Circa un mese fa, su questo nostra rivista, abbiamo pubblicato un intervento di Mauro Calise dal titolo ‘ I conti che si faranno con l’oste’. Calise, ispirato da una recente dichiarazione di Romano Prodi, sostiene che vi sono sempre dei conti da pagare alla fine di un intervento finanziario sostenuto dallo Stato, pur giustificato dalla grave emergenza sociale e sanitaria presente. I conti, ‘nella fatidica ora X’, citando sempre Prodi, si faranno con l’Europa e i Mercati. Si, potrei rispondere a Calise, è vero che i conti di qualsiasi esborso finanziario si debbono fare, ma il problema è determinare chi dovrebbe pagare e rispetto a chi dovrebbero essere rimessi i debiti. Sarebbe questo il punto che da almeno trent’anni viene sempre omesso dalle classi dirigenti e dagli opinionisti più in vista. Infatti, non esiste, come soggetto determinato a cui rispondere, una entità politica costituzionale legittimata democraticamente chiamata Europa, né esistono i così detti mercati, ammesso che non si possa credere, se siamo soggetti razionali, alle deità del tempo antico oggi incarnate da irraggiungibili ed eteree entità pseudo economiche. Che cosa è l’Europa se non una serie di trattati internazionali fra Nazioni, e una serie di burocrazie economiche operanti in un mercato aperto e gestori di una moneta unica priva di Stato? E che cosa sono i ‘Mercati’ se non i detentori del capitale privato e creatori del denaro dal nulla, siano essi le grandi banche oppure gli esorbitanti fondi di investimento? Dunque, in un caso o nell’altro ci troviamo di fronte ad attori dall’incerto contorno giuridico, sopratutto se pensiamo al confuso confine che li separa dall’ente pubblico per eccellenza che è lo Stato, e che tuttavia, concorrono con spesso gravi responsabilità, all’andamento periglioso dell’economia generale. In sostanza, si tratta di denunciare l’impossibile neutralità del terreno economico variamente inteso. Così come, denuncia Emiliano Brancaccio in un suo polemico intervento di inizio maggio, la Corte Costituzionale tedesca giustamente ha sentenziato che la Banca Centrale Europea non può avere un ruolo politico, che in realtà ha in effetti avuto, ma deve mantenersi strutturalmente ‘neutrale’ nel difendere il valore del risparmio, salvo non comprendere tuttavia, la Corte, come non esista nei fatti sociali e politici nessuna neutralità di qualsivoglia banca centrale. Analogamente, si può affermare contro le tesi di Calise e di tutti coloro che sostengono a ogni piè sospinto ‘che non vi sono pasti gratis’, che non vi è nessuna neutralità nel gestire la moneta e nel concedere crediti e mezzi di pagamento; l’atto del controllare il denaro è atto pienamente politico, esso consente a chi detenga tale potere di decidere chi può avere credito e come può ripagarlo, e chi invece, non ne può usufruire ed è costretto a pagare il prezzo sociale per far si che il grande ‘circo del denaro facile’ possa continuare e incrementarsi addirittura! Allora dove risiede l’errore di principio in coloro che predicano che un pasto va sempre pagato. Ovviamente nella falsa rappresentazione fenomenica per cui tutti coloro che si siedono al tavolo imbandito per mangiare siano uguali, siano essi lavoratori dipendenti e piccole partite IVA, oppure siano lo Stato o le grandi imprese e le grandi finanziarie.
