L’essenza del sistema parlamentare

Lo confesso: io
non ho speranza.
I ciechi parlano di una via d’uscita. Io
Ci vedo.
Bertolt Brecht, Poesie e frammenti, Ai posteri, in Poesie, Einaudi, Torino, p. 759.

L’essenza del sistema parlamentare[1]

Hans Kelsen, uno dei maggiori giuristi del XX secolo scrive: “Vero è che parlamentarismo e democrazia non sono la stessa cosa; è pensabile una democrazia anche senza parlamento: la così detta democrazia diretta. Ma per lo stato moderno questa democrazia diretta, la formazione cioè della volontà statale nell’assemblea del popolo, è praticamente impossibile. Non si può mettere seriamente in dubbio che il parlamentarismo non sia l’unica possibile forma reale, in cui nella realtà sociale odierna possa attuarsi l’idea della democrazia; perciò la condanna del parlamentarismo è al tempo stesso la condanna della democrazia”[2].

Forse, avendo preso coscienza che le sue truppe hanno ancora la maggioranza nell’attuale Parlamento, ma sono ormai ridotte a una minoranza nel paese, il comico Beppe Grillo si è scagliato, con la sua usuale veemenza, contro l’istituzione parlamentare: “(…) non credo assolutamente più in una forma di rappresentanza parlamentare ma nella democrazia diretta”.[3] Svanita la meta di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, quella successiva, attorno alla quale ‘riunire la massa’, sembra essere “l’abolizione della rappresentanza parlamentare in favore della democrazia diretta”.[4] Viene da chiedersi… diretta da chi? Quanto agli eletti, avendo forse a mente la competenza di gran parte dei membri dell’attuale Parlamento, meglio se verranno estratti a sorte, possibilmente dopo avere introdotto l’obbligo per tutti i cittadini di iscriversi alla piattaforma dallo stesso etero-diretta.[5]

Impagabile gag. Peccato che l’intento del comico di suscitare l’ilarità, fosse rivolto non agli spettatori di una sua esibizione, bensì alla platea degli intervenuti al convegno organizzato dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli.

Nel breve volgere delle ultime otto legislature, la politica italiana sembra dunque essere passata dal concetto di «partito-azienda», secondo la formula inventata nei primi anni ’90 dall’imprenditore Berlusconi in occasione della sua “discesa in campo”, a quello dell’«azienda-partito», dove si paga per iscriversi alla piattaforma sulla quale esercitare la pantomima della “democrazia diretta-via rete”. Dopo l’esito del Referendum che ha confermato la legge-taglio-dei-parlamentari la prossima meta da raggiungere è pertanto quella della eliminazione-tout-court del Parlamento.

Non voglio ulteriormente insistere su una materia che mi vede coinvolto unicamente nella mia qualità di elettore, preferirei soffermarmi sull’editoriale di Francesco Giavazzi Costruire il futuro, uscito sul Corriere della Sera di domenica 27 settembre, nel quale l’economista sottolinea il fatto “che il nuovo programma – correttamente definito Next generation UE – non dovrà essere costruito avendo in mente gli europei di oggi, ma quelli di domani”. Il programma economico che il Governo sta approntando allo scopo di definire le priorità da sottoporre all’attenzione delle istituzioni europee per poter accedere ai fondi messi a disposizione per il rilancio dell’economia italiana, dovrebbe essere rivolto alle ‘generazioni future’. Facendo uso di una metafora che contrappone i “Paesi poveri”, dotati di abbondanza di lavoro a basso costo e scarsità di capitale fisico (beni nei quali è incorporato il progresso tecnico), ai “Paesi intermedi”, dotati, invece, di “un buon capitale umano, spesso grazie alla loro storia, alla loro cultura e ad una buona istruzione, ma scarso capitale fisico, magari perché hanno cattive istituzioni che allontanano gli investitori”, egli assimila le regioni del nostro Mezzogiorno a questi ultimi. Contrariamente alle intenzioni del Ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano, il quale sarebbe orientato ad introdurre “la decontribuzione del lavoro al Sud” – una misura che indurrebbe “le aziende ad investire in produzioni il cui vantaggio comparato non è la tecnologia, ma il basso costo del lavoro”-, Giavazzi suggerisce l’opportunità di destinare alle imprese del Sud “investimenti nell’istruzione e una fiscalità che favorisca aziende ad alta tecnologia”.

