Nel 1749, Goldoni compone”La famiglia dell’antiquario”,sesta delle sedici commedie promesse al suo impresario per il 1750.
La storia si svolge a Palermo e parla del conflitto fra suocera e nuora,rinforzato da motivazioni generazionali e sociali.
La nuora, Doralice, figlia di Pantalone, è chiamata la “mercantessa” dalla suocera Isabella, nobile,sì, ma scarsa di sostanze.
Il contrasto è aggravato dalla noncuranza del capo di casa, il conte Anselmo, che, preso dalla smania per il collezionismo antiquario, sta mandando in rovina la famiglia con acquisti dissennati e privi di valore.
L‘ intervento di Pantalone salverà la situazione finanziaria ma non migliorerà i rapporti fra suocera e nuora.
l’ambientazione in una “mitica Palermo”serve ad allontanare polemiche per riferimenti a famiglie e situazioni prettamente veneziane.
Tutto però ricorda Venezia, dalla lingua parlata da Pantalone e dalla servitù alle monete citate nei dialoghi fra i personaggi.
Cominciamo con la parola bezzi, plurale di bezzo, che a Venezia indicava la moneta da mezzo soldo, o sei denari.
Nella commedia il plurale indica il denaro in generale. Brighella, riferendosi alle spese dissennate del suo padrone Anselmo, dice:” Buttar via tanti bezzi in ste cosse”(atto I, scena I).
Gli fa eco Pantalone quando pensa alla brutta fine fatta dalla dote della figlia:”Ho buttà i bezzi in canal, e ho negà la putta”(attoII, scena X).
E’ un significato analogo a quello di soldo o quattrino:”Per me non si è speso un soldo”, afferma Doralice, le risponde il marito: “Io non ho avuto un quattrino”, entrambi riferendosi alla dote che si è volatilizzata senza che i diretti interessati abbiano visto un centesimo( atto VI, scena VI).
Quando l’antiquario Pancrazio valuta le anticaglie di Anselmo in 3000 soldi e non in 3000 scudi, allora si passa ad un valore specifico, 150 lire, contro le 36.000 preventivate(uno scudo= 12,08 lire).
Nel nostro percorso incontriamo quindi lo scudo, e con esso il ducato, tipi costantemente presenti nella monetazione veneziana. Sono monete d’argento ed equivalgono, nel 1749, il primo a 12,08 e il secondo a 08,00 lire. Come lo zecchino si rivalutano nel tempo.
Nella III scena del II atto, Colombina afferma di guadagnare mensilmente cinque scudi. Non è male, perché a ciò bisogna aggiungere vitto e alloggio, oltre agli extra: nel II atto (scena XIV), la contessa dona alla propria serva un ducato per acquistare un paio di scarpe. Ad un domestico bastavano otto lire per una discreta calzatura, un nobile ne spendeva molte di più.
Doralice, per conquistare Colombina, le promette uno zecchino al mese, dandogliene subito due in anticipo(atto III, scena III), quindi una somma pari a 44 lire(nel 1749).
Si giunge perciò allo zecchino: il simbolo di Venezia.
La famiglia del conte Anselmo ha un alto tenore di vita e quindi sono tanti gli zecchini spesi , spesso inutilmente.
La contessa Isabella riscatta un gioiello dal mercante ebreo pagandogli cento zecchini(atto I, scena III).
Sempre Isabella riceve 300 zecchini da Anselmo per le spese domestiche(atto I, scena X).
Pantalone dona a Doralice 50 zecchini per un abito nuovo(atto I, scena XIX).
Il conte Anselmo paga 14 zecchini per la paccottiglia acquistata dal finto mercante armeno(atto I, scena XVII) e così via.
Lo zecchino è la moneta d’oro di Venezia per antonomasia, praticamente puro(997/1000), pesa 3,545 grammi.
Nasce come ducato nel 1284 e con il doge Francesco Venier (1554-1559) diventa appunto zecchino, così chiamato perché battuto nella zecca di Venezia.
Fra ducato e zecchino non c’è quasi differenza di peso, mentre non ci sono distinzioni nella lega(24 carati) e nell’iconografia: al diritto, il doge, in ginocchio, riceve uno stendardo da san Marco, al rovescio, Cristo stante in fronte in “mandorla” ellittica.
Le caratteristiche rimarranno le stesse per 500 anni e lo zecchino sarà coniato fino al 1797, anno della caduta della repubblica di Venezia(trattato di Campoformio).
Lo zecchino veneziano è stato per secoli una delle monete più prestigiose del Mediterraneo. E’ stato il dollaro dei secoli XVI-XVIII. Non esisteva piazza commerciale dove non venisse quotato e non mancarono paesi che adottarono una moneta aurea con lo stesso nome e caratteristiche analoghe.
