…Una chiave di lettura .
La nostra rivista Città Futura, attraverso articoli di Bruno Soro e di Dario Fornaro e con un dibattito interno vivace e attento, si sta interessando della vita economica della nostra città e dei territori limitrofi e cerca di colmare un vuoto nel dibattito politico attuale, ovvero il fatto che dell’evidente declino della nostra provincia nessuno parla con una qualche continuità e cognizione di causa.
Tuttavia, il declino di Alessandria e provincia è certamente evidente, non solo per la ennesima crisi industriale di più settori dopo il crollo finanziario generale del 2008, ma anche per il calo demografico costante verificatosi negli ultimi cinquant’anni, per la pesante incuria in cui è lasciata la città capoluogo, per il declino della vivacità intellettuale, per lo stato penoso in cui versano le strutture viarie pubbliche e per l’imbarazzante fallimento delle politiche del traffico e sui rifiuti. Tutti gli indicatori economici relativi alla qualità della vita relegano Alessandria e il suo territorio agli ultimi posti delle classifiche nazionali, ma guai a parlare di declino e dei rimedi da adottare!!
Credo che dovremo colmare noi un vuoto di dibattito, pur con i nostri mezzi relativi, avendo meritoriamente fatto da battistrada l’intervento sulle nostre pagine pochi giorni fa del professore Soro. Gli argomenti lì esposti, che trovo di grande interesse, mi suggeriscono una ardita chiave di lettura dei motivi di questo declino generale della nostra provincia. Le mie tesi, purtroppo non sono sostenute da dati, che dovrebbero essere reperiti appunto, in una ricerca, e non sarà facile reperirli visto che più nessun centro studi fornisce dati sull’economia e su altri dati sociali, ( vi è anche un declino degli studi e della statistica), tuttavia una chiave di lettura dei fenomeni può precedere una ricerca e aiutare la stessa.
In breve si tratta di questo: propongo di inquadrare la crisi del nostro territorio in un panorama di trasformazioni più ampio; per tempo, un arco di almeno mezzo secolo, e per spazio, ovvero ponendo in questione le modificazioni del sistema economico occidentale e mondiale. Faccio rilevare, dunque, due date che mi paiono importanti nel nostro discorso; una è il 1971 l’altra il 1980.
Il 1971 è il momento in cui le difficoltà americane di mantenere il cambio Dollaro – oro giungono ad un punto di rottura, il Dollaro è dichiarato non più convertibile. Ciò determina, sempre per manovra americana, due effetti, una inflazione che esplode in tutti i paesi ‘occidentali’, grazie anche alle tensioni sul prezzo del petrolio oltre che alle tensioni monetarie e sui cambi, infine l’avvicinamento fra Stati Uniti e Cina, ( la diplomazia del Ping Pong), che determina una redistribuzione degli investimenti produttivi industriali e l’ingresso nel mercato mondiale di masse lavoratrici ingenti e fortemente concorrenziali sul piano del costo rispetto a quelle europee. Le conseguenze della crisi inflazionistica da costi, (materie prime), e l’ingresso di nuove masse lavoratrici sul mercato mondiale, causa le prime grandi crisi di ristrutturazione industriale a metà degli anni settanta, che colpiscono in particolar modo un territorio come il nostro, basata su una forte insediamento produttivo degli elettrodomestici e delle auto destinate al consumo di massa. Infatti, la nostra provincia si trova al centro del grande triangolo industriale Genova – Torino – Milano, dove le regine della produzione erano l’industria dell’auto e degli elettrodomestici, della chimica e del tessile fino alle grandi produzioni di acciaio, ( si pensi all’Ilva di Genova e Novi).
Questa forma di insediamento industriale, di livello medio di sviluppo, quindi non alla avanguardia dello sviluppo tecnologico, ( fa eccezione solo l’Olivetti di Ivrea che sarà smantellata anche per ragioni internazionali), entra in crisi profonda negli anni settanta perché non regge alla prima fase del processo di finanziarizzazione economica, e declina definitivamente dal 1980. Ecco l’altra data periodizzante, ovvero i trentacinque giorni alla FIAT. Quell’episodio precede tutte le ristrutturazioni industriali delle grandi fabbriche a tecnologia media del Nord Ovest padano, Alessandria inclusa, che da allora ridurranno il personale e innoveranno solo i processi produttivi ma non tanto i prodotti. La crisi di ristrutturazione investe tutto il Nord Ovest, ( si pensi alla crisi dell’Alfa a Milano negli anni ottanta, alle privatizzazioni del settore industriale IRI molto presente da noi, nei novanta), mentre il lombardo – veneto sa riciclarsi come contoterzista della industria meccanica e dell’auto tedesca. La crisi economica degli anni settanta e ottanta determina, dunque, uno spostamento delle direttrici dello sviluppo del settentrione italiano, il grande triangolo industriale del Nord Ovest declina, emerge la piccola e media impresa Lombardo – Veneta. Ma vi è di più.
Il declino economico trascina un declino culturale, determinato, a mio avviso, dalla incapacità dei partiti di leggere ciò che era avvenuto alla FIAT nell’ottanta, e al lento disfarsi della forza dei partiti stessi, della loro capacità di costruire cultura, che era determinato in larga parte dalla loro forte base sociale che risiedeva nelle fabbriche che appunto si svuotano progressivamente. Inoltre, emerge un nuovo ceto centrale nella società, l’impresa, sia nella forma del ‘padroncino’, sia nella forma del finanziere del settore bancario, della borghesia impiegatizia delle agenzie immobiliari e assicurative, dei dirigenti di aziende e dei settori chiave delle amministrazioni pubbliche. Questi ceti, per cultura e per prassi, si sposano con un concetto dello sviluppo teso a privilegiare la rendita edilizia e finanziaria, a sostenere con ogni tipo di prebenda la piccola impresa, ( piccolo è bello), a saccheggiare con opere pubbliche le casse dello stato, opere tanto inutili quanto mai pianificate per un processo di sviluppo generale del paese, e infine, a ritenere tutto ciò che è servizio pubblico e spesa per la cultura, null’altro che spreco e malversazione. Se ci pensate, gli attori politici di questo cambio politico sono la Lega e Forza Italia, la sinistra è subalterna a questa visione delle cose e agisce di rimessa. Questi fenomeni si accentuano nella nostra provincia più che altrove, ed è qui che più specificatamente si addensano gli effetti della rendita edilizia, ( si pensi all’abnorme sviluppo della Grande Distribuzione Organizzata), del condensarsi di opere grandi, faraoniche, quanto inutili, della assenza dei partiti organizzati, della cultura, della afasia delle rappresentanze dei ceti produttivi, del ritiro progressivo delle istituzioni pubbliche, ( Ferrovie, Banca D’Italia, strutture periferiche degli organi di governo), che determinano un modificarsi, in peggio, dei ceti intellettuali e dirigenti. Il quadro è, insomma, sconsolante, ma è solo individuando i nessi processuali profondi, da quelli più lontani a quelli più vicini a noi, che si può accertare le cause del male e cercare di apportare ad un corpo malato una qualche tipo di cura.
Alessandria 09-02-20 Filippo Orlando
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