Il piccolo koala è immobile, appoggiato all’albero bruciacchiato della foresta australiana che da mesi incenerisce milioni di ettari.
Il pelo è arruffato, porta i segni dell’incendio come ciò che lo circonda. E’ attonito, come accade quando una catastrofe investe la specie animale di cui l’uomo è l’esemplare peggiore, quello privo d’umanità: all’animale nessuno può togliere la sua animalità che rispetta le leggi naturali. Ha perso tutto e non riesce a staccarsi da quel tronco che è ciò che resta della la sua vita.
Il piccolo koala ha intenzione di morire, non ha più senso continuare. Lo si legge nello sguardo, fisso e smarrito. Lì seduto sembra un bambino abbandonato, invecchiato improvvisamente.
Il giovane volontario si muove con cautela. Ha in mano una ciotola d’acqua che avvicina al volto, non muso, del piccolo animale. Ha sete ma non vuole bere e manifesta la sua volontà alzando lentamente il braccino, non zampa, a dimostrare la propria determinazione. Un gesto malinconico, struggente, di disperata nobiltà.
“Lasciami stare qui”, dice quel gesto, “qui era il mio luogo, la mia famiglia, la mia esistenza…”.
Il piccolo koala esprime la dignità della migliore umanità, merce rara da trovare nell’indifferenza che ci circonda e in cui ci rifugiamo per non vedere.
Quel filmato, passato senza clamore e più significante di qualsiasi aggiornamento sul disastro australiano, dovrebbe diventare virale per scuoterci dal torpore.
Invece … 450 milioni di animali morti e gli ettari di foresta australiana, un polmone del mondo che respira ansimando, sembrano riguardarci da lontano.
Non se ne parla se non distrattamente.
Lo spazio mediatico è occupato dal microcosmo delle nostre beghe quotidiane di lega, piddì, fivestars chi lo sa, bibbiano e sardine, processi e successi.
Intanto anche da noi le colture, una volta distribuite per fasce climatiche, si spingono sempre più a Nord come l’ulivo, i pomodori e la vite si coltivano anche ad alta quota e al Sud e al Centro cominciano a verificarsi fenomeni di desertificazione, e poi siccità, gestione non sostenibile del suolo, urbanizzazione selvaggia che ha infestato tutto il territorio, allevamenti intensivi nonché 14 miliardi di euro di danno per la perdita di terreno produttivo.
Volto la testa dall’altra parte… vigliaccamente oppressa e impotente.
Solo poche righe.
Marina Elettra Maranetto
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