Alla luce di quanto sta accadendo nel mondo politico italiano degli ultimi trenta anni della nostra Repubblica, personalmente mi viene in mente, come contraltare, chi dette il titolo La Repubblica (Politéia) a un’opera essenziale per lo studio della politica e dell’uomo politico: Platone.
Nato nel demo di Collito, ad Atene, nel 427 a.C., da famiglia nobile, Platone, chiamato così per la sua ampia costituzione, essendo il suo vero nome Aristocle, fu allievo di Socrate, col quale condivise la passione per la disciplina filosofica fino alla morte del maestro (399 a.C.). Platone intraprese molti viaggi, soprattutto a Siracusa, dove nel 388 a.C. effettuò il primo di tre viaggi. Durante il suo primo soggiorno conobbe Dione e il tiranno della città Dionisio Il Vecchio, che non apprezzò i discorsi di Platone, obbligandolo ad andarsene da Siracusa: Platone fu fatto prigioniero a Egina, ma fu prontamente liberato dal filosofo Anniceride di Cirene. Tornato finalmente ad Atene, Platone creò l’Accademia (387 a.C.), prima grande e “autentica” scuola filosofica. Effettuò in seguito altri due viaggi in Sicilia, precisamente nel 366 a.C. e nel 361 a.C., per portare avanti la sua filosofia di Stato ideale. Ma Dionisio Il Giovane non riuscì ad apprendere appieno la filosofia platonica: il tiranno durante il secondo viaggio a Siracusa esiliò Dione, che era amico di Platone, il quale riuscì a tornare ad Atene. L’ultimo viaggio a Siracusa fu deludente e infruttuoso, poiché Platone non aveva avuto la possibilità di far riconciliare Dione con il tiranno siracusano e farlo così rientrare nella sua Siracusa. Platone riuscì a tornare ad Atene l’anno dopo, passando prima per Olimpia, dove incontrò per l’ultima volta Dione, il quale però si ribellò alle manovre del tiranno di Siracusa e, dopo aver ottenuto il potere a Siracusa nel 357 a.C., venne ucciso in una congiura (tre anni dopo). Platone visse ad Atene fino alla morte, avvenuta quando aveva ottanta anni (nel 347 a.C.), mentre correggeva La Repubblica.
Il corpus platonicum consta di trentaquattro dialoghi, l’Apologia di Socrate, monologo e importante testimonianza “storica” del processo di Socrate del 399 a.C., e tredici Lettere, di cui però si ritengono generalmente autentiche solo la VI, la VII e la VIII.
I suoi dialoghi sono generalmente divisi in tre gruppi: dialoghi della gioventù (Eutifrone, Critone, Lachete, Liside, Carmide, Ione, Protagora, Gorgia, Ippia Maggiore, Ippia Minore); dialoghi della maturità (Menone, Menesseno, Cratilo, La Repubblica, Fedone, Simposio, Eutidemo, Fedro); dialoghi della vecchiaia (Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico, Timeo, Filebo, Crizia, Leggi). Alcibiade I, Alcibiade II, Ipparco, Teage, Clitofonte, Minosse, Epinomide e Amanti sono opere discusse sulla loro autenticità. Ci sono altre opere attributite a Platone che già gli studiosi antichi ritenevano apocrife (Assioco, Sisifo, Demodoco, Erissia, Sulla Virtù, Sulla Giustizia).
Platone in particolare, a mio avviso, è stato profondissimo ed essenziale per il pensiero politico e per la realizzazione di un pensiero forte per lo “Stato ideale”: La Repubblica rappresenta in questo senso una delle opere massime sull’argomento.
