1.
Prima di ogni valutazione politica, data la gravità di quel che è
successo, è il caso di fare anzitutto qualche attenta considerazione
sui risultati del voto. Mi servirò dei dati finora comunicati, con
la riserva di qualche lieve inesattezza dovuta ai conteggi. Userò
per i confronti le cifre assolute, che si prestano meglio a
dimensionare il fenomeno, anche se sono un po’ più noiose da
seguire. Le mie considerazioni sono puramente interpretative dei
risultati numerici. Se qualche Istituto di ricerca avrà voglia di
calcolare i flussi elettorali si potranno avere maggiori ragguagli e
dettagli.
2.
Al secondo turno del 25 giugno, Rita Rossa ha incassato 14937 voti,
corrispondenti al 44,3%. Il suo contendente, Cuttica di Revigliasco,
ha invece ricevuto 18762 voti, pari al 55,7%. La differenza tra i due
è di ben 11,4 punti percentuali. I dati messi così comunicano
tuttavia la conclusione illusoria che Cuttica abbia avuto il consenso
di più della metà degli alessandrini. E che Rossa abbia ricevuto un
consenso di meno della metà. Se calcoliamo le percentuali non sui
votanti effettivi ma sugli aventi diritto (che sono 75761) otteniamo
un quadro più realistico. Il risultato di Rossa vale il 19,7% degli
aventi diritto, mentre quello di Cuttica è pari al 24,8%. Fatto
questo ridimensionamento, una prima considerazione è che Rita Rossa
è riuscita a governare la città per cinque anni ottenendo, alla
fine del mandato, il consenso esplicito (anche se non sempre
entusiasta) di neppure il 20% dei cittadini elettori. Evidentemente,
ben oltre la questione del dissesto, qualcosa non deve aver
funzionato se solo due cittadini elettori su 10 hanno deciso di
votare per lei. D’altro canto, il nuovo sindaco ha vinto e si
appresta a governare con il consenso esplicito di neanche
un quarto
degli alessandrini elettori. Solo due
cittadini e mezzo su 10
lo hanno votato. In termini di rappresentatività effettiva, Cuttica
dunque non sta molto meglio di Rossa. Si vedrà se e come riuscirà a
essere il
sindaco di tutti.
3.
Tutto ciò pone evidentemente il gravissimo problema dell’astensione:
al primo turno ha votato il 54,9%, al secondo il 45,7%, con una
caduta del 9,2%. Cinque
cittadini e mezzo su 10
(la maggioranza) non hanno votato. In termini assoluti, i votanti
effettivi sono passati dai 41587 del primo turno ai 34627 del
secondo, con una caduta di 6960 unità (tra questi, si trova
probabilmente una ampia quota, difficilmente stimabile, dei 4943
votanti del M5S che sono stati invitati ad astenersi secondo le
indicazioni nazionali del movimento[1]). L’elevata astensione,
questa sì può essere considerata come un risultato indiretto ma
negativo di cinque anni di governo di Rita Rossa. Non dimentichiamo
che cinque anni fa Rossa aveva adottato proprio il motto «Insieme»
come slogan elettorale. Qui non possiamo cavarcela invocando una
tendenza nazionale all’astensione. Ci sono stati evidentemente dei
fattori locali, delle carenze nella promozione della partecipazione
politica
che hanno contribuito a determinare questa situazione. Sono anni che
il capitale
sociale di
questa città si degrada sempre più, senza che nessuno si accinga a
porvi rimedio. È un allarme che, personalmente, ho lanciato anni fa
ma che è rimasto inascoltato, probabilmente per limiti miei.
Purtroppo però l’effetto boomerang
non è un’invenzione mia.
4.
Vediamo ora quel che è successo nel secondo turno.[2] Rita Rossa al
primo turno aveva ricevuto 12821 voti personali. Ciò significa che –
presumendo che questi voti di sostenitori espliciti siano stati in
gran parte reiterati nel secondo turno - nel passaggio dal primo al
secondo turno Rossa è riuscita a guadagnare appena 2116 voti. Si
tratta di un’inezia rispetto al suo concorrente. Il quale invece
aveva avuto 12144 voti al primo turno e ne ha ottenuti 18762 al
secondo, guadagnandone così 6618. Evidentemente Rossa aveva
già raggiunto la gran parte dei consensi al primo turno
e nel secondo non è riuscita ad allargarsi oltre la fascia dei già
convinti, mentre il candidato Cuttica è riuscito ad andare ben
oltre.
5.
