nemmeno vederli i sentimenti della passione, figuriamoci viverli; non sappiamo più salire
in cima ad un albero, ma solo abbatterlo e mi ritorna alla mente ogni volta che
sento apprezzamenti non certo lusinghieri per quei giovani che partono verso
terre straniere e in guerra devastate dall’orrore e dal dolore, e che vengono
fatti prigionieri e magari anche ammazzati proprio da quegli uomini che hanno
perduto la forza trasformativa della passione, quel sentimento
coraggioso che osa affrontare il rischio perché vede l’invisibile (è lì che vive la speranza).
Osa affrontare il rischio con la robusta grazia del cavallo
che “oltrepassa” l’ostacolo perché quello che la gioventù, la piccola vedetta vede, è la nostra cecità diventata sì
adulta, ma non ancora umana.
Quanti giovani ci mettono davanti agli occhi quello che a
noi “grandi” difetta?
Certo, la capacità di pesare il pro e il contro e di
muoversi di conseguenza è da adulti, e i giovani non hanno questa capacità e si buttano, come pesci, dentro il
mare in tempesta, ma per navigare contro corrente, mentre noi ci lasciamo
trascinare inermi da quella stessa corrente.
E a noi grandi
questa fiduciosa fiducia pare una cosa brutta, quante parole si dicono ai
ragazzi: “Fa attenzione, mi raccomando, ascolta noi vecchi”.
E certo l’orecchio ascolta, ma la passione è più forte, la
passione per un mondo migliore, senza guerre, senza odi, un mondo che sappia
ancora coltivare il rosmarino e parlare la vecchia lingua, anch’essa dimenticata, violata, dilaniata da odi di
un’identità che non è da difendere, ma da imparare a condividere.
E’ proprio l’incapacità di uno sguardo nelle nostre
profondità quello che sta riducendo il mondo in pezzi, profondità dove ogni radice tocca l’altra e si
fertilizza nella contaminazione.
Il cavallo, i tre tigrotti nati “albini”, cioè d’un biancore
inedito per la loro natura, mi sembrano bandiere bianche che sventolano verso
di noi e sembrano dirci: “uomo, diventa umano!” Ce lo dice il cosmo intero.
E umano vuole dire mediatore tra cielo e terra.
“L’immaginazione e la
fantasia sono facoltà umane potenti e utili – scrive Panikkar – ma se lasciate a sé, possono facilmente
fuorviarci. Queste facoltà, combinate con il pensiero logico, hanno fatto del
Mistero Divino un Essere Supremo e separato, una sostanza nel termine più rozzo
della parola. E’ appunto questo il ‘mythos’ che si sta deteriorando e sta
crollando tutt’attorno a noi.
Il nuovo mythos’
conterrà certamente alcuni elementi provenienti da tutti gli strati
dell’umanità, ma avrà bisogno, per così dire, di un collante, un filo
conduttore, una forza dinamica che fonda il vecchio e il nuovo in qualcosa che
noi non possiamo ancora prevedere esattamente. Io credo che la visione
cosmoteandrica ( né monismo né dualismo )possa avere sufficienti elementi
tradizionali, e abbastanza caratteri rivoluzionari, per fungere da catalizzatore
per questa speranza.”
I giovani che rischiano la loro vita sono già in questa
visione, e non si tratta né di essere martiri né eroi, si tratta di solo di essere quella fede che non ha oggetto né luogo, ma solo una
direzione e questa direzione si chiama amore.
I semi della gioia
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