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Storia
Storie di donne guerriere
Giorgio Marenco

“… in su la torre altissima angolare
sovra tutti Clorinda eccelsa appare.
A costei la faretra e ‘l grave incarco
de l’acute quadrella al tergo pende.
Ella già ne le mani ha preso l’arco,
e già lo stral v’ha su la corde e ‘l tende;
e desiosa di ferire, al varco
la bella arciera i suoi nemici attende”[1]

E’ l’immagine fantasiosa, e molto affascinante, di una guerriera pronta alla battaglia quella che Torquato Tasso ci propone, ma già all’epoca della “Gerusalemme liberata”  la figura delle donne combattenti non era certo cosa nuova per la storia e la letteratura.

Durante il II sec. a.C., quando i romani avevano dovuto far fronte ad una invasione di Cimbri e Teutoni, si erano scontrati con essi in battaglia presso la località di Aquae Sextie. Le legioni, respinti con successo i nemici, li ricacciarono sin verso il loro accampamento ove incontrarono però un ostacolo inatteso: narra infatti Plutarco che “Le donne li affrontarono brandendo spade ed asce, e con orrende urla cercavano in tutti i modi di ricacciare indietro inseguiti ed inseguitori: gli ultimi perché nemici, i primi perché vigliacchi. A mani nude strapparono ai romani i loro scudi e ne affrontarono le spade, riuscendo a sopportare anche ferite mutilanti. Alla fine la loro ferocia l’ebbe vinta[2].

Episodi come questo, legati a tradizioni ancora più remote, diedero vita a miti duraturi come quello delle Amazzoni, così che quando  Guglielmo di Malmesbury[3] dovette descrivere l’immagine della contessa Matilde di Canossa si richiamò proprio ad esse dicendo la nobildonna “dimentica del suo sesso, e non impari alle antiche Amazzoni, guidava in battaglia schiere corazzate di uomini[4].

Lo stesso Marco Polo, nella sua cronaca così variegata, che abbina eventi e descrizioni storiche con racconti tratti da dicerie e tradizioni popolari, non manca di tramandarci la figura di una donna guerriera: la figlia del re turco Caidu “… la quale era chiamata in tarteresco Aigiarne, cioè viene a dire in latino “lucente luna”. Questa donzella era sì forte che non si trova(va) persona che vincere la potesse in veruna pruova[5]. “E vo’ che·ssappiate che lo re Caidu si menò questa sua figliola in più battaglie. E quando ella era a le battaglie, ella si gittava tra li nimici sì fieramente, che non era cavaliere sì ardito né sì forte ch’ella nol pigliasse per forsa; e menavalo via, e facea molte prodesse d’arme”[6].

Volendo andare al di là delle invenzioni narrative o delle tradizioni leggendarie, in un panorama come quello dell’età di mezzo, così ricco di fonti che mischiano il reale e l’immaginario, diventa lecito chiedersi: ma le donne, nel corso del Medioevo, parteciparono veramente a episodi di guerra e di combattimento? Può essere significativo al riguardo ricordare le leggi di Liutprando[7] che ci portano a conoscenza di un evento molto particolare: “Ci è stato riferito che un paio di cattivi soggetti non hanno osato penetrare essi stessi con le armi in un villaggio straniero e nelle case per timore delle pene previste nel vecchio libro delle leggi. Allora costoro hanno radunato tutte le loro donne, libere e schiave, e le hanno mandate a combattere contro persone di minor valore guerresco. Le donne hanno dunque assalito gli abitanti di quella località ferendoli e compiendo dovunque violenze, con maggiore crudeltà degli uomini stessi”[8].
In conseguenza di questo fatto re Liutprando fu  costretto a modificare la legge (che non prevedeva reati simili) disponendo che le responsabili di atti come quello fossero da quel momento in poi “… sopposte alla gogna e punite con ferite e bastonature, o addirittura uccise”.[9] La circostanza che le norme allora vigenti per i crimini di violenza non contemplassero l’ipotesi di atti commessi da donne è sicuramente significativa ed ancor più lo è il commento di Liutprando sull’episodio; “Cose del genere le fanno gli uomini e non le donne”.

