Tutto è in movimento

Tutto è in movimento.
Era inevitabile perché già prima della epidemia l’Italia era in gravi difficoltà e senza un progetto di sviluppo.
E poi, dopo eventi così sconvolgenti niente rimane uguale a se stesso, nulla può essere affrontato con vecchie ricette.
La prima a muoversi è l’opposizione (come è logico che sia). Ha dovuto tacere per tutto il tempo dell’emergenza, assistendo silente alla crescita di popolarità del Premier.
Lo ha fatto per senso di responsabilità ma anche per non infastidire la sensibilità dei preoccupati cittadini, concentrati a vincere la dura sfida contro l’infezione.
D’altronde la disfida politica intorno al virus si è svolta attraverso una triangolazione. Non era solo lo schema: opposizione vs governo perché il centro-destra guida la maggioranza delle Regioni ed è stato quindi protagonista delle molte decisioni prese dai Governatori in autonomia o in polemica con Palazzo Chigi.
Tanto è vero che ormai ogni partito ha i suoi virologi di fiducia (c’è quello di Berlusconi, di Zaia, di Cirio) pronti a sostenere qualunque tesi dia diritto ad una intervista. Destinati ad una vita di anonimato, sono prima impazziti per la notorietà, poi hanno conosciuto la fascinazione della politica che sa “contagiare” l’ambizione di chiunque. Ora sognano di fare gli assessori alla sanità, domani i presidenti del Consiglio superiore di sanità.
Il primo paradosso della situazione è che lo schieramento di centro-destra esce molto cambiato da questo periodo, apparentemente immobile, di quarantena.
Segnatevi questi nomi: Carlo Bonomi, Luca Zaia, Giancarlo Giorgetti, Giorgia Meloni,  Ursula Van der Leyen. Tutte queste signore e signori -lontanissimi dall’essere anche solo vagamente di sinistra- sono un inedito problema per Salvini, la cui leadership peraltro nessuno mette in dubbio.
Il nuovo presidente di Confindustria è sceso brutalmente in campo contro il governo, dimostrando però, nello stesso tempo, come sia rinato il partito degli industriali.
Sembra una parodia dei “padroni delle ferriere” ma la realtà è che gli imprenditori, pur non volendo seguire l’esempio di Berlusconi e scendere nell’agone politico direttamente, si sono stancati di delegare ai partiti le loro battaglie.
Cercano interlocutori più preparati tecnicamente, meno demagogici, a loro più affini come Giorgetti e Zaia.
Salvini rimane imbattibile nella rissa politica, nello sfruculiamento dell’elettorato ma nei momenti decisivi si dimostra un improvvisatore senza strategia
Non a caso ne ha approfittato la Meloni, mantenendo un profilo più istituzionale e dimostrando che è possibile perseguire la sostanza, rispettando maggiormente la forma.
Capacità che, al momento, le fa guadagnare nei sondaggi cinque/sei punti nei confronti della Lega.
Anche Zaia è persona più pragmatica e moderata. È soprattutto un popolarissimo amministratore che ha saputo imboccare una strada diversa all’inizio della pandemia, sottoponendo i suoi cittadini a massicce campagne di tamponi che hanno permesso di circoscrivere la contaminazione.
Per cui oggi il Veneto esce come il caso italiano più virtuoso di capacità di preveggenza e di isolamento del virus. E condanna la fin li’ “esemplare” Lombardia a inesorabile fallimento (anche se si dovrebbe valutare la virulenza con cui è stata colpita la seconda).
L’ultima, la presidente della Commissione europea, segue meno le vicende italiane ma ha scombussolato la situazione, presentando un imponente piano economico-finanziario di risarcimento, molto generoso con l’Italia.
Piano che ha spiazzato i partiti sovranisti e anti europeisti.
Anche qui le stravaganze non mancano. Il mitico Mes, ultimo tabù identitario dei 5Stelle, offrirebbe all’Italia 36 miliardi per spese sanitarie. Le Regioni di destra e di sinistra sarebbero entusiaste ma la maggioranza dei partiti (con inediti schieramenti: Forza Italia, Pd, Renzi a favore; 5Stelle, Lega e Fratelli d’Italia contro) continuano a diffidare dell’ingerenza europea.
Ma il paradosso più evidente è che questa abbondanza di aiuti -ancora da confermare- ha scatenato la lamentela generalizzata delle categorie economiche, con in prima fila la Confindustria di cui sopra.
Sembra una assurdità ma si spiega con il fatto che tutti si aspettavano assai poco da Bruxelles ed ora, scoperto l’ammontare, si pongono il problema di come indirizzarlo a favore della propria consorteria.
Ci sarebbe di che cambiare il nostro Paese se solo i vari poteri ed interessi, certamente tutti leciti, sapessero mettersi d’accordo sulle priorità.
Siamo destinati ad aumentare il nostro già mostruoso debito pubblico; se ciò accadrà senza poter almeno aggredire i difetti e i ritardi del nostro modello produttivo e se -per non scontentare nessuno- finanzieremo a pioggia qualunque cosa, perderemo l’ultima e definitiva occasione di salvezza nostra e dell’Europa intera.
Ma c’è anche Silvio che si muove. Restare in ruolo subalterno, in una alleanza che lo tratta come un bizzarro nonno un po’ sfasato, gli deve costare molto ma, in fondo, il peso del suo partito, pur in calo, potrebbe essere determinante per la vittoria della destra. Allora perché si smarca sul Mes e si dichiara disponibile a discutere un piano economico di emergenza nazionale? Perché, come sopra, egli prima che politico è imprenditore, il mago dei profitti, l’uomo più liquido della intera categoria. Fiuta anche lui che c’è del nuovo nell’aria e che bisogna agire con spregiudicatezza.
Se questa vivacità si riscontra a destra, data per vincente (ma forse è proprio per questo) da tutti i sondaggi in vista delle prossime -non si sa quanto remote- elezioni, immaginate i fermenti e le mosse tattiche attive nell’altro schieramento, quello che dovrebbe perdere. Ne parliamo la prossima volta.
GianlucaVeronesi

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