Non voglio aggiungermi ai troppi che polemizzano con il governo.
Dopo aver santificato (non sanificato) il premier per mesi, riconoscendogli determinazione, abilità diplomatica, autorevolezza (e facendo crescere in lui la già spiccata autostima), improvvisamente lo si trova indeciso, sfuggente, autoritario.
Non voglio parlare dell’ultimo Dpcm che, se ho capito bene, cerca di guadagnare una tregua nel contagio che permetta poi di sfruttare al massimo il periodo natalizio che rappresenta, per molte categorie, un quarto degli incassi di tutto l’anno (quest’anno forse la metà).
Come sempre in questi casi si fa una cosa per nasconderne un’altra.
Il disastro è stato nell’organizzazione dei trasporti pubblici, dopo la pazzia di autorizzare (tutti d’accordo: governo, governatori, industriali, categorie etc) il riempimento dei veicoli all’80%. Che significa il 100%, visto che è impossibile, poi, identificare e proteggere il rimanente 20.
Salvandosi poi l’anima con lo stanziamento di un po’ di milioni per incrementare il numero dei mezzi a disposizione.
Con la sveltezza e dinamismo che contraddistingue la burocrazia centrale e locale, staranno ancora scrivendo (da casa, in smartworking) i bandi di concorso.
Quello che mi interessa sottolineare è la filosofia, la ratio strategica della decisione. Privilegiare i settori indispensabili e sacrificare quelli “non necessari”.
Sembra logico e razionale ma vorrei dissentire.
I teatri, i cinema, lo sport, le palestre, i ristoranti non sono il superfluo della vita, sono le basi della socialità del Paese. Ovvero condivisione e solidarietà, le doti che rendono gli uomini una comunità e non un insieme di tribù in lotta e di interessi contrapposti (come sta puntualmente accadendo).
Adesso, non perdete tempo a spiegarmela! È evidente che nel momento in cui il contagio è sfuggito di mano, possono sopravvivere solo le attività “salvifiche”: quelle che ti fanno guarire e quelle che ti procurano lo stipendio e fanno girare l’economia nazionale.
E poi -aggiungerete- trenta giorni passano in fretta (ma sono trenta giorni che durano da quasi un anno).
Ma la mia preoccupazione è di immagine, di comunicazione: il declassamento, lo svilimento di queste attività, in un momento così emotivamente importante, rimarrà nell’inconscio collettivo. Perché, nell’epoca contemporanea, “non necessario” equivale ad inutile.
Il Governo, giustamente, considera salvifica anche la scuola (possibilmente in presenza); ma la scuola non è un mondo isolato, è un processo che continua fuori dalle aule, appunto nei teatri, nei cinema, negli eventi culturali, nei festival, nei concerti, nei viaggi. La scuola, per essere efficace, deve andare di pari passo con la crescita culturale della società.
E, poi, se metti insieme tutte le attività sospese, scopri che incidono per una quota del PIL superiore al contributo delle grandi e medie aziende.
Non faccio il sindacalista di quale che sia categoria, come improvvisamente fanno tutti i partiti, curiosamente anche quelli che hanno deciso le chiusure.
A me interessa non fare passare un principio: che “l’intrattenimento” intelligente è un lusso futile. Una sovrastruttura un po’ snob, cicisbea, frivola, adatta al tempo libero, da frequentare quando proprio non si sa che altro fare e ci si annoia.
Dispiace, per ovvi motivi, che tra gli oltranzisti della serrata ci sia il Ministro della Cultura che poi, in modo contraddittorio, non ha chiuso i musei. Forse pensa che i musei, in assenza dei turisti stranieri, saranno deserti e privi di pericoli.
Ma qualcuno del governo è stato recentemente in un cinema, in un teatro o in una palestra? Altroché folla scomposta: chi ci andava rischiava di essere l’unico presente in sala.
Finisco: arriverà il vaccino ma non tornerà più l’innocenza. Ormai sappiamo di essere tutti -qualunque sia l’età- vulnerabili. E che malattie strane si ripresenteranno, non più qua e là come è sempre successo, ma anche a dimensione globale.
Per affrontarle dovremo essere moralmente e intellettualmente forti, preparati, informati. Solo un crescente livello di cultura generale, di intelligenza collettiva ci salverà, alla faccia di chi crede che tutto ciò – nell’epoca del gigantismo tecnologico- è ormai superfluo, accessorio, inconcludente.
GianlucaVeronesi
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