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Esperienze tra Oriente e Occidente
Mente e contemplazione
Fabrizio Uderzo
Di solito noi facciamo molto affidamento sulla capacità della nostra mente, quella che a  volte chiamiamo senno, ragione, giudizio, intelligenza e altro ancora. E la mente difatti è, assieme al corpo e all'energia, uno degli elementi costitutivi della persona umana, forse il più importante, visto che la mente ha una grande influenza sulla salute del corpo e sulla libera ed equilibrata circolazione dell'energia. Tutti conosciamo le conseguenze tormentate di una malattia mentale.

Soprattutto noi teniamo in gran conto la nostra capacità di ragionamento che, vista in una certa prospettiva, può essere vissuta come una sorta di disinvolta abilità di giocare con i concetti mentali nell'atto di rapportarli, di metterli a confronto e di trarre da ciò delle risultanze logiche che poi issiamo al rango di verità, dapprima personale e poi, quasi senza accorgercene, a verità assoluta, magari da imporre nell'ambito delle nostre relazioni interpersonali. In genere la cosiddetta cultura si fonda proprio sulla bravura, sul talento più o meno grande, sulla maestria nello sbloccare una determinata serie di giudizi, di definizioni e di concetti mettendoli assieme per trarne poi delle “teorie” o “linee di pensiero” in cui si vede la verità.

Possiamo dire, in altri termini, che una mente così concepita, con il suo lavoro, è il fondamento della nostra visione e quindi della nostra vita.

Ma siamo sicuri di conoscerla bene, questa mente? Siamo sicuri di averla studiata a fondo, come del resto merita? La funzione raziocinante che ci appare in primo piano esaurisce l'essenza della mente o c'è qualcos'altro dietro a lei?  Cos'è in realtà la mente, dove si trova? Di quale sostanza è fatta? Come nascono i pensieri, da dove vengono e dove spariscono? Abbiamo delle risposte a queste domande?

Occorre notare subito che a fare queste domande è la mente stessa. Può dunque la mente conoscere sé stessa? O è come un cane che insegue la propria coda?
Come si fa a studiarla? Forse facendo come fanno gli scienziati con il loro metodo, osservandola. Semplicemente osservandola.
Occorre osservare la mente in continuazione, senza intervenire, senza far nulla, lasciando che tutto al suo interno sorga, scorra e scivoli via, osservando e osservando, per ore, per giorni, per settimane, per mesi, ininterrottamente, con diligenza, senza porsi alcun limite temporale e senza avere idee o risposte preconcette.

E allora comincio. Mi metto in una posizione comoda e rilassata, per concentrarmi meglio abbasso gli occhi o li chiudo del tutto e comincio a osservare con attenzione facendo in modo che nulla di quanto apparirà possa sfuggirmi. Dopo alcuni istanti in cui, data la massima attenzione impegnata, sembra non succedere nulla, in un buio vuoto pressoché assoluto cominciano ad affiorare i pensieri, a volte i ricordi, a volte le sensazioni. E con il manifestarsi di tutti questi fenomeni, alla prima occasione irresistibile, la mente va dietro a quello di essi che sembra il più “forte”  e così si distrae, non prestando più attenzione all'osservazione di sé stessa. Nel momento in cui inizia la distrazione, e sono trascorsi solo pochi secondi, cessa l'osservazione, e la nostra mente riprende il suo comportamento abituale raziocinante, giudicatore, catalogante e assente nella ricerca di sé stessa, cioè distratto.

Allora, con calma e infinita pazienza, riprendo l'attenzione della mente e la riporto nella sua postazione di osservatore e continuo così con determinazione in un alternarsi continuo di attenzione e distrazione. La mente, certamente non abituata ad essere convogliata su un binario determinato, si ribella, morde, scalpita e tenta in continuazione di galoppare a briglia sciolta verso le praterie della distrazione che essa erroneamente scambia per libertà. Lasciamo pure che si sbizzarrisca nella creazione di qualunque fenomeno mentale; basta che facciamo come una mamma, che lascia sì giocare liberamente il proprio bambino, ma senza perderlo di vista un solo istante. Con una vigilanza assidua e costante che si fonda sul reiterato richiamo, sulla fermezza dell'attenzione e sull'impegno, a poco a poco la mente comincia a sentirsi maggiormente a suo agio nell'atto di osservare sé stessa, si calma sempre di più e finalmente si acquieta in uno stato di pace interiore sempre più profonda.  I pensieri sembrano svanire definitivamente. Sembra un vuoto senza limiti ma questa sensazione può durare solo un certo lasso di tempo, perché prima o poi i pensieri ricominciano a sorgere più o meno velocemente: la natura della mente è infatti anche energia in movimento e non solo immobilità. Questa è una mera constatazione che sorge dall'esperienza diretta.
Cominciano così a farsi vedere i primi risultati di questo continuo osservare.  Ci si accorge che la mente non è qualcosa che si veda, che si ascolti o si tocchi, non è oggetto dei sensi fisici. Non si fa acchiappare, né, tanto meno, legare, non se ne conoscono i limiti e non è pertanto definibile né descrivibile. Non ha aggettivi che la qualifichino, cioè non ha un odore o un sapore o un colore, né una forma qualunque. Se la si considera fuori di noi è irraggiungibile, se la si considera una parte di noi non la si trova. Insomma, non è una cosa, non un concetto, non è un luogo né un sentimento, non è una percezione, e nemmeno – facciamo attenzione – un'intuizione. Dal momento che non la vediamo, non si può dire che esista ma nemmeno che non esista; è fuori da ogni idea, immagine o concetto. Non ha punti di riferimento cui aggrapparsi per trovarla, non lascia tracce che si possano fiutare, né orme, né scie di profumi. Non è una musica ma può benissimo esserlo. Può manifestarsi in qualunque forma, ma non è facile riconoscerla. È una consapevolezza sempre attenta e presente e senza che alcuno sia presente.
L'unica possibilità di conoscerla è farne l'esperienza vivendola in sé stessi nell'unione (o meglio nell'identificazione tra il sé e lei), è rimanere in questo stato senza far nulla, assolutamente, senza farsi distrarre da una  parola, da un commento, da una riflessione. Se non si sta attenti, quando si pronuncia un “Ah” la si è già perduta.
Restare nella presenza e nella consapevolezza di questo stato, essendoci senza esservi. Ci si accorge ad un tratto che non c'è nessuno che osserva. C'è solo la mente cosciente di sé stessa. Una sottile presenza. Questo si chiama contemplazione, anche se, ripeto, non vi sia alcuno che contempli. Allora si comprende che non v'è distanza tra sé e questo stato, anzi, si acquisisce la certezza che il sé “è questo stato”. A questo punto fermati, non fare nulla e non toccare nulla, non cambiare nulla, rimani fermo e divienine sempre più consapevole; per così dire rafforza la capacità di rimanere in questo stato. In fondo, è lo stato naturale della mente, impalpabile, delicato e nello stesso tempo indistruttibile, forte come una montagna, oltre la dimensione temporale, dove tutto è già stato fatto ed è perfetto fin dall'origine.
F.U.
fud@tiscali.it 
19/11/2013 13:41:38
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