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I nostri editoriali
Renzi contro Renzi (e soprattutto PD contro il PD)
Franco Livorsi
Renzi mi piace moltissimo. L’ho detto e lo ripeto da tre anni, quando a sinistra piaceva a pochi. Mi piace come leader storico emerso, finalmente,  in una grande democrazia che, a mio parere, è attanagliata da una crisi non solo economica, ma anche d’identità morale e persino istituzionale, e forse anche nazionale, senza precedenti dal 1861 in poi (o comunque dal 1948). Ma Renzi mi piace anche come “capo” del maggior partito della sinistra. Non lo trovo minimamente autoritario. Uno che consente alla minoranza interna, ieri d Chiti e oggi d’altri ben più autorevoli leader del suo partito, di fare proposte alternative alle sue, e del suo partito, “in Parlamento”, quasi che i dissidenti appartenessero a un altro partito - come non accade in nessuna socialdemocrazia del mondo - può essere considerato un autoritario solo da chi sia così accecato dai dogmi - poco conta se liberali “costituzionali” o “marxisti” - da negare l’evidenza. Tanto più che Renzi fa trasmettere le Direzioni di partito per televisione, in diretta; e ha subito voluto aderire, come PD, al partito socialista europeo: cosa in apparenza tanto semplice, ma che né Veltroni né Bersani avevano fatto. E’ vero che “Renzi” ha quasi liquidato Senato elettivo e Province. Ma la sinistra aveva sostenuto da sempre il monocameralismo. Lo aveva fatto anche Lelio Basso, qui in Alessandria, in un grande convegno su Stato e Costituzione, nel 1975.  La stessa aveva sempre sostenuto l’abolizione delle Province dal 1970 (anzi, prima), dando vita alle Regioni.  Inoltre Renzi, pur tra molti pasticci, “obbligati” dall’accordo obbligato con Berlusconi, e che si vanno correggendo, ha già fatto votare alla Camera una riforma in cui c’è comunque il sistema elettorale a doppio turno con premio di maggioranza, che la sinistra chiedeva dal 1994. Renzi mi piace anche quando cerca di costringere la giustizia a darsi “tempi per le sentenze” non infiniti, in materia di diritto civile. In materia di riforma dello Stato e di riforma della giustizia il mio “renzismo” è perciò totale.

    Ciò posto ho invece la forte impressione, molto simile a una convinzione, che in materia di diritto del lavoro Renzi stia invece commettendo uno di quegli errori storici che, se non siano presto almeno “corretti”, possono risultare fatali a lui e alla  sua parte politica, innescando una situazione di cui potrà essere facilissimo perdere il controllo. Produrrebbe tali danni che neanche eventuali elezioni politiche anticipate presumibilmente molto favorevoli a Renzi potrebbero compensarli. La faccenda mi pare così grossa che inclino a credere che la Direzione del PD prevista per lunedì 29 settembre dovrà per forza correggere il tiro. Potrei attenderla e poi bearmi del compromesso che mi auguro caldamente venga ivi realizzato. Ma amo “rischiare”, nei miei “giudizi”, o “pregiudizi”, analitici. Tanto più in quanto scrivo come un “politologo” della sinistra e non come un militante.

   La faccenda in oggetto si pone su due piani: uno astratto ed uno concreto. Ma la politica richiede che il concreto prevalga, o quantomeno che l’astratto e il concreto si avvicinino il più possibile.

  A me sembra ambigua, in questo caso, la stessa logica “astratta”, in materia di diritto del lavoro, ossia di Statuto dei lavoratori, con particolare riferimento all’articolo 18 che impone il reintegro in caso di licenziamento ritenuto immotivato dal lavoratore, che nell’ultima versione dell’articolo può ricorrere al giudice. Questi molto spesso gli dà ragione, anche se le vertenze del genere possono andare avanti dieci anni. Voler por fine a ciò parrebbe “giusto”. Questa situazione, infatti, non può certo piacere agli investitori, interni e tanto più internazionali. Ma è pure vero, come dicono i critici di “Renzi”, che - pure ammettendo che l’abolizione dell’articolo 18, anche solo per i neoassunti (che in cambio ottengono di diventare lavoratori a tempo indeterminato in tre anni) - prefigura una futura abolizione dell’articolo 18 per tutti, quando gli attuali lavoratori già a posto relativamente fisso saranno andati in pensione. Ed è vero che ciò indebolisce la forza lavoro, oltre a tutto di fronte a un padronato spesso miope, egoista e provinciale come quello prevalente nel nostro Paese. Su ciò come possiamo non dare ragione a Landini o alla Camusso, oltre a tutto ove si parli come sezione del partito socialista europeo, ossia a nome di un movimento “lavorista innanzitutto” da oltre centocinquant’anni?

