Siamo invasi, ormai lo sappiamo bene, dai libri di occasione e dalla facile bibliomania spacciata per vera cultura. Ogni remora viene superata dalle nostre case editrici quando vi sono anniversari di eventi importanti e si può spacciare per buoni volumi che poi ritroviamo ingombranti gli scaffali delle librerie cittadine. Volumi spesso non utili e che colgono di un evento storico soltanto il dato superficiale che però impressiona la pubblica opinione. Raramente, invece, possiamo trovare, editati a volte da case editrici semisconosciute, pubblicazioni rivolte certo all’evento dettato al ricordo dalle grandi macchine culturali che agitano la TV, il Web, i giornali e le istituzioni universitarie, e che tuttavia non mancano di offrire riflessioni serie e meditate sui corsi della storia.
Un caso felice di un libro profondo seppur dettato dall’anniversario indicato dalla moda del momento, è la pubblicazione del filosofo marxista Alberto Burgio, dell’università di Bologna, intitolato ‘Il sogno di una cosa, Per Marx’, editato dai tipi della DeriveApprodi nell’anno 2018.
Il bicentenario della nascita di Karl Marx è l’occasione per Burgio, filosofo e militante della sinistra comunista, per indagare il lascito non solo del marxismo ma della cultura critica e dialettica che ha origine con l’opera di Hegel. Il libro di Burgio è un libro militante pur essendo, allo stesso tempo, capace di approfondimento e di una chiarezza espositiva che lo rende accessibile pure a lettori non ferrati nelle materie filosofiche. Dico militante in questo senso: Burgio ci propone una idea chiara e netta di marxismo, scegliendo senza tentennamenti la linea dialettica e storicistica che coglie le linee di continuità che vanno da Hegel a Marx, continuando attraversando il rapporto fra Labriola e Gramsci, rileggendo in chiave meno positivista Engels, fino a giungere a Lenin, Lukacs, Korsch e infine a Debord e Foucault. Il marxismo, in sostanza, trova la sua forza d’essere e la capacità di resistere nel tempo, alla sua aderenza alla ‘cosa’, ovvero alla materialità delle storia, dando di essa una visione che non separa meccanicamente il ruolo del soggetto e delle masse dalle condizioni strutturali, economiche e culturali, che determinano il concreto agire umano. Si potrebbe dire, nella sostanza, che la linea del pensiero che si dipana dal rapporto Marx – Hegel può sintetizzarsi in un detto lapidario: tutto nella storia, nulla al di fuori di essa.
La presa di posizione di Burgio, che non è una mera descrizione, pur attenta nell’affresco generale che deve necessariamente in poche pagine comprimere due secoli di storia del pensiero, è così forte perché pone a confronto la forma del pensiero degli ultimi trenta anni che ha dissolto la realtà e il concetto di ricerca della verità, con la necessità oggi di riscoprire il reale, l’evoluzione della società e della materia per ritornare a capire cosa accade al mondo oggi. E’ la necessità del ritorno alla critica e alla conoscenza delle profonde strutture sociali che si impone oggi, se si vuole realmente opporsi allo stato di cose presente e cercare una via per la trasformazione del mondo. La filosofia, ne deriva dal ragionamento su esposto, non può rintanarsi nel comodo cielo degli onniscienti intellettuali, ma deve riposare i piedi a terra e ancorare ad essa l’intero cielo del pensiero. Senza l’undicesima tesi su Feuerbach la filosofia non ha senso nel mondo di oggi. Questa è una maledetta pretesa intellettuale, ovvero quella di ancorare il pensiero alla materia, che gli intellettuali non hanno mai perdonato al filosofo di Treviri, e credo nemmeno ad Hegel la sua corrispettiva insistenza sulla immanenza, e tuttavia, mi pare suggerisca Burgio, la forza di Marx oggi sta nella necessità del suo occhio dialettico con cui finalmente possiamo vedere il mondo per come è, senza celarlo dietro le nuvole del fantastico desiderio umano. La ragione per cui si continuerà a leggere Marx risiede nella indispensabile visuale che ci offre per capire il mondo e non solo per fantasticarne; di Marx e dei suoi epigoni non ci si sbarazza così facilmente, come si è creduto fino a poco tempo fa.
Il volume, si compone di varie parti dedicate prima alla dialettica di Hegel e poi a Marx, e infine giunge ad analizzare il lascito dei più grandi pensatori del marxismo del novecento. Infine, Burgio conclude la sua fatica con tre capitoli che pongono le questioni cruciali per il marxismo di ieri e dell’oggi. Un capitolo è dedicato al tema del conflitto, un altro alla ‘questione di confine’ della transizione, e per ultimo la declinazione di ciò che è una crisi e la sua relazione con la rivoluzione.