Lo stesso modo di pensare risulta testimoniato da innumerevoli fonti, basti ricordare la frase di Roberto il Guiscardo che, smanioso di giustiziare gli assassini del nipote Serlone, consolava così suo fratello Roberto invitandolo alla riscossa: “Foeminis lamenta permittantur; nos autem in vindictam armis accingamur”[10]

E ancora, sempre sulla stessa linea, vale la pena di menzionare quei comportamenti di cui ci danno notizia le cronache della terza crociata (1187/1197): a molti uomini che scelsero di non unirsi all’impresa vennero recapitate lana e rocche per filare, in segno di derisione e disprezzo, mettendo in contrasto l’attività militare con gli strumenti del lavoro femminile[11].

In senso del tutto opposto pare muoversi la studiosa Megan McLaughlin (autrice de The Woman Warrior, Gender, Warfare, and Society in Medievale Europe[12]), secondo la quale la partecipazione femminile alla guerra non avrebbe suscitato particolari commenti fino alla fine dell’XI secolo.

Al di là di questa opinione (che può essere o meno condivisa e dibattuta) ho voluto raccogliere tutta una serie di fonti storiche ed episodi, come quello riportato nelle leggi di Liutprando, relativi a donne armate impegnate in combattimenti. Voglio con ciò replicare a quanti oggi, nell’ambiente della Ricostruzione Storica, snobbano il ruolo delle donne e in particolare a quanti, praticanti di scherma medievale, si rifiutano di insegnare alle ragazze o non accettano di partecipare a manifestazioni dove le donne prendono parte alle scene di guerra. La presenza di queste ultime invece, per quanto questi signori si ostinino a negarlo, fu sì una circostanza non frequente ma che si verificò realmente e come tale risulta storicamente documentata.

Iniziamo allora il nostro cammino tra le testimonianze del passato, aprendo il discorso con una premessa di natura terminologica: nel corso del Medioevo, fu in uso il titolo di “cavaliera” (equitissa, militissa o militis uxor) di cui poteva fregiarsi la donna che sposava un cavaliere.  Similmente erano dette “cavaliere” (al femminile plurale) le donne sposate a un “non cavaliere”, alle quali fosse concesso un feudo. In questo caso l’attribuzione della qualifica cavalleresca era essenziale affinché esse potessero detenere il feudo legalmente (si trattava di situazioni certo non frequenti ma esempi se ne trovano fin dal XII secolo)[13].
In entrambi i casi suddetti il titolo di equitissa aveva però un valore meramente onorifico o giuridico e non implicava iniziazione e investitura.

Di contenuto sostanzialmente diverso le confraternite cavalleresche femminili quali l’Ordine di Santa Genoveffa[14] le cui affiliate erano sottoposte a un periodo di probazione, rimanevano vergini e ricevevano la vestizione con la consegna della spada. In questi casi si trattava di donne che consacravano loro stesse a un ideale di vita. Le fonti a nostra disposizione non ci dicono però se tale scelta avesse una valenza assistenziale e caritativa (peraltro importante e meritevole) o se includesse anche l’uso concreto delle armi.

Molto più esplicite al riguardo è invece una serie di testimonianze che riguardano donne di nobile famiglia:
Nel 1081 la principessa Sichelgaita, indossando una elegante armatura, prese parte all’assedio di Durazzo, radunò gli uomini del marito e inseguì i nemici brandendo la lancia[15].
Oderico da Vitale menziona, nel XII secolo, Helvise, contessa di Evreux, che guerreggiava in mezzo ai gentiluomini, armata come loro, dimostrando altrettanto ardore dei cavalieri ricoperti di usberghi e dei soldati portatori di giavellotto[16].
Lo storico greco Niceforo ricorda invece la “dama dagli speroni d’oro” Eleonora d’Aquitania, mentre guida un gruppo di donne in armi partecipanti alla crociata tra le armate dei Franchi, vestite da uomo e capaci di maneggiare la lancia e l’ascia da guerra.[17]
La già citata Matilde di Canossa sapeva cavalcare e usare la lancia come la spada[18]. In diverse occasioni guidò i suoi armati, conducendo con successo ben studiati attacchi a sorpresa contro accampamenti nemici.
Beatrice di Borgogna, sposa dell’imperatore Federico Barbarossa, oltre a distinguersi per cultura, finezza di modi e di parola, era una buona cavallerizza e all’occasione anche una buona schermitrice[19].
Froissart ci riporta il nome della contessa Jeanne di Monfort impegnata nelle battaglie Bretoni durante la guerra dei Cent’anni: “armata di tutto punto”, “montata su un buon corsiero” la nobildama “teneva una lancia molto rigida e ben tagliente e con quella combatteva molto bene e con gran coraggio[20].
Non da meno dame Nicola, erede del castello di Lincoln, s’impegnò direttamente nell’arte militare per meglio difendere i suoi possedimenti dalle milizie del principe Luigi di Francia[21].
Alla fine del XIV secolo Tommaso III, Marchese di Saluzzo, scriveva come sua nonna Riccarda Visconti avesse dato prova di spietatezza in guerra, mentre suo marito languiva in prigione[22].