   Tuttavia, sempre ragionando  “in astratto” nel senso buono della parola, è pur vero che l’esistenza di due mercati del lavoro - uno protetto da cassa integrazione in deroga e giudici - sempre più “ago della bilanciadi tutto ” nonostante la cronica inefficienza del sistema giudiziario - e l’altro con salari miserabili, e senza garanzie – danneggia la gran parte dei giovani. Li trasforma in nuovo sottoproletariato contro il proletariato preteso protetto dal sindacalismo confederale, che a parere dei giovani disoccupati al 40% e per il resto sottoccupati se ne fregherebbe di loro; e ciò innesca una bomba sociale che per ora ha spinto gran parte dei giovani a votare per Grillo, ma domani potrebbe renderli ostili alla stessa sinistra, sindacale e politica. Come già accaduto più volte nella storia. A vantaggio dei rezionari, vecchi e soprattutto nuovi. A dispetto di ogni massimalismo, frusto o vestito da festa, ma sempre masochista sino alla morte.

   Su tale terreno la reazione degli oppositori di Renzi all’ipotesi di abolizione, con compensazioni, dell’articolo 18 mi sembra spropositata. Viviamo in un capitalismo italiano in cui il 90%  e più delle imprese è sotto i quindici dipendenti, cioè senza articolo 18 “protettivo”. Si dice che il contratto a tutele crescenti, sino all’assunzione a tempo indeterminato per l’attuale grande massa dei precari, dovrebbe terminare, in tal caso, con la protezione da parte dell’articolo 18 anche per loro. Ma l’idea – della cosiddetta sinistra sindacale e del PD - che quella che è stata una grande conquista al tempo della “Classe operaia” che andava nel cosiddetto “paradiso” di un famoso film, quando a Mirafiori c’erano settantamila lavoratori, e i movimenti di massa erano travolgenti, e non c’era la globalizzazione economica né la rivoluzione elettronica, né la recessione mondiale, sia estesa a tutti nel mondo d’oggi, per ragioni di principio, mi sembra generosa quanto “ingenua”. Se la proposta Renzi, che attenua le protezioni in uscita dal lavoro per ragioni economiche ma unifica in tempi brevi la condizione da lavoratori a tempo indeterminato di tutti, non passerà, è molto probabile che i giovani restino col sedere per terra come in tutti questi anni. Pensiamoci bene, cari compagni. Sarebbe socialmente ingiusto per la quasi totalità della gioventù e politicamente molto pericoloso perché ben presto la gioventù reagirà in modi e forme oscuri.

   Tuttavia tutti sanno che anche abolendo l’articolo 18 per i neoassunti, non arriveranno “chissà che investimenti”, e che il contendere concerne una quota minima del capitalismo italiano. Conviene, per questo, provocare una sorta di guerra con quasi la metà degli iscritti del PD e con tutta la CGIL, che, con tutti i suoi limiti, è almeno la metà di quel mondo del lavoro “sindacalizzato” senza il quale nessuna “vera” socialdemocrazia con basi di massa, cioè reale, ha mai potuto esistere?

   Se le idee che circolano, di Renzi e compagni, servivano ad aprire il cantiere in vista della “maggiore innovazione possibile”, per andare subito dopo al compromesso con la sinistra ex comunista e con la CGIL (ossia - piaccia o non piaccia – almeno con “mezza sinistra” e mezzo mondo sindacale), va benissimo. E spero che la contesa si chiuda o decanti molto già nella prossima Direzione del PD o poco dopo. Ma se per una questione socialmente controversa, economicamente molto limitata, si dovesse consentire agli irriducibili di trasformare la Vittorio Veneto di Renzi e del PD al 40%, nella solita Caporetto annunciata della sinistra, sarebbe ingiustificabile. La colpa non sarebbe solo di Renzi e compagni, e forse neanche prevalentemente loro. Ma il peggio è da evitare, mentre la ricerca volta a determinare “di chi sia la colpa” è la consolazione della gente sempre perdente (se non addirittura “perduta”). Mi auguro addirittura che se per disgrazia il compromesso in materia, nell’insieme della sinistra politica e sindacale, non fosse realizzabile, Renzi si fermi, e torni ad altre importanti faccende impellenti. Il vero leader, anche riformista, sa usare bene sia l’acceleratore che il freno. E la gente l’ha sempre compreso benissimo, se uno glielo spieghi. E Renzi sa farlo come nessun altro. Spesso nella storia chi si ferma è salvato.

                                                                                         (franco.livorsi@alice.it)  

 

 

 

 

24/09/2014 20:21:27
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