Oggi, intorno alle 13.00, ho dato l’ultimo saluto a Diana, Giorgia e Davide, e con loro alla mostra “ForEverest: la crisi climatica in Nepal con gli occhi dei bambini” che ha lasciato il Museo della Gambarina, luogo in cui era stata inaugurata ed esposta.
La mostra, inaugurata il 5 marzo 2020 e che doveva durare sino al 14 dello stesso mese, meritava sicuramente più affetto di quello ricevuto, ma sono comunque soddisfatta della quantità di persone raggiunte.
Montare la mostra il primo giorno è stato faticoso, ma molto gratificante. Tutti i chiodi che abbiamo piantato, i gancetti appesi, le catene tagliate e distese, le pinze utilizzate per tenere fermi i grandi teli neri che facevano da sfondo alle stampe si sono rivelati essere una specie di metafora dei legami che si sono creati con tutta la squadra e con le opere esposte e le storie di cui parlavano. Mentre oggi lo smantellamento stava giungendo al termine, non ho potuto che sentire un senso di vuoto e nostalgia per quegli scatti che, esattamente come il messaggio che racchiudevano, erano semplici solo in apparenza e che per mesi hanno tappezzato i corridoi del museo. I principali antagonisti di questa storia sono stati il coronavirus e la conseguente situazione di lockdown, che ha impedito l’accesso a staff e visitatori per la maggior parte del tempo che la mostra è stata esposta.
La principale organizzatrice della mostra, Francesca Barbera, commenta in breve la mostra così: “Mostra molto interessante. Bello come siano stati separati i vari elementi ed illustrati tramite foto. Ogni singola foto cattura un esatto momento e ci porta a pensare al cambiamento climatico che noi tutti stiamo vivendo. La cosa che più colpisce è la nitidezza delle singole immagini e il messaggio che vogliono trasmettere”.
La mostra “ForEvrest”, promossa da Docenti Senza Frontiere, è il risultato del lavoro di Diana Bagnoli e Giorgia Marino, vincitrici del bando europeo “Frame Voice Report!”. Lo scopo della mostra era quello di dimostrare la validità delle preoccupazioni nei confronti del cambiamento climatico e il suo impatto sul mondo, tramite la diretta testimonianza degli abitanti di alcuni villaggi del Nepal colpiti da questa catastrofe geologica ed ambientale.
Il punto di vista principale è quello dei giovanissimi: molti degli scatti sono incentrati su bambini ed adolescenti, come Pushkar, che mi ha particolarmente colpito per il suo interesse verso la causa e per la sua saggezza. Dal momento che molte delle persone dietro gli scatti appartengono, presumo, a realtà più rurali, il rapporto con il territorio in cui vivono è molto probabilmente più sentito di quanto non lo sia per una persona che vive in una grande città, e quindi gli effetti negativi del surriscaldamento globale si ripercuotono sulla vita di tutti i giorni più marcatamente. Frane, inondazioni, siccità, monsoni irregolari, deforestazioni sono fenomeni a cui molte popolazioni si stanno purtroppo abituando (basti pensare solo alle frequenti frane che negli ultimi anni hanno colpito la zona del genovese), e se facciamo tutti qualcosa nel nostro piccolo credo che possiamo rallentarne l’avanzamento.
Le immagini sono state divise per temi: acqua, terra ed aria. Ognuno di essi è stato interpretato in varie chiavi con molta creatività. L’esposizione si apriva, per chi fosse entrato a vederla, con una stampa di circa 1,5 metri della foto del parco nazionale del Langtang, una parte di catena montuosa su cui si è creato un perfetto equilibrio di blu e marroni, che lasciava lo spettatore con il fiato sospeso. Una vista imponente, maestosa ma nel contempo umile e commovente. La potenza della montagna e la resilienza della natura sembravano essere uno scudo duro e necessario, mentre la delicatezza dei colori e la fragilità della flora e della neve lasciavano trasparire una gentilezza di fondo, l’innocenza di organismi, molecole e processi non marchiati dal DNA umano.