In Italia, oltre a Venezia, coniarono zecchini Lucca, il granducato di Toscana, la repubblica di Genova, il ducato di Milano sotto Maria Teresa, il Regno di Sardegna e l’ordine di Malta.
In Oriente, batté zecchini l’impero Ottomano. Qui erano la misura della ricchezza. Fra turchi e veneziani c’erano contrasti politici ma anche forti legami commerciali. Fu una diffusione simile a quella del tetradramma ateniese nell’impero persiano e del dollaro americano in Cina, Russia e mondo arabo.
Nel porto di Moka, nella penisola arabica, nel XVIII secolo, i carichi di caffè venivano pagati in zecchini o tuttalpiù in colonnati d’argento spagnoli.
Quando lo zecchino viene coniato per la prima volta, metà del XVI secolo, è quotato 7 lire e 12 soldi, nel 1749 il valore è di 22 lire.
Non esisteva solo il singolo zecchino, ma anche i suoi multipli da 2, 3, 10, 12, 100 e105.
Il pezzo da 10 zecchini pesava 34 grammi. I multipli superiori a 10 venivano utilizzati nelle grosse transazioni.
Lo zecchino fu veramente la moneta d’oro nell’immaginario collettivo, tanto da entrare anche nell’uso del lessico quotidiano. Oro zecchino, per indicare gioielli di oro quasi puro.
Nelle aree rurali del meridione d’Italia fra gli accessori dell’abbigliamento c’era il porta zecchini, una borsa utilizzata per contenere le monete delle elemosine. Queste non erano d’oro, di tale metallo però erano solo quelle di certi nobili per poveri e mendicanti, chiamate zecchini anche se erano scudi o ducati.
E zecchino è forse anche la radice del gioco d’azzardo noto con il nome di zecchinetta, anche se per questa ci sono altre versioni.
Lo zecchino moneta d’oro dell’immaginario collettivo, moneta d’oro del mondo metaforico di Collodi, nato suddito del granduca di Toscana e sicuramente venuto in contatto con gli zecchini fiorentini, detti anche ruspi e rusponi(questi ultimi multipli di tre zecchini).
Nell’opera di Collodi, ad un certo punto, il burattinaio Mangiafuoco dona cinque monete d’oro a Pinocchio. Questi però incontra la Volpe e il Gatto, che lo convincono a seguirli:
“Erano giunti più che a mezza strada quando la volpe, fermandosi di punto in bianco, disse al burattino:
– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?
– Cioè ?
– Vuoi tu di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?”
Pinocchio è allettato, per ingenuità, ingordigia o per rivalsa, ma deve seguirli in un paese lontano perché i cinque zecchini diventino duemila:nel paese di… Barbagianni.
Qualsiasi resistenza della ragione viene travolta da lusinghe e avidità.
Originale il modo di moltiplicare il capitale proposto dalla Volpe: nel paese dei Barbagianni c’è un campo, detto dei miracoli, è sufficiente fare una buca, sotterrare uno zecchino, innaffiarlo e il giorno dopo ci sarà una pianta carica di zecchini.
Il proprietario potrà raccogliere fino a 500 zecchini, immaginiamo la meraviglia di Pinocchio…
niente di nuovo comunque sotto il sole. Certi promotori finanziari fanno discorsi allettanti a clienti facoltosi, ma un po’ ingenui, che mirano ad investimenti facili e lucrosi.
Non sono rare le notizie riguardanti personaggi noti danneggiati da quelli che Pinocchio definisce “brave persone”.
Anche il nostro burattino perderà il proprio denaro ma la sua storia avrà un lieto fine.
Ancora un riferimento numismatico prima di concludere: “La famiglia dell’antiquario” inizia con questa frase di Anselmo:”Gran bella medaglia! Questo è un Pescennio originale.”
Il termine pescennio deriva dal nome dell’imperatore Gaio Pescennio Nigro, che contese la guida dell’impero romano a Settimo Severo, dal quale fu sconfitto ripetutamente.
Il suo regno durò meno di un anno, morì nel 194, e le monete da lui battute sono rare . Praticamente introvabili quelli che vengono definiti medaglioni. Questi sono multipli del denaro d’oro, d’argento e del sesterzo di bronzo. Non sono medaglie ma vere e proprie monete. Anche perché le medaglie sono un prodotto del Rinascimento e non dell’epoca antica.
Anselmo ha pagato solo quattro zecchini una moneta talmente rara da essere introvabile:” I Pescenni sono rarissimi; e questa pare coniata ora.”(atto I,scena I).
Sicuramente è stata coniata da poco: è un falso. Nei secoli XVII, XVIII e XIX ci furono dei falsi d’autore, talmente perfetti che oggi brillano, senza vergogna, in alcune grandi collezioni.
Egidio Lapenta
Commenta per primo