“Si può sopravvivere con un solo libro”.
Queste parole dette poco prima di morire da Fred Uhlman, l’autore del libro, hanno due significati, altrettanto veri e profondi.
Il primo che Uhlman sopravvive già per questo “solo libro”, anche se non è il solo che lui scrisse, perché nelle sue poche pagine (meno di cento) è riuscito a raccontare una storia vera di rara intensità; il secondo significato è che, sempre a mio avviso, davvero un solo libro può aiutarti a sopravvivere, sia durante i dolorosi eventi che ognuno incontra nella vita, sia perché, un libro, è l’unica cosa che porterei via dalla mia casa in fiamme (anche se ora non so, in quel momento, quale sceglierei!).
Suggerirei anche a chi l’ha già letto di rileggerlo, ( io l’ho letto e riletto e sono certa lo rileggerò) perché ogni volta, quella che è in apparenza una semplice storia di un’amicizia, apre continuamente ad “altro”, prolungando ed approfondendo ciò che in noi era finora inesplorato.
E’ la storia di due ragazzi sedicenni che frequentano la stessa scuola esclusiva, l’uno figlio di un medico ebreo, l’altro di ricca e aristocratica famiglia. Siamo in Germania, nell’anno 1933, tra loro nasce un’amicizia perfetta e magica che saranno costretti a spezzare solo un anno dopo il loro incontro. Questo è l’inizio, non vi dirò altro.
In nessun altro libro che ho sino ad ora letto, tutto si chiude e si apre così sconvolgentemente, come nelle ultime due righe de “L’ amico ritrovato”.
A dispetto di Kafka, che così diceva dovesse essere un buon incipit, sono queste due righe finali che” come pugnale trafiggono il cuore”.
Buon avanzamento verso la luce.
Patrizia Gioia
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