Antonio Santosuosso (professore emerito di Storia all’Università del Western Ontario) afferma al riguardo: “Non deve sorprendere che una donna di nobile famiglia fosse in grado di combattere in certe situazioni. Considerando l’ambiente nel quale era nata, è probabile infatti che potesse essere istruita nel combattere a cavallo e nel maneggiare la spada e la lancia”[23].

Un discorso tutto a parte merita la figura di Giovanna d’Arco, la pulzella di Orléans, che era di umilissime origini. Della sua vita e della sue esperienze in campo militare ci sono pervenute numerose e dettagliate testimonianze, sicché noi sappiamo non solo che essa vestì l’armatura al pari dei cavalieri maschi ma perfino il costo dell’armatura stessa (100 franchi tornesi pagati per lei dal tesoriere reale[24]).

Il duca di Alençon ci narra di una ragazza capace di ben destreggiarsi nell’uso della lancia a cavallo: “… Giovanna corse con la lancia, e io, vedevo Giovanna comportarsi così, portare la lancia e maneggiare la lancia, le diedi un cavallo”[25]. Ancora, il Journal du siège d’Orléans ci riferisce: “…ella si comportava tanto apertamente, in ogni occasione, come avrebbe potuto fare un uomo d’arme che fa la guerra fin dalla sua giovinezza…[26]” E, narrando un episodio dell’assedio, la stessa fonte riporta: “…la Pulzella e La Hire[27] passarono tutti e due, ognuno col cavallo, su di un battello dall’altra sponda di quell’isola, e qui salirono sui cavalli non appena misero piede a terra ognuno con la sua lancia in mano. E quando videro i nemici che uscivano dalla bastia per correre contro la loro gente, subito la Pulzella e La Hire, che era sempre davanti ad essa per salvaguardarla, abbassarono la loro lancia e per primi iniziarono a colpire sui nemici in modo tale che, a forza, li costrinsero a ritirarsi….[28]”.

Giovanna, per sua stessa ammissione, al momento di andare all’assalto prediligeva prendere in mano il suo stendardo " per evitare di uccidere qualcuno” e interrogata affermerà di non aver mai ucciso nemmeno uno dei suoi nemici[29]. Non per questo la Pulzella giocava un ruolo defilato, ma si avventurava in prima persona nel cuore della mischia trascinando i suoi all’assalto: sotto le Tourelles fu colpita da una freccia sopra il seno[30],  nell’assalto a Jargeau, mentre saliva su una scala con il suo stendardo in mano, fu centrata sull’elmo da una pietra che si spezzò scagliandola a terra[31], durante l’assedio di Parigi, mentre si trovava nel fossato, un colpo di balestra le trafisse la coscia[32]. Fu sempre lei, durante l’attacco alla piazzaforte di Saint-Pierre-le-Moutier, a restare a combattere con un manipolo di soldati mentre le sue truppe si ritiravano; Jean d’Aulon accorse a cavallo per portarla via da quella situazione ma Giovanna, ostinata a non arretrare, riuscì con l’esempio e l’incitamento a riordinare le file dei suoi soldati che ritornarono sotto le mura e, con pochi assalti, conquistarono alfine la fortezza nemica[33].
Una donna, dunque, capace di affrontare sulla sua carne tutti i rischi del soldato, molto più di un semplice simbolo portato in battaglia solo per incoraggiare l’armata, come invece alcuni hanno voluto immaginala.

