Più impegnativo del previsto il viaggio di conoscenza, promozione e sostegno degli amici di “Verso il Kurdistan ” in nord Iraq. L’obiettivo resta quello di raggiungere la zona di confine con la Siria di Shengal, per motivi umanitari e per avviare la costruzione di un centro medico, ma si moltiplicano i problemi. Un territorio dove, assieme alle milizie del governo del nord Iraq a maggioranza kurda moderata, si mescolano milizie sciite di ispirazione/origine iraniana, araboiraqene del governo di Bagdad e, novità, milizie turcomanne che fanno esplicito riferimento a Reyyip Erdogan e alla vicina Turchia. Tutto da leggere e, se possibile, sostenere con la divulgazione del presente articolo e una donazione all’IBAN dell’associazione “Verso il Kurdistan”. (n.d.r.)
Primo comunicato
Una delegazione di 18 amici e compagni italiani, composta da giornalisti, fotografi, fumettisti, operatori umanitari dell’Associazione Verso il Kurdistan si trova nel Kurdistan iracheno e partira’ per raggiungere prima Sinjar (Shengal, in kurdo), nel nord Iraq, sul confine con la Siria, poi il campo profughi di Makhmour. Si tratta di una missione umanitaria che ha l’obiettivo di contribuire al miglioramento dei servizi e dell’assistenza sanitaria nel distretto di Sinjar attraverso la realizzazione di una struttura sanitaria attrezzata per far fronte alla pandemia da coronavirus e per la cura di gravi malattie. Alla realizzazione di questo progetto, hanno finora dato la loro adesione, oltre all’associazione Verso il Kurdistan, Fonti di Pace di Milano, l’Arci di Firenze e la Cgil dell’Emilia Romagna.
Sinjar, dove vive una popolazione che professa in magguoranza la teligione yazida, e’ stata fatta oggetto di un nuovo tentativo di genocidio da parte di Daesh (nella loro storia e’ stato il 74′ ferman), quando migliaia di donne e di ragazze furono rapite come “prede” e vendute come schiave sessuali a Mosul e Raqqa, mentre uomini e ragazzi sono stati trucidati e sepolti in fosse comuni.
Altra tappa del.nostro viaggio sara’ il Campo profughi di Makhmur, sotto embargo da agosto 2019, piu’ volte bombardato e assaltato dalle bande nere dell’Isis.
Nel campo di Makhmour, dove da anni operiamo con progetti umanitari, oggi porteremo gli aiuti ai bambini affetti da sindrome di down dell’Hevi Center.
Sono due realta’ dove si pratica l’autogestione, la convivenza pacifica, la parita’ di genere, la democrazia dal basso. Proprio per questo, la Turchia non rinuncia a minacce, aggressioni e bombardamenti con droni, senza che nessuno apra bocca!
Una vergogna per la comunita’internazionale che non fa niente e si e’ scordata troppo presto degli yazidi di Shengal e dei profughi di Makhmour scacciati dai loro villaggi bombardati e distrutti nel Botan e costretti a rifugiarsi in Iraq per sfuggire ai militari turchi.
Concludiamo con un appello a tutti i compagni e solidali affinche’ contribuiscano con una donazione e partecipino alla realizzazione di questi progetti.
Aiutiamo le donne e i bambini di Shengal e Makhmur, sosteniamo il loro percorso di pacifica convivenza tra i popoli, un esempio per l’umanita’ intera.
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Secondo comunicato
E’ il secondo giorno della nostra missione in Iraq. Oggi abbiamo cercato di raggiungere Sinjar, percorrendo la strada Erbil, Mosul, trecento chilometri in mezzo a pianure e colline aride e senza vegetazione,u
campi di grano gia’ tagliati, case basse, alcune segnate dai bombardamenti del 2016 contro l’Isis. Percorriamo il ponte che sovrasta il Tigri; da Mosul ci sono ancora 180 chilometri per arrivare a Shengal.
Lungo la strada, numerosi posti di blocco affidati alle varie milizie: peshmerga del PDK, militari iracheni, milizie turkomanne e sciite (hochad shaby).
Siamo stati fermati, per controllo, in quasi tutti i ceck point, mentre quando siamo arrivati al posto di blocco, circa dieci chilometri dopo Mosul, ci hanno fermato per ben quattro ore, sotto il sole cocente di 40 gradi. Dopodiche’, ci hanno chiesto di consegnare i cdllulari, siamo risaliti in macchina e ci hanno scortato al Centro Army di Talah Far, passando addirittura attraverso un altro ceck point controllato dalle milizie sciitee, Hoshad Shaby.
E qui, in caserma, comincia la conferenza del comandante turcomanno: innanzitutto, ci ha detto che era impossibile proseguire, nonostante avessimo tutti i documenti in regola, con tanto di visto dell’Ambasciata dell’Iraq a Roma ( costo del visto cadauno ben 100 euro!); in secondo luogo, ha preteso che firmassimo, senza consegnarci copia, una lettera in arabo, dunque per noi incomprensibile, in cui ci impegnavamo a rispettare ulteriori normative non ben precisate, pena la non consegna dei telefonini, ne’ del passaporto con il fermo di tutti quanti i diciotto all’interno della caserma militare. La firma dovevano opporla tutti i partecipanti; in caso contrario, anche per la mancata firma di uno solo, nessuno sarebbe stato rilasciato.
Sotto questo pesante ricatto, la delegazione ha deciso di accettare firmando il documento, impegnandosi a rivolgersi all’Ambasciata e agli avvocati per la nostra tutela.
Rientrati nel territorio del governo regionale, abbiamo iniziato una serie di telefonate per trovare una soluzione per poter andare a Senjar. Da parte delle istituzioni italiane ed irachene nessuna risposta concreta, mentre siamo impegnati a trovare una soluzione alternativa, in quanto alla nostra missione umanitaria a Shengal non vogliamo rinunciare.
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