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Schedario piemontese
Bergamasco

Schede storiche-territoriali dei comuni del Piemonte
Comune di Bergamasco
Redazione a cura di Marco Battistoni - Sandro Lombardini

Comune: Bergamasco
Provincia: Alessandria
Area storica: Alto Monferrato
Abitanti: 806 (censimento 1991); 760 (dati comunali 1999).
Estensione: ha. 1330 (ISTAT)/ha. 1305 (SITA).
Confini: Bruno, Carentino, Castelnuovo Belbo, Incisa Scapaccino, Oviglio.
Frazioni: San Bernardino, Boschi, Vercellini. L’ISAT (censimento 1991) individua un “centro”, che raccoglie circa l’80 per cento della popolazione, e due “nuclei”, che ne raccolgono poco più del 10 per cento, mentre quasi insignificante è l’insediamento in “case sparse”.
Toponimo storico: Bergamascus, attestato dal 1192, forse di derivazione da un personale romano.
Diocesi: Asti fino all’istituzione, nel 1175, della diocesi di Alessandria, alla quale venne forse già da allora assegnato. Quest’ultima, unita nel 1180 a quella di Acqui, dapprima con preminenza della sede alessandrina e poi, dal 1203, “aeque principaliter”, nel 1214, venne soppressa e il suo territorio inglobato nella circoscrizione acquese. La preminenza acquese viene ribadita con forza mediante atti di giurisdizione del vescovo agli inizi del secolo XVIII.
Pieve: Non si hanno attestazioni.
Altre presenze ecclesiastiche: In un diploma di Enrico II del 1014, che conferma alla abbazia benedettina di San Benigno di Fruttuaria proprietà e privilegi, si fa menzione di alcune "curtes… et castella" di Bergamasco appartenenti al comitato di Acqui. Quest’antica presenza dell’abbazia di Fruttuaria pone forse le basi per la lunga sopravvivenza del priorato di San Giacomo (di collazione pontificia) con i suoi ampi possedimenti terrieri, in particolare alla Costiera di San Giacomo, non iscritti a catasto fino alla fine dell’età moderna e in parte tenuti a regime enfiteutico da una rosa di concessionari locali; ancor più consistenti sono probabilmente le proprietà dell’abbazia dei Santi Cristoforo e Nicola, tre “masserie” che comprendono beni fondiari nei territori di Castelvero e Montemagno. Alla metà del Trecento esisteva in Bergamasco una abbazia dedicata a S. Cristoforo, probabilmente di una certa importanza e ricchezza, stando almeno ad una permuta di beni nel territorio d`Incisa effettuata nel 1342 tra l`abate e due marchesi d`Incisa. Nel 1809 viene eretta la cappella di San Cristoforo nella masseria omonima.
Più modesta, al confronto, la struttura parrocchiale, che risale all’antica chiesa cimiteriale di San Pietro, abbandonata in favore della parrocchia, o arcipretura, sotto il titolo della Natività di Maria Vergine, a sua volta sostituita, nella prima metà del secolo XIX in concomitanza con lo sviluppo del Borgo Nuovo, da un edificio parrocchiale intitolato anche a San Giacomo, con un’assimilazione della titolatura della “chiesa di campagna” di patronato gentilizio a Boschi.  
Assetto insediativo: Nei primi decenni del secolo XI, il territorio di Bergamasco appare già incastellato, probabilmente sotto forma di una “curtis cum castro”; è stato ipotizzato un insediamento ubicato sul rilievo su cui sorge l’attuale abitato a presidio del prospiciente tratto del fiume Belbo e a difesa dei rustici sparsi nelle scarse aree bonificate presso il fiume o nelle radure disboscate.
Comunità, origine e funzionamento: L’individuazione delle istituzioni comunitative locali emerge con particolare evidenza nel tardo medioevo e nell’ambito dei rapporti con i marchesi del Monferrato, a partire almeno da quando, nel 1368, il marchese Giovanni Paleologo emette una sentenza tra i marchesi e consorti d’Incisa e le singole comunità di Bergamasco, Carentino, Incisa e Castelnuovo. Risale forse a quest’epoca e certamente alla presenza del dominio monferrino, probabilmente interpretabile come immediato dominio, la promulgazione degli statuti, concessi alla comunità dal marchese del Monferrato.
