La sfida per la sopravvivenza del governo si gioca sull’innovazione. Su questo, almeno a parole, sembrerebbero tutti d’accordo. Ma dato che non stiamo parlando di una start-up della Silicon valley, ma dell’esecutivo della seconda potenza manifatturiera europea, il terreno su cui si gioca la partita non può che essere uno: la macchina istituzionale di intervento. E anche il modo di intervenire è obbligato. Lasciare da parte – o, almeno, mettere in secondo piano – i piani mastodontici di riforma. Tipo quello costituzionale su cui è naufragato il renzismo, o quello – altrettanto scivoloso – che riguarda il mastodontico apparato giudiziario. Sono i tipici esempi di policy su cui – quale che fosse la direzione intrapresa – i risultati arriverebbero solo di qui a diversi anni. E sarebbero in larga parte imprevedibili, per via di una implementazione tortuosa e, in larga misura, ingestibile. Con la – micidiale – aggravante, che proprio su questi fronti si accenderebbe uno scontro ideologico tanto violento quanto inconcludente, con l’unico risultato di mettere in forse la sopravvivenza del governo prima ancora che cominci a camminare.
Se, al contrario si vuole davvero provare a fare crescere – nella società e nei militanti – questa alleanza in fieri, l’innovazione istituzionale che serve deve concentrarsi sui temi che – durante le trattative – sono stati – da entrambe le parti – presentati come il vero lievito del nuovo patto: ambiente, economia circolare, istruzione e formazione Ict. Temi che sono stati assenti nella passata stagione Pd al governo e che gli stessi Cinquestelle hanno fatto grande fatica a fare emergere dal loro condominio con la Lega. Questi temi hanno l’enorme vantaggio che, invece di guardare alle pesanti divisioni del passato, provano a immaginare quale potrebbe essere un futuro diverso del paese. Hanno, cioè, un alto coefficiente ideale e culturale, i due ingredienti che – fino a oggi – sono mancati nelle esperienze di governo, sia democratiche che gialloverdi. E che sono indispensabili per provare a riagganciare quelle ampie fasce di elettorato disilluse dalla vecchia politica e che possono essere rimotivate solo da una – massiccia e seria – iniziativa sui nuovi bisogni.
Il punto critico di queste policy innovative è che sono, per loro natura, trasversali. Prendete il caso dell’istruzione. Se si pensa di andare avanti utilizzando solo le risorse amministrative di viale Trastevere, anche tutta la buona volontà del nuovo Ministro Fioramonti non riuscirà a sbloccare – e a svecchiare – i circuiti esistenti. Al tempo stesso, il nuovo Ministero per l’Innovazione rischia di essere – privo come è oggi di agganci operativi – un laboratorio di propositi virtuali. Occorrerebbe un’Agenzia trasversale, innervata su entrambi i ministeri, capace di collegare ideazione ed attuazione all’insegna di una progettualità sintonizzata sui grandi trend internazionali. E che mettesse al centro dell’agenda politica – in modo visibile e tangibile – il tema della formazione digitale come nuova frontiera della sperimentazione didattica e dell’inclusione delle nuove generazioni. Se oggi, nel mondo, oltre cento milioni di studenti accedono all’istruzione universitaria di qualità gratuitamente online, il governo giallorosso ha un’occasione straordinaria per porre fine alla tagliola del numero chiuso e della discriminazione territoriale nell’accesso ai migliori atenei. Ma solo se riesce a passare – rapidamente – dalle intenzioni ai fatti.
Sfida analoga riguarda l’ambiente. Se davvero si vuole dimostrare che è possibile mettere in pista cantieri di un’economia diversa, non bastano le scarse risorse di un Ministero che può, al più, provare ad allargare il suo impatto regolatorio. Se la difesa dell’ambiente viene percepita solo come un ostacolo allo sviluppo, si riprodurrà – anche tra i due neoalleati – la vecchia spaccatura che tanto ha nociuto alla sinistra storica. L’unico modo per uscirne è immaginare di creare snodi istituzionali di intervento che coinvolgano Ambiente, Sviluppo e Infrastrutture. Non meri tavoli di confronto, che finiscono inevitabilmente in scontro. Ma un’agenzia con l’obiettivo specifico di mettere in pista iniziative che facciano vedere che si può conciliare il futuro con i vincoli della sostenibilità.
Tutto ciò può apparire più complesso del gioco della distribuzione di poltrone cui, finora, abbiamo assistito. Ma è l’unica strada percorribile. Quando Roosevelt dovette affrontare la crisi economia e politica più dura della storia americana, partì proprio dalla rifondazione dell’intervento presidenziale. Non con accrocchi costituzionali, ma con un’ingegneria istituzionale che divenne la forza del New Deal. Se non vuole restare impegolato nel labirinto della vecchia burocrazia, il Nuovo Patto tra Cinquestelle e Pd ha bisogno di nuove gambe per correre.
(“Il Mattino”, 9 settembre 2019).
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