Il conflitto nella società del capitale resta inesorabile fra il soggetto dei lavoratori e il capitale stesso, pur se non va dimenticato che sono diverse le identità sociali che complicano questo quadro schematico, intendo, dunque, le identità del nazionalismo, della religione, della comunità più prossima, della caratterizzazione sessuale. Il conflitto capitale – lavoro ha comunque una sua irriducibilità, e il lavoro umano continua a contenere in esso una sua indisponibilità a trasformarsi in mero strumento della tecnica produttiva capitalista. In ciò vi è il grande tema dell’alienazione nel mondo moderno, dell’uomo che è spezzato fra le sue potenzialità spirituali e il suo concreto vivere materiale. Se si parlerà ancora di socialismo in futuro sarà per la necessità di intendere una società altra in cui l’essere umano sia ricomposto fra le sue ambizioni di completezza delle sue aspirazioni e la tendenza del capitale a trasformarlo in un mero strumento, appendice del progresso della macchina e degli obiettivi dati dalla espansione monetaria e della accumulazione di capitali. La ‘transizione’ è determinata, come tema complesso, dalla famosa prefazione del 59’, nella quale Marx afferma che la società evolve secondo una successione di forme produttive. Quando un metodo produttivo si pone in conflitto con i rapporti nella sociali, ( i rapporti sociali di produzione), l’intera piramide sociale e culturale si rivoluziona e evolve verso nuove forme epocali. Burgio, lungo una serie di esplicativi e folgoranti capitoli, ci spiega come nella visione della trasformazione sociale non vi è nulla di deterministico, né tanto meno di eccesso di produttivismo, come spesso si è pensato. Sarà Gramsci, nelle famose pagine dei quaderni, a indicare l’esatta interpretazione delle pagine marxiane, sottolineando la complessità del produrre, atto nel quale l’uomo pone energie materiali quanto intellettuali e culturali, e nel distinguere fra crisi ‘occasionali’ e superabili dal sistema dato, da ‘crisi organiche’, che investono il fondamento del sistema sociale, e che tuttavia, sono destinate ad un lungo e travagliato sviluppo, prolungate dalla capacità del sistema egemone di porre elementi di controtendenza al declino. Ciò significa che la visione della rivoluzione come scoppio improvviso, come rapido ribaltamento dei rapporti di forza fra gruppi sociali, è da superare a favore di una concezione che pone al centro il lungo periodo di maturazione dei processi sociali che portano al superamento di una epoca storica per passare, definitivamente, ad un’altra.
Ne deriva una concezione della rivoluzione come grande processo sociale di lungo periodo, come rottura degli equilibri sociali e come lenta maturazione degli assetti di classe nuovi, e , infine, in tale ottica è fondamentale la distinzione dialettica fra processo e evento rivoluzionario. L’ evento rivoluzionario è l’atto politico che può giungere alla fine del processo sociale, ( come è successo allo schema di rivoluzione borghese), oppure può esso incastrarsi solo in un frangente temporaneo di una lunga agonia della società precedente. Nel secondo caso si verifica una discrasia temporale fra l’evento e il processo rivoluzionario, perché la rivoluzione politica giunge prima del compimento della evoluzione sociale e coglie la classe rivoluzionaria come soggetto impreparato a governare, a essere classe dirigente del nuovo assetto sociale che deve instaurare.
Deriva da qui la grande difficoltà e la interruzione della transizione rivoluzionaria che avviene in Unione Sovietica, ovvero dalla contraddizione tra una soggettività rivoluzionaria che non ha ancora la cultura e la condizione per essere classe dirigente di un nuovo assetto sociale, e uno stato ‘nuovo’ diretto da un personale partitico e funzionariale costretto a inventare una rivoluzione senza la partecipazione attiva dei subalterni. Il rapporto difficile e drammatico fra partito e propria classe sociale di riferimento, è il giudizio di Burgio, dato dalle discontinuità temporali di cui sopra, ha determinato buona parte delle sconfitte e delle disillusioni del movimento operaio del novecento.
Tuttavia questa consapevolezza non spinge Alberto Burgio a concludere che le esperienze rivoluzionarie sono da negarsi per il solo problema che esse hanno scontato nel secolo scorso difficoltà insormontabili, ma semmai, conclude, che i continui problemi della società borghese attuale, il suo declino degenerativo continuo, mantiene vivo il sogno sociale di un riscatto degli ultimi, il sogno di una libertà umana più organica, insomma, il ‘sogno di una cosa’ che malgrado tutto non muore e non può morire.
Alessandria 01-03-20 Filippo Orlando
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