A parte i casi citati, restano per lo più ignoti i nomi delle tante donne che, durante il Medioevo, dovettero confrontarsi con la dura realtà dei loro tempi e spesso porre mano alle armi per difendere la casa, i figli e la loro stessa vita.
Nel libro II del suo “De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis fratris eius” il monaco Goffredo Malaterra[34] ci narra che mentre il conte Ruggero si apprestava ad assaltare la città di Messina, ormai priva di forze militari, i pochi cittadini rimasti, insieme alle loro donne, accorsero armati alla difesa delle torri e dei bastioni costringendo i normanni a desistere[35].
A sua volta, Amato da Montecassino nella “ Storia dei Normanni”[36] ricorda Gisolfo, principe di Salerno, il quale, catturato con l’inganno suo zio Guido che controllava la rocca della città, lo trascina prigioniero davanti alle mura per indurre la zia ad aprire le porte: “La saggia donna, dal forte animo, stava sulle mura: e si combatte, ed ella incoraggiava i suoi a combattere[37].

Come non ricordare poi uno dei più singolari episodi della storia cavalleresca spagnola, quello delle donne di Tortosa (Catalogna) che nel 1149 si trovarono, in carenza di uomini, ad affrontare una incursione saracena. Armate di scuri, di mazze e di coraggio, respinsero gli strabiliati aggressori e questa loro impresa, destinata a passare alla storia, fu premiata dal Conte Raimondo Beringhieri di Barcellona che costituì per loro l’Ordine delle Dame della Scure, riservando ad esse numerosi privilegi quali la precedenza sugli uomini in ogni cerimonia, l’esenzione dalle tasse oltre a diritti patrimoniali di vario genere sui beni dei mariti.[38] Analoghi riconoscimenti furono tributati, sempre per gesta valorose compiute in occasione di un assedio, alle donne di Beauvais (1472) tra le quali si distinse tale Jeanne Lainé o Laisne[39] detta Jeanne Hachette (hachette = accetta, scure)[40] che guidò un gruppo di semplici cittadine armate con asce in un’uscita contro i nemici, che vennero così cacciati dalle mura cittadine. Lo stendardo dei borgognoni fu preso e il duca di Borgogna rinunciò all’assedio.

Meno celebri, ma non meno determinate, furono le donne coperte da solide armature che si unirono agli uomini nella difesa della fortezza di Gallipoli (1305), resistendo vittoriosamente contro un attacco in forze dei famosi balestrieri genovesi. Così racconta l’episodio il cronista catalano Raimondo Muntaner: “… (i genovesi) fecero piovere su di noi un nembo di dardi che coprivano il cielo, e durarono sino a nona sicché tutto il castello n’era pieno...” una delle donne che gettava sassi dalle mura “sfregiata nel viso da cinque dardi, continuò a combattere come se non fosse stata toccata”.. Ma dopo mezzogiorno gli attaccanti avevano esaurito le munizioni e uomini e donne, rimasti indenni, poterono finalmente slacciarsi le armature che, per il caldo di luglio, riuscivano insopportabili[41].

Dietro la protezione delle mura le differenze tra uomini e donne diventavano praticamente irrilevanti e gli aggressori avevano ben poco da illudersi: Guibert de Nogent[42], nel descrivere l’assedio posto dal re di Francia a un castellano ribelle, tale Alerano, ricorda che quest’ultimo “… molto esperto.. innalzò di contro agli assedianti due petriere, e schierò quasi ottanta donne che aveva destinato a lanciare sassi”[43]. Analogamente la Canzone della crociata contro gli Albigesi ricorda (dandola come cosa ovvia) la mobilitazione della popolazione femminile nelle città assediate: “Una petriera che fece un carpentiere … e la tiravan donne, fanciulle e maritate”[44]; e proprio una petriera manovrata dalle donne di Tolosa uccise, nel giugno del 1218, il comandante stesso della crociata contro gli Albigesi, Simone di Montfort[45]: “La pietra cadde direttamente dove occorreva; essa colpì il conte sull’elmo d’acciaio così fortemente che gli spezzò gli occhi, il cervello, i denti di sopra, la fronte e le mascelle; il conte cadde a terra molto insanguinato e livido”[46].

Ancora donne in armi ritroviamo, quasi cento anni dopo, nel 1306, quando le truppe del Comune di Vercelli e del Vescovo Raniero stringono d’assedio gli Apostolici di Dolcino asserragliati sui campi fortificati del monte Rubello[47] e delle cime circostanti. L’anonimo commentatore ci informa che “a queste azioni (si intendono azioni armate di saccheggio ed aggressione) erano pronte e forti allo stesso modo tanto le donne quanto gli uomini, anzi molto spesso le donne portavano vestiti ed armi virili, affinché il loro esercito apparisse più consistente e quindi più temibile”[48] e aggiunge un altro commentatore molto più tardo che le Gazzarine[49]… spiravano ira marziale e ferocia tigresca e armate in guerra anch’elleno correvano furibonde alla preda ed al massacro".