Ciò significa – ulteriormente - che per Cuttica, che non ha fatto
apparentamenti espliciti, qualcosa deve avere ben funzionato, essendo
con ogni evidenza riuscito ad attrarre una parte consistente dei voti
di Locci (3296) e probabilmente una parte dei voti lasciati in
libertà dal M5S di Serra. Le statistiche nazionali affermano infatti
che, approssimativamente, tra i seguaci del M5S, un terzo di loro ha
più simpatie verso sinistra, mentre due terzi ha più simpatie per
la destra.
Sembra
allora – e qui sta la questione di fondo - che qualcosa non deve
avere funzionato nell’apparentamento
esplicito di
Rossa con il variegato mondo della candidata Trifoglio. Qualcosa deve
esser venuto meno anche con gli altri apparentamenti di area
possibili (Miraglia e Ivaldi) non esplicitati nell’ambito del
centro sinistra. Se sommiamo i voti di Miraglia (490), Ivaldi (1591)
e Trifoglio (4653) la candidata Rossa, nell’ipotesi più
favorevole, avrebbe potuto avere a disposizione, in un confronto
contro il centro destra, un pacchetto di 6734 voti.[3] I quali voti,
sommati ai propri personali, avrebbero determinato un pacchetto
complessivo di 19555. Insomma, Rossa, se doveva perdere, doveva
perdere avendo però ottenuto più di 19000 voti, se
tutti avessero fatto il loro dovere.[4]
Ne ha incassati solo 14937. Mancano dunque all’appello 4618 voti.
6.
Questo significa che – come minimo - una parte rilevante dei voti
di Miraglia, Ivaldi e Trifoglio non
sono andati alla Rossa. È probabile che siano finiti
nell’astensione, oppure che una parte sia andata a Cuttica
(nell’esplicito intento di far perdere la Rossa, proseguendo in
modo imperterrito lo spirito autolesionista del primo turno).[5]
Possiamo quindi ipotizzare fondatamente che la sconfitta di Rossa,
per com’è avvenuta, sia stata prima di tutto causata dalla
defezione della sua parte
del centro sinistra più che da una prestazione
elettorale straordinaria
della destra di Cuttica.
Se
esaminiamo infatti la prestazione di Cuttica, assommando ai suoi voti
personali del primo turno (12144) quelli “naturali” di Locci
(3296) si giunge già a 15440. Se a questi aggiungiamo una parte dei
due terzi di grillini che simpatizzano con la destra, una quota degli
elettori anti Rossa del centro sinistra che hanno votato a destra per
farla perdere, oppure qualche astenuto della prima ora che aveva
qualche conto in sospeso con la Rossa, otteniamo facilmente una quota
di voti che si approssima a quelli ottenuti da Cuttica (18762).
Questo significa che Cuttica ha preso esattamente ciò che poteva
prendere dalla sua area già predefinita, con qualche travaso dal
lato opposto dello schieramento. Cioè, Cuttica non ha incantato gli
alessandrini con il suo carisma personale, con il suo programma o con
le sue capacità professionali. Lo si vede del resto facilmente dalla
differenza tra i voti di lista e i voti personali al primo turno, che
è assai limitata. Cuttica è semplicemente passato a incassare il
dovuto agli sportelli della sua parte, la quale si è comportata
lealmente.
7.
Queste considerazioni, puramente numeriche, dimostrano che – sulla
carta – Cuttica poteva anche essere battuto se tutti i votanti del
centro sinistra del primo turno, apparentati e non, avessero fatto
minimamente il loro dovere civico - cioè quello di far di tutto pur
di impedire
il ritorno di un governo di centrodestra in città.
Evidentemente per molti questo obiettivo non
era una priorità.
Dalle cifre emerge dunque come la sconfitta di Rita Rossa sia
nata e maturata all’interno dello schieramento del centro sinistra
(inteso qui, come s’è detto, in senso ampio, comprendendo anche
Miraglia, Ivaldi e Trifoglio). Le tre liste avevano lo scopo
fondamentale di battere Rita Rossa, si sono impegnate e ci
sono riuscite
(certo, forse con la complicità di un’oggettiva debolezza della
candidatura Rossa).
Quello
che sto tentando di dire è che il risultato di Rossa non è
assolutamente dovuto al fatto che sia stata un buon o cattivo sindaco
ma è dovuto alla defezione di una parte della sua stessa area
politica di centro sinistra. Un episodio di lotta politica
spregiudicata interno alla sua parte politica e non certo la
valutazione del suo operato in quanto sindaco. Gli oppositori di
Rossa appartenenti al centro destra non sono aumentati (ciò sarebbe
accaduto fosse stata decisamente un cattivo sindaco), sono i suoi
fautori che si sono spaccati e poi ritirati, per farla cadere
rovinosamente. E – maliziosi come siamo - abbiamo tutti i motivi
per credere che non si siano ritirati in seguito a una sua
valutazione in quanto sindaco. Una lotta politica interna in cui,
pur di punire il nemico di turno, s’è fatta fallire l’intera
coalizione.