I marchesi del Monferrato mostreranno un occhio di riguardo verso Bergamasco, che, durante l’occupazione militare del marchesato d’Incisa del 1452, verrà risparmiata dalla distruzione inflitta ai luoghi di Betonia e Cerreto. La forza e l’organizzazione della comunità sono evidenti e assertive in più direzioni: la rivendicazione (per esempio nel 1553) della nomina dei giusdicenti sulla base di una rosa di tre nomi proposti al duca dalla comunità; la concessione alla comunità di costruzione di un mulino, nonché la riscossione dei diritti di transito sul torrente Belbo (1558). Nel 1608 Bergamasco chiede la separazione giurisdizionale definitiva dall’antico marchesato d’Incisa.  
Dipendenza medioevo: Nel corso del XII Bergamasco entra a far parte dell’area egemonica dei marchesi d’Incisa, forse grazie a divisioni ed eredità tra i rami aleramici, ma entro fine secolo il perdurante controllo sul luogo esercitato di fatto dagli Incisa risulta subordinato alla supremazia, sia pure contesa, dei marchesi di Monferrato, a nome dei quali risulta in possesso degli Incisa entro il 1224 insieme a Carentino e a Castelnuovo Bormida.
Alla fine del secolo XIII Bergamasco entra nella zona di gravitazione del comune di Asti, con cui gli Incisa stipulano un’alleanza con la cessione del castello e delle sue pertinenze, ma, a partire dai primi anni del Trecento, si assiste a un riavvicinamento tra gli Incisa, organizzati in consortile, e i marchesi del Monferrato, ai quali Bergamasco viene ceduta nel 1305 insieme con Carentino e Vaglio. Il rapporto tra i marchesi di Monferrato e gli Incisa si consolida nel corso del secolo XIV, mentre si consolidano i rapporti tradizionali di diretta fedeltà degli Incisa all’impero. In seguito alla pace di Lodi del 1454, gli Incisa, che erano stati alleati dei duchi di Milano contro la Lega italica e i marchesi del Monferrato, vengono sciolti dal giuramento di fedeltà che li legava a questi ultimi; nel 1466 gli Incisa giurano fedeltà allo stato di Milano, coltivando, tuttavia, notevoli margini di autonomia politica fino al ristabilimento di un effettivo dominio da parte dei marchesi del Monferrato, compiuto entro il 1519.
Feudo: Il dominio degli Incisa su Bergamasco e sugli altri luoghi del marchesato (comprendente anche, nella sua massima ampiezza, Carentino, Incisa, Castelnuovo, Vaglio, Betonia e Cerreto) è consolidato nel secolo XII e si articola, a partire dalla fine del secolo XII, in un consortile. A partire dalla fine del secolo XV i conflitti, o faide, tra gruppi agnatizi più ristretti, fratelli e cugini, sorretti di volta in volta da detentori superiori di potere, in particolare il marchesato del Monferrato e lo stato di Milano, raggiungono un elevatissimo grado di violenza, che sembra minacciare di volta in volta la coesione territoriale e quella parentale del marchesato. La carriere più spregiudicata è forse quella di Oddone, che, nel 1487, non soltanto esce vittorioso da una feroce vendetta contro i cugini Ippolito e Pietro Maria, ma ottiene dal marchese Bonifacio III di Monferrato l’investitura dell’intero marchesato insieme al fratello Secondino e al cugino Alberto, con l’esclusione degli altri consorti. Oddone inaugura così la ricerca di un dominio personale ed esclusivo, diventando vassallo sia del re di Francia sia del duca di Savoia per contrapporsi ai parenti già suoi alleati e sostenuti a loro volta dal marchese del Monferrato, dal quale Oddone verrà catturato e giustiziato nel 1519.
Nonostante una breve infeudazione di Bergamasco a Gerolamo Perbono di Oviglio e alla cessione in favore dei marchesi del Monferrato dei diritti degli Incisa in cambio di alcuni beni allodiali a Castelnuovo Belbo, il figlio di Oddone, Gian Giacomo, otterrà una nuova investitura imperiale su tutti i luoghi del marchesato nel 1536. La faida tra due schieramenti bilanciati, e in particolare tra Gian Giacomo e il figlio di Secondino, Boarello II, sarà alimentata fino al 1544 dagli alternanti appoggi esterni dell’imperatore Carlo V vuoi direttamente vuoi mediante il senato di Casale, finché Boarello II, rimasto erede unico del marchesato, rinuncerà nel 1544 ai suoi diritti in cambio dei feudi di Camerana e di Gottardo dopo una lunga lite davanti al senato di Milano con i Gonzaga, ormai divenuti marchesi del Monferrato. Il dominio diretto dei Gonzaga viene interrotto almeno due volte: da un tentativo di infeudazione per vendita “con immunità perpetua” a Giacobino Claveri da parte della Camera monferrina nel 1552, revocato di fronte all’opposizione della comunità; dall’infeudazione a Michele Peretti, marchese di Cellano, nel 1612. Nel 1662 l’infeudazione ai fratelli Moscheni è accompagnata dalla dignità marchionale.
