Per chi, come me, ha perduto troppo presto il padre, questo libro è una coltellata al cuore. Una coltellata capace di aprire arterie nuove, non di rammemorare qualcosa, ma di portare in vita qualcosa che ha sempre bisogno dell’altro per nascere.
Carofiglio ha mano leggera e profonda, da buon indagatore della criminalità sa come stanare tutte quelle ombre che noi umani coltiviamo, incoscienti e ignoranti, perchè invece di tirarle fuori e illuminarle, le spingiamo negli angoli più bui dei nostri sottoscala, pensando di farla franca. “Non resistere al male” , di evangelica memoria infatti, non significa altro che incontrare la propria Ombra.
Il libro racconta dell’incontro non voluto, ma non a caso arrivato, tra un padre e un figlio.
“Troppo presto è troppo tardi”. Queste parole valgono per tutti noi: quando impareremo a parlarci? Quando impareremo a non fare illazioni, a non dare giudizi, a non disegnare con le nostre fantasticherie la vita degli altri e la nostra? Quando impareremo che il solo modo di conoscerci è farci domande? Chiederci chi siamo grazie all’altro che ci è di fronte.
“Senza l’altro l’uomo non è uomo” scrive Raimon Panikkar e questo libro pare la perfetta testimonianza di queste parole. Antonio, figlio diciottenne, e suo padre impareranno a conoscersi quando impareranno ad abbandonare la strada conosciuta per inoltrarsi nel buio della notte. E la città di Marsiglia – dove si svolge la storia – la sa lunga di puttane e marinai.
Ma è solo entrandoci dentro questo buio che, a differenza della citazione di Scott Fitzgerald che dà titolo al libro (“Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”), ne usciremo trasformati, così come trasformati ne escono Antonio e il padre, felici di trovarsi insieme, anzi felici di essersi trovati.
Carofiglio aiuta sempre – da buon ex pubblico inistero – a farci vedere indagati e indagatori da altri punti di vista. La verità non esiste di per sè, ma solo nella relazione e nel testo, pretesto e contesto del momento. In fondo la nostra vita dovrebbe essere sempre come una sessione jazz: imperfetta improvvisazione ! Ma con “intenzione “…e la serata che Antonio e il padre trascorrono ascoltando jazz ( e non vi svelo altro di quella strepitosamente commovente serata ) ci dice proprio questo.
Si fa del male sempre a chi si ama, se solo ce lo ricordassimo, riprenderemmo subito la retta via ? O si diventa umani proprio perchè la perdiamo?
In questo libro il pretesto del racconto è l’epilessia, una malattia di cui ancora ci si vergogna, ma della quale poco tutti conosciamo. Carofiglio ha la capacità di farci sentire che succede quando non siamo più padroni in casa nostra, quando siamo in balia di qualcosa che non ha nome, che non riconosciamo, che non sappiamo come dire, ma soprattutto ci fa capire che non è il vergognarsi di qualcosa la via per uscirne. Del resto quanti personaggi famosi erano epilettici: epilessia e talento hanno genitori comuni, come pazzia e poesia.
Comunque quel che ancora una volta Carofiglio ci rammenta è: Balikwas: saltare all’improvviso in un’altra situazione e sentirsi sorpresi, cambiare il proprio punto di vista, vedere cose che credevamo di conoscere in un modo diverso. E’ così che Antonio conoscerà il padre, il primo rapporto con una donna, il jazz e il suo talento.
Ed è così che ho potuto incontrare ancora più in profondità mio padre e me; non c’è mai nulla di morto, il dialogo continua sempre, si tratta sempre di Balikwas ! E di quando non sai cos’è…è Jazz !
(Balikwas è una parola tagalog, la principale lingua delle Filippine, un bel modo di esercitare la “mutua fecondazione “, Arte del dialogo dialogico).
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