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Esperienze tra Oriente e Occidente
Oltre il Mito
Fabrizio Uderzo
In quel pomeriggio d'agosto la temperatura, come dopo un temporale estivo, era abbastanza mite e per niente afosa, il cielo azzurro era  limpido e cristallino. Ed ecco che, come sembra poter accadere soltanto in una fiaba, lo Studio vide apparire d'incanto, accanto a sé, nel giardino dove si trovava,  un'attraente giovinetta di nome Pratica: aveva costei le forme di una giovane fanciulla un po' esile, ma, già lo si vedeva dallo sguardo e poi, nel tempo, lo si capì dal suo comportamento saldo, continuo e risoluto essa era molto determinata e concentrata. I suoi tratti erano belli e armoniosi, il suo sguardo calmo e profondo. Ma, soprattutto, questa giovane donna dai lunghi capelli neri incantava l'essere con la sua voce limpida, melodiosa e pervadente, mentre socchiudeva gli occhi, come se stesse visualizzando qualcosa davanti a sé, nella propria mente.

Lo Studio mise da parte i libri e si fermò alcuni minuti ad ascoltare e a osservare. Improvvisamente fu rapito in uno stato di estasi: gli pareva di aver trovato in quella voce, in quel canto,  in quella essenza, ciò che sapeva mancargli. In quel pomeriggio d'agosto, per la prima volta da quando aveva preso coscienza di sé, si sentiva completo e capace di produrre tutti i suoi frutti. Era felice.

Lo Studio si unì alla Pratica e dal loro  fecondo amore nacque la Presenza. Quando la Presenza diventò matura nella giusta misura, conobbe Comprensione. La loro fu un'unione profonda e assidua a tal punto che mai, in nessuna circostanza, si separarono. Dove era Comprensione non poteva non esservi Presenza e dove era Presenza non poteva non esservi Comprensione. Nacquero tre meravigliosi gemellini: un maschio, di nome “Rilassamento totale” e due femminucce, una di nome Umiltà e l'altra di nome Gentilezza. I tre fratellini erano così legati tra loro da rimanere sempre insieme, proprio come i loro genitori. Forti in salute, correvano, giocavano, ridevano e gioivano sempre insieme. Intorno a sé spargevano la grande purezza della loro splendida e luminosa gioia di vivere.

I nonni Studio e Pratica, seduti in giardino sulle vecchie poltrone di vimini, li osservavano  commossi e felici di vedere i tre piccini, che erano sangue del loro sangue, giocare insieme spensierati, senza mai litigare come invece fanno frequentemente i bambini (e anche i grandi). Erano ormai anziani, ma il loro viso era ancora fresco e i loro occhi luccicanti.  Sapevano che la loro ragione d'essere non era più così importante, ma continuavano a diffondere intorno a sé un amore fatto di una fragranza speciale e una sottile disponibilità del cuore che portava in tutta la famiglia una serenità calma e una sicurezza a prova di tempesta. Qualunque cosa fosse capitata, tutti sapevano che con loro in casa il termine  “pericolo” nemmeno esisteva. Ogni eventuale tornado che si fosse presentato alla porta, per quanto impetuoso e terribile, si sarebbe afflosciato da solo davanti all'assoluta e inattaccabile calma in cui viveva tutta la famiglia. Non c'era procella che potesse impensierire.

Dopo alcuni anni, quando i tre gemellini avevano superato la soglia dell'adolescenza per entrare in una sviluppata giovinezza, i nonni Studio e Pratica dissero che sarebbero partiti per un  lungo viaggio nel ***** dove intendevano trasferirsi, “Ma   ̶ aggiunsero per tranquillizzare tutti   ̶ se ci fosse bisogno di noi, basta farcelo sapere e noi torneremo all'istante”. Non ci fu più bisogno di loro. Rilassamento, Umiltà e Gentilezza governavano la casa sotto gli occhi attenti e sempre vigili di mamma Presenza e  di babbo Comprensione e così gli anni passavano in una gioia fatta di soave leggerezza. Quando i nonni Studio e Pratica, giunti in tarda età, lasciarono il corpo entrambi nello stesso momento e con lo stesso, lieve sorriso, tutti  ne avvertirono  non già la mancanza, ma ancora una volta la preziosa presenza e compresero che i nonni in realtà non li avevano mai abbandonati e che ora, come allora (e come sempre) essi sarebbero stati lì, dovunque in casa e fuori, presenti latori d'amore, un amore che nulla chiedeva in cambio, consci com'erano che amare, nella sua vera accezione,  è un verbo intransitivo. “L'amore ‒ essi dicevano ‒ non ha bisogno di un oggetto, non è qualcosa che si dà e che si riceve, ma un inesauribile e indicibile stato del vivere e da vivere”. La loro esistenza, così come il loro esempio, aveva permesso a tutta la famiglia di imparare come si possa rieducare la propria mente e di capire fino in fondo ciò che appare assurdo ai più e cioè che servire gli altri è un grande  privilegio,  portatore di quella grazia che  apre i sentieri che portano alle vette.  Guardavano i nipoti e pensavano: “Come può esservi amore senza gentilezza, senza umiltà? E come può esservi umiltà e gentilezza senza amore?”

Questa è la storia che si racconta.

Lo so che sembra un quadretto spalmato di melassa e fritto nel miele, ma lo percepisce così solo chi si ferma alle parole e non sa che la porta di casa di tutti loro era sempre aperta per lasciar entrare qualunque cosa, buona o cattiva, vera o falsa, dolce o amara, lieta o dolorosa, le gioie della vita così come le tante sofferenze, la vecchiaia, la malattia e la morte. Ma quella porta non si chiudeva neppure davanti a quella malvagità cieca che spesso è generata da un rancore millenario e a cui più volte, purtroppo, ci è dato di assistere.  Tutte queste cose facevano parte della loro esistenza, certo, ma giammai avrebbero potuto offuscare il loro sguardo, che andava sereno e quieto oltre la porta, oltre il giardino, e persino oltre il cielo azzurro e profumato. Amavano spontaneamente, in  modo naturale e  senza perché, al di sopra di bene e male.

07/04/2015 14:20:43
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