Fuor di metafora, in un contesto di globalizzazione in cui le economie sono soggette al vincolo derivante dalla necessità di mantenere in equilibrio i conti con l’estero, i recenti studi sulle teorie della crescita economica sottolineano l’inefficacia di misure come la svalutazione, che tendono a recuperare la competitività basata sul prezzo, in favore della competitività basata sulla qualità dei prodotti. Gli effetti economici della pandemia, sottolinea ulteriormente Francesco Giavazzi, renderanno inoltre necessaria “un’ampia riallocazione dell’attività economica e quindi del lavoro”, la qual cosa ridurrà l’efficacia di misure come “l’estensione a tutti, indiscriminatamente, della cassa integrazione (…) che illude i lavoratori che finita la pandemia il loro posto di lavoro sarà lì ad aspettarli”, anziché “facilitare la transizione verso un nuovo posto di lavoro”.

A conclusione della sua analisi, egli rammenta, infine, che “In tempi di crisi profonde, che cambiano i modelli produttivi, occorre essere lungimiranti”, ragion per cui a “interventi di sostegno immediato si devono accompagnare riforme che dispieghino i loro effetti sul lungo periodo”.

Conclusione ampiamente condivisibile, tanto più se, con uno sguardo rivolto al passato, si considera che, avendo fatto registrare tra il 2010 e il 2019 un tasso di crescita medio annuo dello 0,1%, l’economia italiana, ad eccezione della Grecia, si colloca all’ultimo posto nella graduatoria in base ai tassi annui di crescita dei paesi della UE.

Nutro pertanto pochi dubbi sul fatto che l’Italia non possa essere considerata “un paese in declino”, ovvero, quella categoria di paesi – scrive Carlo M. Cipolla nel suo impareggiabile pamphlet su Le leggi fondamentali della stupidità umana[6] – nei quali “si nota, specialmente tra gli individui al potere un’allarmante proliferazione di banditi con un’alta percentuale di stupidità (…) e, fra quelli non al potere, una ugualmente allarmante crescita nel numero degli sprovveduti (…). Tale cambiamento nella composizione della popolazione dei non stupidi, rafforza inevitabilmente il potere distruttivo della frazione degli stupidi e porta il Paese alla rovina” (p. 77).

Alessandria, 28 settembre 2020

Bruno Soro

  1. Aprendo a caso il libro di Elias Canetti “Massa e potere” ho trovato, al centro della pagina casualmente aperta, questo singolare titolo. E. Canetti, Massa e potere, III edizione “Tascabili Bompiani”, Milano, 1990, p. 224.
  2. Hans Kelsen, “Il problema del parlamentarismo”, in Due saggi sulla democrazia in difficoltà (1920-1925), Nino Aragno Editore, Torino 2018, pp. 79-80.
  3. E. Buzzi, “La crisi dei 5 Stelle”. Corriere della Sera, giovedì 24 settembre, p. 5.
  4. Nel capitolo dedicato a “Le qualità della massa”, Elias Canetti scrive: “Non esistono istituzioni che possano prevenire una volta per tutte l’accrescimento della massa e siano incondizionatamente sicure. (…) La massa esiste fin quando ha una meta non ancora raggiunta”. (pp. 34-35).
  5. Per il vocabolario Treccani il termine eterodirètto, introdotto dal sociologo statunitense D. Riesman (1909-2002), sta ad indicare un “individuo o gruppo che soggiace agli stimoli e ai condizionamenti imposti soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa”.
  6. C.M. Cipolla, Le leggi fondamentali della stupidità umana, in Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 41-83.

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