8.
Possiamo ora passare dall’analisi del voto a qualche considerazione
di ordine politico più generale. Si può affermare con relativa
certezza che la sconfitta di Rita Rossa era già implicita nella
gravissima
frammentazione dell’area del centro sinistra locale
(inteso sempre in ampio senso) che si era determinata ormai da un
pezzo. La frammentazione solo in ultimo si è fisicamente
concretizzata in quattro
candidati
a sindaco e ben 12
liste, con
una media di 20-30 nominativi per lista. Di questa frammentazione,
una responsabilità politica grave va addossata al partito più
importante dell’area, il PD locale, che non ha saputo egemonizzare
l’area e non ha saputo mantenerne l’unità.[6] Una responsabilità
altrettanto grave l’hanno avuta tutti i vari personaggi che hanno
dato vita ai vari improbabili cespugli
che hanno cercato, in modo vandalico, di ricavarsi il loro piccolo e
inutile spazio.
È
successo esattamente come se l’area del centro sinistra avesse, in
modo totalmente demenziale, scambiato le elezioni comunali, quelle
vere, per
una sorta di primarie
di coalizione
per mettere in competizione i vari candidati e per scegliere il
candidato migliore. Visto che Rossa era considerata un candidato
inadatto.[7] Uno spettacolo davvero indecoroso. Quattro candidati a
sindaco e dodici liste che
si contendono gli elettori nello stesso spazio politico e
che poi, quindici giorni dopo, avrebbero dovuto scendere a combattere
unitariamente
contro il centro destra (o contro il M5S, se avessero passato loro le
primarie)!
9. In altri termini, è
successo anche ad Alessandria quello che personalmente definisco il
Metodo Fassino.
Mi riferisco a quel che è accaduto a Torino, alle scorse elezioni
amministrative, quando l’onesto sindaco Fassino è stato travolto
dalle bordate congiunte provenienti dalla destra e dalla sinistra
«unite nella lotta». La stessa cosa è successa nel referendum
sulla riforma costituzionale, dove Renzi è stato impallinato
dall’unità d’intenti della sinistra e della destra. Questo,
l’impiego estensivo del Metodo Fassino, forse è davvero l’unico
aspetto che allinea Alessandria con le elezioni nazionali. Oggi in
molte occasioni l’elettore generico non va più a votare per
sostenere un programma (i programmi intanto nessuno li conosce e poi
si assomigliano un po’ tutti), ma va a votare per
punire il proprio nemico diretto,
anche a
costo di votare per il primo che passa.
Quando viene meno la politica, e pare proprio che in Alessandria la
politica nel senso nobile del termine sia proprio venuta
meno, di
fronte ad altre istanze particolaristiche, non possono che venire in
primo piano i sentimenti forti (la
pancia,
come dice Grillo). Solo che, in questi casi, il sentimento in
questione non può essere che l’odio.
Quando si fa politica con l’odio, non ci sono poi apparentamenti
che tengano. Se poi, in questo clima, si organizzano anche formazioni
politiche contro
qualcuno,
anziché a favore di qualcosa, si può dire che il Metodo Fassino
possa dare davvero il massimo.
10.
Dunque ci possiamo rassegnare. Grazie alle varie, contorte e
machiavelliche defezioni del centro sinistra, abbiamo di fronte
cinque anni di governo locale del centro destra. E - sia detto per
inciso - quelli della mia età cinque anni da buttare non li hanno
nemmeno più.
I
responsabili oggettivi di questa gravissima sconfitta sapranno
prendersi le loro responsabilità? Rita Rossa ha dichiarato di
assumersi la responsabilità della sconfitta. Bene. La sua
dichiarazione era doverosa. Chissà se sentiremo presto i vari
Ivaldi, Miraglia, Trifoglio e, uno per uno, tutti
gli esponenti nominativi delle 12 liste
(e l’ottimo Cavalchini, che merita qui una menzione d’onore),
dichiarare con chiarezza, ciascuno per quel che gli compete,
«Scusateci!», «È stata colpa nostra!», «Abbiamo fatto una
fesseria!». E in tal caso, di conseguenza, si faranno da parte?
Saranno sostituiti da altri più competenti? O continueremo a
trovarceli tra i piedi a fare i grilli parlanti, spiegandoci che
«Dobbiamo aprire subito una riflessione»? E ci chiederanno il voto
ancora un’altra volta?