Mutamenti di distrettuazione: Feudo imperiale, appartenne al marchesato, poi ducato, del Monferrato, quando, sebbene con nozione priva di un preciso contenuto amministrativo era classificata fra le terre dello stato “al di là del Tanaro”. Nel coltivare larghi spazi di autonomia, i signori locali, marchesi d’Incisa, furono protagonisti di temporanee dedizioni e alleanze verso i duchi di Milano, il re di Francia e il duca di Savoia nel secolo XV e agli inizi del XVI. Dopo l’annessione del ducato del Monferrato agli stati sabaudi nel 1708, Bergamasco entrò a far parte della provincia di Acqui. Tale assetto fu confermato dalla definitiva sistemazione delle province piemontesi attuata nel 1749 e si mantenne perciò fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798).
Entro la maglia amministrativa francese, Bergamasco dapprima (1801) seguì le sorti dell’intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di estensione variabile avente per capoluogo Asti. Si trattò dapprima del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, dopo il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1801, del dipartimento del Tanaro, circondario (arrondissement) di Acqui. Con il successivo rimaneggiamento del 1805, l’inquadramento amministrativo dell’Acquese e quindi di Bergamasco fu quello del dipartimento di Montenotte, Sottoprefettura di Acqui, Cantone di Nizza. Dopo la parentesi napoleonica, Bergamasco entrò a far parte della provincia di Acqui, a sua volta parte della più estesa circoscrizione amministrativa costituita dalla divisione di Alessandria (istituita nel 1818). In questo quadro, Bergamasco fu compreso nel mandamento d’Incisa.
Mutamenti territoriali: Il comune di Carentino viene aggregato a Bergamasco nel 1928.  A partire dal secolo XVII sono attestate le pressioni sui boschi comuni, che sfociano in liti giudiziarie mosse dalla comunità contro la “appropriazione” da parte di privati di “legna e altri beni” in località Caminata. Il problema della compartecipazione dei signori alle risorse collettive si manifesta acutamente durante l’infeudazione ai Moscheni, che lamentano tanto il rifiuto della comunità, nel 1682, di riconoscere loro il diritto alla fruizione annuale del frutto dei boschi spettante ai residenti, quanto la “devastazione dei boschi” nel 1749. In particolare, l’accesso al legname degli appezzamenti di bosco assegnati mediante sorteggio viene invocato a quest’epoca come criterio di “franchisia” da parte degli abitanti possessori, gli “originari” del luogo, a fronte sia delle prerogative rivendicate dai signori sia dei diritti dei “forensi”.
Vi sono divisioni e vendite del territorio boschivo nel 1841-42. L’uso delle “chiavi” per il Bosco delle sorti è regolamentato nel 1895; una nuova regolamentazione è documentata per il periodo 1918-39. Nel 1990 il territorio gravato da usi civici è calcolato in meno di mezzo ettaro.
Luoghi scomparsi: Il castello degli Incisa.
Ordinati: “Registri dei Convocati” dal 1647. E’ attestata l’esistenza di compilazioni più antiche.
Statuti: Forse risalenti alla seconda metà del secolo XIV (1368) e comunque all’appoggio concesso alla comunità dai marchesi del Monferrato, approvati dal marchese di Monferrato Guglielmo VIII Paleologo nel 1453; riconfermati nel 1519, quindi a più riprese dai marchesi d’Incisa.
Liti territoriali: Nel 1414 i territori di Bergamasco e Carentino vengono definiti “con apposizione de’termini” rispetto a quello di Oviglio. I confini vengono dichiarati “antichi” nel 1437, quando il riacuirsi della controversia verte sul pagamento dei “carichi” a Oviglio da parte dei Bergamaschesi “che possiedono beni in quel territorio”; la loro condanna da parte del delegato milanese è accompagnata dall’ordine di piantare nuovi termini divisori dalla “ripa del Belbo in mezzo la bocca di Stampasso” lungo la “Valle Fredda“ e fino al “sentiero che tende” da Oviglio a Gamalero.
Durante l’età moderna le vertenze per intorno ai confini con Oviglio sono un fulcro di contenzioso giurisdizionale tra il marchesato del Monferrato e lo stato di Milano “per la gran quantità de’terreni che sono in contesa tra i due Stati”.

 

05/04/2008 12:00:00
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