Georges Duby ricorda infine le borghesi di Drincourt[50]: “in quella borgata i cavalieri francesi erano alle prese con i cavalieri normanni quando i normanni presero il sopravvento; queste donne, allora, seguirono i mariti che uscivano dalle case ed inseguirono i francesi in ritirata armate di clave, di bastoni e di asce[51].

La presenza di donne sui campi di battaglia risulta abbondantemente documentata nelle cronache delle Crociate: alla spedizione popolare condotta da Pietro l’Eremita si associarono persone di tutti i tipi tra le quali, come narra il cronista, “donne, pudiche e impudiche” decise a far le pellegrine in armi e in vesti maschili[52].

Informazioni molto dettagliate e convergenti ci vengono da tre cronisti arabi che hanno tramandato le vicende dell’assedio di Acri da parte di Riccardo Cuor di Leone (1191) nel corso della terza Crociata.
Lo storico Bahà’ ad-Din (1145-1234) ricorda con queste parole una combattente dello schieramento cristiano: “… di là dal parapetto del nemico c’era una donna vestita di un manto verde, che non cessò dal saettarci con un arco di legno, sì da ferire molti di noi, finché fu sopraffatta e uccisa. Le fu preso l’arco, e portato al Sultano, che mostrò profonda meraviglia del fatto”[53].
Il cronista ‘Imàd ad-din (1125-1201), che fu segretario di Norandino e di Saladino, riferisce espressamente: “.. Tra i franchi vi sono infatti delle donne cavaliere, con corazze ed elmi, vestite in abito virile, che uscivano a battaglia nel fitto della mischia, e agivano come gli uomini d’intelletto, di tenere donne che erano, ritenendo tutto ciò un’opera pia…. Il giorno della battaglia spuntò di loro più di una donna, che si modellava sui cavalieri ed aveva virile durezza nonostante la debolezza (del suo sesso) di null’altro rivestite che di cotte di maglia, non furon riconosciute”. Molte di queste donne soccombettero negli scontri; altre, catturate, come narra il cronista “.. furono scoperte e vendute come schiave”.[54]
Notizie identiche sono riportate da Ibn al-athìr (1160–1233) che ci così racconta“… (i Franchi) si raccolsero in gran numero, fino alle donne: c’era infatti con loro ad Acri un certo numero di donne, che sfidavano a singolar tenzone i cavalieri nemici…”[55] e ancora, parlando di alcuni cavalieri franchi uccisi e catturati nel corso di uno scontro: “… tra i prigionieri ci furono tre donne franche, che combattevano a cavallo, e catturate e tolta loro l’armatura furono riconosciute per donne”.[56]

A distanza di secoli da questi eventi, un maestro e teorico della scherma quale il tedesco Hans Talhoffer non disdegnò di includere nel suo manuale di combattimento (1467) una serie di tavole illustrate nelle quali si mostrano tecniche di lotta da applicare nel duello giudiziale tra un uomo e una donna.[57] In questo caso, alla donna viene riconosciuta una posizione di vantaggio (essa duella infatti in piedi contro un uomo costretto in una buca sino alla vita), ma l’autore non le nega comunque il ruolo di combattente.

Anche quando non combattevano in prima persona, le donne furono comunque sempre presenti al fianco dei soldati, pronte a rischiare la vita per assisterli. Un esempio per tutti quello della battaglia di Dorileo durante la prima Crociata: mentre lo scontro infuriava e la calura di giugno tramortiva i guerrieri corazzati, furono le donne a portare loro l’acqua in prima linea, esponendosi anch’esse alla pioggia di frecce che i turchi lanciavano incessantemente[58]. Il loro comportamento, in questa e in altre circostanze (quali gli assedi di Antiochia e Gerusalemme), non passò inosservato e venne ricordato anche dai cantori delle Crociate assieme alle gesta dei soldati[59]:

“Imponente è l’assalto, impetuosa la carica,
e sia dentro che fuori muoiono tra i supplizi.
Ci sono lì le dame, a maniche ravvolte,
e non ce n’è una sola che non si sia degnata
di raccorciar la gonna fin sotto le ginocchia.
Tutte portano acqua – fu questa grande astuzia –
e alcune hanno riempito la manica di pietre.
Ognuna alza la voce quanto può per gridare:
“Chi ha bisogno di acqua, per Dio, che ce lo dica!
Ne avrà ben volentieri nel nome di Maria.”[60]

Tutte donne rimaste anonime, come quella che nel 1382 portava la bandiera dei Fiamminghi sul campo di battaglia e lì venne uccisa; come la Frisona che nel 1396[61]vestita di drappo azzurro… come folle ed arrabbiata” si lanciò in prima fila sfidando i nemici e cadde trapassata di frecce[62]; o come quella che fu colpita da una freccia sotto le mura di Acri mentre riempiva il fossato con le fascine e spirando pregò i soldati di gettare giù anche il suo corpo per finire il lavoro che aveva iniziato.[63]
Tutte donne comuni, ma dotate di un coraggio e di una fermezza che oggi probabilmente mancherebbe a molti uomini.

 IMMAGINI

1. Donne scite all`attacco dalla Histoire Universelle, XIII sec., British Library di Londra.
2. Giovanna d`Arco a margine di una annotazione datata 8 maggio 1849 su un registro parlamentare di Parigi. Il disegno, di pura fantasia, ha la peculiarità di essere l`unico, tra quelli pervenuti, ad essere stato fatto quando Giovanna era ancora in vita.
Entrambe sono tratte da: T. Newark, Donne Guerriere, Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1991.

