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La tragedia di Sampieri; raccontare la morte
Francesco Ragusa
Certe storie sono più difficili di altre da raccontare. Perchè in mezzo non c’è una truffa, non c’è una delibera stramba, non c’è la corruzione. Ma c’è la morte. Forse sono stato ingenuo a non pensarci mai: voler fare questo mestiere qui, e trovare davanti la morte. Non mi era mai successo.

Anche quella, poi, è da raccontare. Ma come?

La spiaggia, ambiente che già solitamente non amo, si è trasformata oggi nel teatro di una tragedia. Forse la più grossa, da un bel po’ di anni, da queste parti. Il primo sguardo, inevitabilmente, è per quel barcone quasi incrinato a pochi passi dalla riva del Pisciotto.

Barcone, parolone…

Quanto sarà stato grande? Forse quanto un salotto di una delle nostre case. Quanta gente avrebbe potuto contenere? 70/80 persone. Ma proprio attaccate tra di loro,  strette. Invece lì dentro ce ne stavano almeno 250. Risulta difficile darsi una spiegazione logica,  ma saranno stati stipati ad incastro. Come bestie. Anzi, più di bestie. Sembra esile e fragile,  invece ha resistito ad un viaggio così lungo.

A bordo c’erano 250 storie, 250 speranze (ma proprio forti, eh!) di cambiare la vita. A tal punto  da rischiarla, la vita.

Avevano pagato (chissà quanto) per il sogno, invece si sono ritrovati ad aver acquistato la loro  morte. Spinti da minacce, calci, pugni, frustate ad abbandonare quella nave (seppur precaria) e  ad abbandonarsi al mare. Un mare che fino a ieri era in splendide condizioni ma che oggi, col  soffio di un vento umido, ha mostrato le sue onde peggiori. Tra di loro bambini, ragazzi, e anche  donne incinte. Non avevano altra soluzione: buttarsi, e pregare. Alla fine risulta quasi una fortuna  che le vittime non siano state di più. E anche qualche buon’anima ha contribuito a non rendere  quel bilancio ancora peggiore.

Ma il destino, per qualcuno di loro, era segnato. Basta girare lo sguardo, e loro sono ancora lì.

Allineati, perfettamente allineati. Senza vita. Tredici corpi in fila, ricoperti da un lenzuolo bianco. E adesso? Sono lì per raccontarla quella storia. Ma come si fa? Nessuno me l’ha mai insegnato.  Le mani tremano, le gambe pure, e il magone non tarda ad arrivare. Poi arriva quel po’ di forza,  sufficiente a permettere di scrivere (ma fosse facile tenere lontano quel coinvolgimento  emotivo!). Al di là del racconto della vicenda c’è la voglia di sapere delle loro storie. Ma per tanti  di loro sarà difficile conoscere anche solo il nome. Chissà cosa contenevano quelle borse lì  intorno (era tanta la voglia di aprirne una), e chissà quanta strada avevano percorso quelle  scarpe disperse lungo la spiaggia. C’è l’infradito, c’è la sneaker, la ciabatta… non manca nulla!

Da quel lenzuolo bianco sporgono le mani, e i piedi. Al polso un braccialetto bianco con un  numero: vite diventate numeri. Che lavoro faceva il numero 2? Quanto sarà grande l’apprensione  dei genitori del 5? Quale sogno aveva il 7? L’11 aveva mai confessato quella cotta per la ragazza  del suo villaggio?

Poi c’è quella storia che è inverosimile, non ci si crede. Lui, lui che non ha un nome. Supera la  trappola del mare, e riesce a mettersi in strada verso quello che rimane il suo sogno. Si dirige  verso Modica, prima tappa di chissà quale viaggio. Il suo viaggio, però, non sarà lungo. Una  macchina pirata, lungo la vecchia strada per Marina di Modica, lo travolge. Le ruote passano sul  suo corpo. Una delle scene più brutte viste in vita mia: lui, riverso a terra, con volto e torace  insanguinati. Uno dei due suoi amici è disperato. Un pianto di un’intensità unica, proprio forte.

Adesso versa in gravi condizioni. Povero, che beffa quella che gli ha proposto il destino. Nel pomeriggio, quasi nello stesso posto ci sono altri trenta migranti. Bambine, bambini, ragazzi,  donne incinte. Poco dopo arriva la Polizia, un fuggi fuggi generale. Due donne incinte decidono,  anch’esse, di scappare. Scavalcano un muro a secco. Il desiderio sarà stato quello di portare la  vita che tengono in grembo verso la felicità, quella immaginata e sperata. Poi gli agenti riescono  a recuperarle.

Probabilmente, da domani, potreste ritrovarvi davanti uno di loro. Non allontanatevi, non scansatelo. Avvicinatelo se potete. Un eroe, è un eroe. Pensate a cosa ha sopportato, cosa ha rischiato per un sogno. E noi ne saremmo capaci?

A loro tredici

28/09/2014 15:30:23
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