Si procedeva con l’aria. Immagini di vento, fumo, sospensione di paglia ed arbusti recisi, persone, aria della voce e della bocca che la emette, braccia sollevate e visuali aeree, bambini che giocavano soffiando l’uno contro l’altro. Tutti attimi, routines per alcuni, che sono stati fissati nell’ infinito della memoria e quindi nel flusso del tempo. Si passava quindi all’acqua. Qui le immagini prendevano toni più vivaci e polarizzati. Da un lato una gamma di rossi, arancioni e rosa, dall’ altro verdi, turchesi e azzurri. Anche la rappresentazione dell’acqua era più polarizzata: alcune foto presentavano fondali azzurri, con diversi elementi o punti di messa a fuoco specifici che davano quasi l’impressione di essere in un corpo d’acqua in cui però si poteva respirare; altre foto davano invece l’idea del peso che l’acqua in effetti possiede, dei suoi movimenti lenti ma inarrestabili, e del riverbero, quasi un monito, come se l’acqua stessa volesse avvertire lo spettatore degli effetti e delle conseguenze della noncuranza. Molte delle scene presentate in questa sezione erano feste o rituali tradizionali, oppure attimi nella vita di alcuni giovani e famiglie. Se teniamo conto del significato materno e purificatore che si dà all’acqua, viene spontaneo collegare la foto della madre che fa offerte in favore dei figli, o la famiglia immortalata davanti alla propria casa di argilla, con le foto di momenti importanti nella vita dei ragazzini presenti nelle altre foto della sezione.
L’ultima parte era invece dedicata alla terra. La foto che forse colpiva di più in questo caso è stata quella di un operaio di una fabbrica di mattoni. Qui l’uomo era circondato da mattoni impilati perpendicolarmente, quasi a creare una rete più che un muro. Si percepiva la scarsità di spazio ed il calore che poteva essere presente in quel luogo, e tutto anche grazie ai colori ed alla luce, quasi frontale, che illuminava il volto dell’uomo. Tutta la sezione era caratterizzata da un gioco di luci ed ombre in forte contrasto e da una palette composta principalmente da variazioni del rosso e del nero, e da un senso di materialità, sporcizia intesa come residuo, tra polveri, scintille e rifiuti. In questa parte del percorso espositivo i disegni dei bambini spiccavano, oltre che per il numero, soprattutto per l’affinità molto sentita con le tematiche trattate. Questi presentavano raffronti tra come viene trattata la Terra e come dovrebbe invece essere curata, pianeti che soffrivano e che chiedevano aiuto, campi tagliati in due da ondate d’acqua inaspettate o dighe, crudeltà verso piante ed animali, fabbriche ed abitudini altamente inquinanti e non necessarie.
Tutte le foto, se considerate insieme, sembrano le parole di una richiesta forte ma pacifica. Una rivendicazione dei diritti della natura prima di quelli dell’Uomo. I livelli di inquinamento che sono stati registrati durante la quarantena dovrebbero spingere tutti a rivedere ogni aspetto della propria vita in termini di impatto ambientale Fare la raccolta differenziata non basta, come non basta usare la macchina una volta in meno al mese. Gran parte del potere di cambiare le cose risiede nelle nostre scelte politiche e nel decidere dove spendere i nostri soldi, per elencare solo due dei fattori con maggiore incidenza.
Il prossimo appuntamento con la mostra “ForEverest” è a partire dal 2 giugno presso il MacA – Museo dell’Ambiente di Torino in Corso Umbria 90.
Per chi se la fosse persa, consiglio vivamente di andare a vederla, anche se la disposizione sarà un po’ diversa da quella che è stata scelta presso il Museo della Gambarina.
Abbiamo una sola casa, e dobbiamo prendercene cura tutti inseme, come meglio possiamo.
Elena Martinelli
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