NOTE 


[1] T.Tasso, Gerusalemme Liberata, Cap. XI, 27-28
[2] T.Newark, Donne Guerriere, Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1991, p. 81
[3] Monaco (1095-1143 circa)
[4] Guglielmo di Malmesbury, Gesta Regum Anglorum, a cura di I.Pin, Edizioni Studio Tesi, Pordenone , 1992, p. 363. Lo stesso autore ricorda anche la figura della regina inglese Sexburga: “… né alla donna mancava lo spirito per assumersi i compiti del governo: metteva in piedi nuovi eserciti,  teneva nell’obbedienza i vecchi, governava con clemenza i sudditi, usava un cipiglio minaccioso verso i nemici, insomma faceva tutto in modo tale che non la si poteva distinguere in nulla da un uomo, se non per il sesso” – Gesta Regum Anglorum, cit., p. 39
[5] Citazione tratta dalla redazione toscana di  Marco Polo, Milione, 195, 6-8, a cura di G.Ronchi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1982, p.283
[6] Citazione tratta dalla redazione toscana di  Marco Polo, Milione, 195, 27-28, cit., p. 285
[7] Re dei Longobardi ( ? – 744), salito al trono nel 712.
[8] E. Ennen, Le Donne Nel Medioevo, Mondadori, Il Giornale Biblioteca Storica, Milano,, 2005, p. 47
[9] Si prevede inoltre che “Le autorità del villaggio in cui accadono questi fatti, dovranno arrestare e far radere i capelli alle donne e farle frustare in giro per i villaggi circostanti” – E. Ennen, Le Donne Nel Medioevo, cit.,p. 47
[10] “ Lasciamo alle donne i lamenti,… noi prepariamoci con le armi alla vendetta ” citazione tratta da Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis Fratris Eius (Ruggero I e Roberto il Guiscardo) a cura di V.Lo Curto, Francesco Ciolfi Editore, Cassino,  2002, p. 185.
[11] A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, Carocci Editore, Roma, 2005, p. 301
[12] Fonte citata ne A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit.,  p. 301
[13] B. Marillier, La Cavalleria Medioevale. Origini, storia, ideali,  Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2005,  p. 96. Si ricorda il caso di Ermangarde de Toisy (XIII sec.) il cui marito non fu mai cavaliere.
[14] B. Marillier, La Cavalleria Medioevale. Origini, storia, ideali,  cit., p. 97. Ordine fondato nel 1353 o 1358, che vanta di avere annoverato Giovanna d’Arco tra le sue affiliate. Santa Genoveffa (Geneviève) è la Santa Patrona della città di Parigi.
[15] A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit.,  p.302. Nello stesso contesto l’autore ricorda - p. 301 - anche Richilde di Hainaut, presa prigioniera durante la battaglia di Cassel nel 1071.
[16] P. Contamine, La Guerra nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 327
[17] P. Contamine, La Guerra nel Medioevo, cit., p. 327.  Tim Newark non dubita circa il carattere deciso di Eleonora d’Aquitania, ha invece sulla sua effettiva capacità di combattere in armi, afferma infatti che quello di sfilare in armi sarebbe stato un atteggiamento “chic” da parte della dama che non prese parte effettiva ai combattimenti. (vedi T.Newark, Donne Guerriere, cit., p. 108).
[18] T.Newark, Donne Guerriere, cit., p. 99
[19] E.W.Wies, Federico Barbarossa, a cura di A.Audisio, Collana  Protagonisti della Storia – RCS Libri S.p.a. -  Milano, 2006, p. 88
[20] Citazione tratta da P. Contamine, La Guerra nel Medioevo, cit., p. 327 – 328. Vedi anche A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit., p.302
[21] G.Duby, “Guglielmo il Maresciallo. L’avventura del Cavaliere”, Mondadori, Il Giornale Biblioteca Storica, Milano,, 2005, p. 50
[22] A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit.,  p. 302. Lo stesso autore ricorda anche l’episodio della suora Julienne di Guesclin, sorella del conestabile , che durante l’assalto tentato da Thomas Felton al castello di  Pontorson, sarebbe accorsa alle mura per rovesciare le scale dei nemici appoggiate alle mura. Lo stesso episodio è classificato tra le leggende dal Contamine – vedi P. Contamine, La Guerra nel Medioevo, cit., p. 328.
[23] A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit.,  p. 302.
[24] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco, Mondadori , Il Giornale Biblioteca Storica, Milano, 2005, p. 56
[25] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco, p. 45
[26]R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco, p. 63
[27] Etienne de Vignolles detto La Hire, guascone, capitano e combattente fu uno dei primi a credere in Giovanna d’Arco e divenne uno dei suoi compagni più fedeli.
[28] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco,  p. 67
[29] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco,  p. 56
[30] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco,  p. 68. Le Tourelles erano una fortificazione, occupata dagli inglesi, destinata a presidiare l’ingresso del ponte per Orleans.
[31] R. Pérnoud e M.V.Clin, Giovanna d’Arco,  p. 82
[32] F.Cardini, Giovanna d’Arco, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1998, p. 74
[33] G.Bogliolo, Giovanna d’Arco, Fabbri Editori, Milano, 1999, p. 181
[34] La narrazione di Goffredo Malaterra, a parte il Libro I, abbraccia l’arco storico che va dalla prima incursione di Ruggero I in Sicilia (intorno al 1056), alla concessione a lui come conte di Sicilia della “Legazia” da parte di papa Urbano II (1098).