Per Platone il fine dell’uomo è la felicità. Da questa premessa si arriva a constatare che la morale individuale si completa nell’etica sociale, ovvero che il cittadino deve esser educato a ricercare la virtù ed in special modo la giustizia, che comprende tutte le principali virtù dell’anima. Tali sono: sapienza (propria dell’anima razionale); fortezza (propria dell’anima irascibile); temperanza (propria dell’anima concupiscibile); giustizia (comune a tutte e tre le anime). Lo Stato rappresenta l’anima dell’uomo e perciò le classi sociali sono divise in tre gruppi: i filosofi, che corrispondono all’anima razionale, devono praticare la sapienza e, conoscendo la virtù, devono reggere lo Stato; i guerrieri, che corrispondono all’anima irascibile e devono praticare la fortezza; i lavoratori, che corrispondono all’anima concupiscibile e devono praticare la temperanza. Le prime due classi (Custodi) non dovrebbero avere famiglia e proprietà, poiché devono pensare al bene di tutti i cittadini (comunismo platonico). La classe dei lavoratori deve soddisfare i bisogni materiali della comunità, dove non c’è reale differenza tra uomini e donne (costume cretese e spartano). Platone però fa un’attenta valutazione su come qualcuno possa diventare filosofo: il filosofo deve elevarsi al di sopra degli oggetti sensibili per conoscere le idee e per governare rettamente. Ciò viene spiegato col mito della caverna, dove tanti uomini incatenati guardano le ombre di statuette prodotte dalla luce del fuoco, ritenendole delle cose vere. Ma ce n’è uno che, slegato e costretto a guardare la luce del Sole, ha male agli occhi, in seguito viene portato fuori dalla caverna e soffre sempre di più. Ma piano piano si abitua alla luce del Sole, potendo guardare prima le ombre degli oggetti, poi questi, fino a poter vedere il Sole. Il tale si sentirà felice rispetto alla condizione di prigioniero, tanto che preferirà soffrire piuttosto che vivere con i suoi compagni. Ma il suo scopo è ben altro: se questo tornasse nella spelonca ad avvertire i prigionieri, non si abituerebbe all’oscurità e rischierebbe di esser deriso e anche ucciso per condurre fuori di lì i compagni. L’uomo è il filosofo, che conosce il Bene e aiuta gli altri a perseguirlo; questo deve però affrontare delle difficoltà per raggiungerlo, e cosi devono fare tutti per essere veramente felici. Il filosofo prima di diventare tale deve fare una preparazione di trenta anni, durante i quali deve studiare musica, geometria, aritmetica, astronomia e dialettica (la scienza suprema). Si distinguono gradi diversi della conoscenza: l’immaginazione e la credenza vanno a costituire la doxa (opinione come conoscenza “apparente” e “sensibile”), mentre in quella intellettuale il pensiero discorsivo e l’intelletto costituiscono la epistéme (vera scienza conoscitiva). Dopo aver appreso la dialettica, allora l’uomo potrà governare.
Platone cercò di creare un governo ideale, forse un’Utopia vera e propria, che però portava avanti chiare idee di uno Stato non più soltanto in senso amministrativo, ma soprattutto in senso etico. Ma, forse, la vera importanza di Platone come filosofo politico è quella di aver realizzato come pochi l’importanza dell’attività politica dell’uomo, che non può permettersi di “rimanere indietro” e sottomesso a chi prende il potere per il proprio utile, senza badare alle reali necessità della comunità, che sono culturali ed etiche, oltre che economiche e sociali…
Marco Penzo
La ringrazio profondamente per i suoi gentili suggerimenti.
Conosco bene il Prof. Mario Vegetti, importante studioso sull’argomento, e seguirò i suoi consigli (mi pare di aver letto Le Quindici lezioni a suo tempo, all’epoca della Triennale, ma le riprenderò volentieri).
Per sua informazione, sono laureato in Storia, con una tesi sulle rivolte servili in età tardo-repubblicana.
Ma l’amore per la Filosofia mi ha “spinto” a cercare di delineare dei punti di possibile interesse per la filosofia politica platonica.
Certamente, la Filosofia, come lei sa meglio di me, è un “work in progress”.
Ma senza la passione, il vivere la materia, è difficile poter partire in un’avventura, che è poi quella del mito della caverna.
Grazie per l’attenzione (se vuole, mi trova anche su Fb).
E’ sempre consolante verificare nei giovani un interesse per la filosofia, ma da docente della materia consiglierei vivamente, prima di affrontare una riflessione concernente la filosofia politica platonica, la lettura almeno dei seguenti tre testi, scelti tra quelli più facilmente rintracciabili oggi sul mercato (ma l’estensore di questo articolo li troverà certamente anche in Biblioteca civica):
Vegetti, Mario, Quindici lezioni su Platone, Torino, Einaudi, 2003
Vegetti, Mario, Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Roma-Bari, Laterza, 1999
Vegetti, Mario, <>, Platone politico da Aristotele al Novecento, Roma, Carocci, 2009