La
storia politica degli ultimi decenni di questa città insegna
peraltro che la sinistra (il discorso vale anche per la destra, sia
chiaro), dalle sconfitte, non
ha mai imparato niente.
Gli sconfitti, dalle nostre parti, possono
solo peggiorare.
Questa trista lotta politica cui abbiamo assistito in questi mesi
rappresenta l’onda lunga di un peggioramento che viene da lontano,
dalle precedenti sconfitte. Le sconfitte politiche, invece di essere,
come talvolta può accadere, occasioni di cambiamento e di crescita,
alimentano soltanto la
selezione dei peggiori.
E poi i
peggiori si esprimono.
Per cui l’area del centro sinistra alessandrino (sempre in senso
ampio),
così sovrabbondante di candidati e di liste per tutti i gusti e per
tutte le “sensibilità”, è sicuramente destinata a diventare
politicamente, socialmente e culturalmente sempre più evanescente e
irrilevante. Come al solito, questa cosa la pagheremo cara, la
pagheremo tutti.
Giuseppe
Rinaldi
26/06/2016
NOTE
[1]
Serra ha invece lasciato libertà di voto. Tuttavia, nel M5S, le
indicazioni nazionali spesso prevalgono su quelle locali.
[2]
Diamo qui per scontato che la popolazione che si è avvicendata alle
urne nei due turni sia grossomodo la stessa. La maggior parte degli
astenuti si suppone siano astenuti totali, cioè si siano astenuti
sia nel primo sia nel secondo turno. La diminuzione di affluenza che
c’è stata tra il primo e il secondo turno può essere dovuta
anzitutto a un fattore comune a tutti i votanti e distribuito più o
meno ugualmente su tutte le liste, come ad esempio il caldo o le
vacanze incipienti. Oppure a fattori specifici. Il fattore specifico
più noto è dovuto al caso del M5S, il cui dettato nazionale è
stato di non andare a votare ove non ci fossero candidati del
movimento ai ballottaggi. Come già detto a parziale correzione,
Serra ha lasciato libertà di coscienza.
[3]
Ci sembra fattibile questa somma poiché i candidati Rossa, Miraglia,
Ivaldi e Trifoglio sono genericamente appartenenti a un’area di
centro sinistra e hanno avuto esperienze politiche comuni, oltre che
aver presentato programmi assai simili, talvolta indistinguibili. Si
può ritenere che gravi divergenze personali abbiano indotto a
presentare diverse candidature concorrenti, tuttavia si può
altrettanto presumere che, in caso di alternativa secca tra centro
destra e centro sinistra, queste forze avrebbero ben potuto e dovuto
coalizzarsi.
[4]
Su questo punto, cioè sull’impegno necessario delle liste di
centro sinistra per arginare il centro destra, si veda l’editoriale
di Renzo Renna su Città
Futura
in data 18/6/2017.
[5]
Gli elettori del M5S che avrebbero potuto astenersi sono 4943. Gli
elettori del blocco Miraglia, Ivaldi, Trifoglio sono 6734. Le
astensioni in più tra il primo e il secondo turno sono state 6970.
[6]
Questa incapacità è un fatto abbastanza generalizzato ed è una
conseguenza della legge sull’elezione dei sindaci. Un tempo la
politica locale era diretta dal partito il quale provvedeva a
selezionare gli amministratori ed eventualmente a revocarli. La legge
sull’elezione dei sindaci ha comportato la distruzione di ogni
autonomia dei partiti locali e li ha trasformati in espressioni del
potere personale degli amministratori. È chiaro che ogni candidato a
sindaco aspira ad avere un partito (un partitino, un movimento) come
massa di manovra. Se non l’ha, se lo costruisce.
[7]
Se Rita Rossa era considerata da qualcuno come un candidato
inadatto
(considerato che, dopo 5 anni, l’hanno votata solo 2 alessandrini
su 10 questa tesi poteva avere anche qualche fondamento) si trattava
di porre esplicitamente il problema, di fare le primarie seriamente
per trovare – ammesso
che ci fosse
- un candidato più adatto. Poiché, dopo dibattiti e conflitti
interni estenuanti, tutto
questo non è stato fatto,
al momento delle elezioni non si poteva che serrare le fila, poiché
ogni candidatura in contrapposizione non poteva che indebolire
ulteriormente un candidato forse già debole.
Evidentemente è
mancato un processo democratico di scelta delle candidature
che permettesse all’area del centro sinistra di raggiungere la sua
unità. Così le divergenze personali hanno preso il sopravvento.