[35]Sed Messanensibus, quamvis paucis, qui adhuc supererant, cum ipsi mulieribus armatis turres et propugnacula seseque certamin ut pro vita defendentibus” citazione tratta da Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis Fratris Eius, cit., p. 99.
[36] Opera composta tra il 1082 ed il 1085.
[37]Et la sage fame, o fort anime, esta sur; et se combat, et conforte sa gent à combatre.” citazione tratta da Amato da Montecassino, Storia dei Normanni, Libro IV, Cap. XXXXII, a cura di V.Lo Curto, Francesco Ciolfi Editore, Cassino,  1999, p. 253
[38] F. Cuomo, Gli Ordini Cavallereschi – Newton & Compton Editori, Roma, 2001, p. 144
[39] Questa variante del cognome è riportata da Tim Newark – vedi T.Newark, Donne Guerriere, cit., p. 135
[40] B. Marillier, La Cavalleria Medioevale. Origini, storia, ideali,  cit., p. 97. La città di Beauvais sorge a 74 km da Parigi, ai confini con la Piccardia. Carlo il Temerario, in lotta con Luigi XI assediò la città tra il 27 giugno e 22 luglio 1472 vd. Enciclopedia Rizzoli Larousse  - Rizzoli Editore – Milano – 1966 – Vol. II – p. 398.
[41] A.A.Settia, Rapine, assedi e battaglie. La guerra nel Medioevo, Editori Laterza, Roma, 2004, p. 277-278
[42] Teologo e storico (1053 – 1124/1130)
[43] Citazione tratta da Guibert de Nogent, De vita sua, nelle traduzione riportata da Le crociate. Testi storici e poetici, a cura di G. Zaganelli, Arnoldo Mondadori Editore, I Meridiani, Milano, 2004, p. 636. Lo stesso episodio viene richiamato da E. Ennen, Le Donne Nel Medioevo, cit., p.329 ove si cita l’episodio di ottanta donne che difesero le mura di Amiens.
[44] Citazione tratta dalla Chanson de la croisade albigeoise vd.  Le crociate. Testi storici e poetici, cit., p. 636
[45] Si tratta, per la precisione, di Simone IV detto “Il Forte” sire di Montfort, vd. Enciclopedia Rizzoli Larousse, cit., Vol. X – p. 261
[46] A.A.Settia, Rapine, assedi e battaglie. La guerra nel Medioevo, cit., p. 128
[47] Località del Piemonte, sita nel Biellese.
[48] “.. mulieres vestimenta et arma virilia ferebant.. ” citazione tratta da Anonimo Sincrono, Historia Fratris Dulcini Heresiarche  vd. E.Sogno, La Croce e il Rogo, Mursia, Milano, 1974, p. 147. Una simile tattica (quella cioè di schierare donne in abito maschile per far sembrare più grosso l’esercito) potrebbe aver ispirato la curiosa leggenda che sta all’origine del nome “Longobardi”. Racconta Paolo Diacono che, impegnati in una contesa con i Visigoti, i Winili si recarono al cospetto del dio Godan per ottenerne i favori. Le donne dei Winili si mischiarono ai loro soldati raccogliendosi sul viso i capelli sciolti come fossero delle barbe ed il dio vedendoli si chiese “Chi sono codesti lunghebarbe?” da cui il nome longobardi (lang = lunga, bard = barba) vd. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, a cura di T.Albarani, Arnoldo Mondadori Editore, Collana Oscar Mondadori, Milano, 1994, p. 40.
[49] “Gazzari” è il nome con cui l’Anonimo Sincrono chiama gli affiliati al gruppo di Dolcino vd. E.Sogno, La Croce e il Rogo, cit., p. 97 e 139
[50] Oggi Neufchâtel-en-Bray
[51] Citazione tratta da G.Duby, Guglielmo il Maresciallo. L’avventura del Cavaliere, cit., p.50
[52] J.Lehmann, I Crociati,  tradotto da G. Pilone Colombo, Garzanti Editore, Milano, 1983, p. 35
[53] Storici arabi delle Crociate, a cura di Francesco Gabrieli, Einaudi Tascabili , Torino, 2002, p 212. Lo stesso episodio è citato da R. Pernoud , Riccardo Cuor di Leone, Fabbri Editore, Milano, 2001, p. 149. L’arco, del resto, è un’arma che mantiene ottima efficacia anche nelle mani di una donna. Ad esempio all’epoca di Genghiz Khan (1167 - 1227) presso le tribù mongole le donne erano esperte cavallerizze esattamente come gli uomini, salivano a cavalcioni ed erano addestrate al tiro con l’arco vd. E.D.Phillips,  Genghiz Khan e l’impero dei Mongoli, Mondadori, Il Giornale Biblioteca Storica, Milano, 2005, p. 28
[54] Storici arabi delle Crociate, cit., p. 202
[55] Storici arabi delle Crociate, cit., p. 179
[56] Storici arabi delle Crociate, cit., p. 185. Lo stesso episodio viene ricordato anche da M.Meschini, Assedi Medioevali, Il Giornale Biblioteca Storica, Milano, 2005, p. 157
[57] Hans Talhoffer - Medieval Combat , Translated and Edited by Marc Rector – Greenhills Books, London, 2000, plate 242-250
[58] J.Lehmann, I Crociati,  cit., p. 84
[59] il brano è tratto da La Chanson de Jerusalem che , assieme a Les Chétifs ed a La Canzone di Antiochia, formano il nucleo più antico del cosiddetto “Primo ciclo della crociata” un vasto agglomerato di tredici poemi che riunisce opere composte tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo – vd. Le crociate. Testi storici e poetici, cit., p. 16
[60] Le crociate. Testi storici e poetici, cit., p. 569
[61] Anno della guerra tra la Frisia e lo Hainaut
[62] P. Contamine, La Guerra nel Medioevo, cit., p. 328
[63] A. Santosuosso, Barbari, Predoni e Infedeli: La Guerra nel Medioevo, cit.,  p. 303

 

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