Se ciò che dico è vero, allora tutta la problematica va ribaltata. Chi, come il grande capitale ha avuto denaro facile oppure gratis, non può oggi esimersi dal riversare quel denaro verso gli investimenti produttivi e assumendosi i rischi relativi di impresa. Se ciò non è in grado di farlo, intendo il grande capitale industriale e finanziario, perché i problemi degli sbocchi produttivi sono, nel mondo economico di oggi insormontabili, allora l’unico attore che può investire nella crescita economica e porre un nuova politica dell’offerta in nuovi settori merceologici o in nuovi servizi, è lo Stato, piaccia o non piaccia ai più. Ne consegue, per logica, che si deve allora affrontare una riforma dei mercati finanziari e delle banche molto simile alla legge che coniò Roosvelt nel 33’ negli USA, che consenta allo Stato che si indebita di poter avere la protezione nell’emettere titoli della Banca Centrale del suo paese. Diversamente, si otterrebbe lo sgradevole risultato di indebitare lo Stato con la finanza privata, che è essa stessa piena di debiti inesigibili e sull’orlo del collasso ma assolutamente restia a ridimensionarsi oppure a trovare una soluzione al suo stato comatoso, e lo Stato si vedrebbe costretto ad applicare ricette di austerità che farebbero crollare l’economia, ridurre alla fame i ceti sociali più deboli, e, infine, costruire le condizioni per il fallimento stesso di banche, imprese e delle nazioni. Mi si potrebbe obiettare, e ciò lo comprendo bene, che il sistema capitalistico degli ultimi tre decenni, è in grado di ampliare i bilanci, e dunque, i debiti, sia delle banche centrali che pubblici, perché si affida alle due controtendenze che hanno fino ad oggi evitato il crollo rovinoso del sistema; ovvero le esportazioni merceologiche e il volano di finanza e della spesa militare. Ma è proprio a questo punto che casca l’asino! Sono i fattori di controtendenza, sempre utilmente utilizzati in passato, che non possono più essere attivati facilmente oggi. ‘L’intendenza seguirà’, è un adagio tanto gradito a chi ha ancora oggi un grosso residuo di potere, tuttavia non possiamo che dubitare di tanta mal spesa saggezza.
E la sinistra che farà di fronte alla situazione? Se ci fosse ancora, nei nostri giorni così difficili, Lucio Magri credo che ammonirebbe un po’ tutti, temendo come sempre di non venir ascoltato, se non in ritardo. Insisterebbe sul fatto che serve, e urgentemente, un programma di fase delle sinistre, che sia radicale per aggredire la crisi, perché servono politiche veramente coraggiose che rompano le consuetudini che si sono incrostate per trent’anni nell’economia e nella politica, e che non sia, altrimenti, inutilmente estremista, per non impedire le necessarie alleanze utili al fine che ci si prefigge. Additerebbe, allora, due rischi: da un lato l’adagiarsi sicuro della sinistra antagonista e radicale nella sterile opposizione a tutto, ( movimento confederale, partiti, governi di centrosinistra variamente composti), cercando senza un progetto definito di conquistare qualche scampolo nelle piazze di opposizione; dall’altra il pericolo di una sinistra che si definisce ‘riformista’ solo per il fatto che coltiva una pigrizia mentale che le consente senza rimorso di agganciarsi a questo o a quel carro del vincitore pur di brandire residui spazi di potere. Se non si ha un progetto forte da contrapporre, anche nella logica sociale sottesa, al falso patto sociale proposto anche dal Presidente della Banca D’Italia, che spinge alla fine ad una semplice compressione del salario e della spesa statale in servizi pur di superare la crisi e a restaurare il sistema precedente, allora ci si ridurrà come forze progressiste, variamente intese, a limare i provvedimenti governativi preparati da altri. In una parola ci si limiterà a ‘fare la punta alle matite’ quando nel contempo le esigenze e la protesta sociale potrebbero esplodere e sommergere tutto, sindacato e partiti per primi.
Non è, me ne rendo conto, facile compiere uno scatto di reni in una fase di tale smarrimento sociale, in cui anche la base della sinistra è disorientata e poco appassionata. Ma la rilettura del ‘Sarto di Ulm’ mi ha spinto a recuperare qualche ragionamento di un ‘vecchio compagno’ del tempo andato, che forse male non potrà fare.
Alessandria 02-06-20 Filippo Orlando
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