Lui. Lui il mercato, è dovunque. Niente gli sfugge. È avido e insaziabile, non si accontenta mai. È Lui, che determina tutto con la sua quotidiana presenza. Gli scontri politici sono diventati un lusso, un gioco da salotto, non c’è individuo né formazione politica che possa opporsi alla logica di questo grande invisibile burattinaio, che tira le fila del nostro mondo.
Giorgio Gaber, Il Mercato (canzone-prosa), Dall’album Un’Idiozia Conquistata a Fatica
Il termine «mercato» assume in Economia significati diversi a seconda del contesto nel quale è utilizzato. Nella sua accezione più generale indica il luogo, reale o figurato, in cui avviene lo scambio tra due merci (il baratto), oppure tra una merce (o un servizio) in cambio di denaro. Nella Teoria microeconomica, per «mercato» si intende quel “luogo dove si fronteggiano la domanda e l’offerta complessiva per ogni diverso prezzo: il confronto fra domanda e offerta indica la presenza o meno dell’equilibrio di mercato”.[1] In questo contesto, tuttavia, la determinazione del prezzo “di equilibrio del mercato” necessita la specificazione della numerosità dei soggetti (le imprese) presenti sul mercato stesso. Ciò consente di fare distinzione tra un mercato «monopolistico» (nel quale è presente una sola impresa), «duopolistico» (due imprese), «oligopolistico» (più imprese) o di tipo «concorrenziale», nel quale agisce un numero molto grande di imprese. Fin qui la terminologia non lascia spazio ad alcuna ambiguità lessicale.
Le cose si complicano nel momento in cui il «paradigma dello scambio», che trova concreta applicazione nell’analisi dei cosiddetti «mercati finanziari»[2], viene utilizzato per la determinazione del «prezzo dei fattori produttivi» e/o nell’analisi della distribuzione del risultato economico dell’attività produttiva tra i fattori stessi, con particolare riguardo al «mercato del lavoro». In questo contesto, infatti, la determinazione del «prezzo dei fattori produttivi», che nella sua versione più semplificata fa riferimento ai soli due fattori «capitale» e «lavoro», attiene allo scambio di due “merci” molto particolari. Il fattore «capitale», nella sua accezione di insieme di beni tra di loro eterogenei, ha dato origine ad una lunga e complessa controversia, nota come la “Controversia tra le due Cambridge sul capitale nelle teorie della distribuzione del reddito”.[3] Il fattore «lavoro», nella misura in cui viene considerato una «merce» e non come “servizi” del lavoro, si presta a disquisizioni di natura etica e/o a interpretazioni nelle quali non è del tutto estranea l’ideologia.
Già sin dai primi anni Ottanta del secolo scorso alcuni cultori dell’economia dello sviluppo[4] avevano sottolineato come le tre grandi istituzioni americane, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e il Tesoro statunitense, si fossero accomunate nel dar vita al Washington Consensus, la dottrina neoliberista che, con l’elezione di Margareth Thatcher a Premier della Gran Bretagna nel maggio del 1979 e, due anni dopo con quella di Ronald Reagan a Presidente degli Stati Uniti, si è rapidamente diffusa nel mondo intero ed è tuttora dominante sia negli USA che nell’Unione Europea.[5] Con l’affermazione di questa dottrina, scrive il professor Lorenzo Caselli nella sua Lettura sull’importanza dell’etica in economia, “L’economia ha finito per occupare tutti gli spazi della vita dell’uomo. Dall’economia di mercato si è passati alla società di mercato”. [6]
“L’economia – sottolinea ancora il professor Caselli – è oggi tanto invadente quanto impotente di fronte alla gravità dei problemi che sono sul tappeto”. (…) “Il neoliberismo – egli aggiunge – non è soltanto un modo di intendere e di gestire l’economia, ma è anche e soprattutto una ideologia, una cultura, una modalità di vita, un pensiero che si vuole unico e che nell’ambito della scienza economica pretende di mettere a tacere i punti di vista diversi da quelli dominanti”. Dopo avere elencato alcuni motivi per i quali occorre ripensare l’economia[7], egli giunge alla seguente conclusione: “La definizione tradizionale di economia come scienza che insegna a trovare il mezzo migliore per perseguire un fine determinato che l’economista non mette in discussione si rivela oggi del tutto inadeguata. I problemi economici non dipendono tanto dalla mancanza di risorse, quanto dal fatto che le istituzioni economiche, politiche e culturali non sono più in grado di interpretare le esigenze dell’attuale fase di sviluppo. La questione vera sta nella scelta tra fini diversi. Per questo è essenziale il riferimento ai valori, all’etica”.
Per una curiosa coincidenza, dalla recente riedizione di un libro di Karl Polanyi (1886-1964) [8] – alcune pagine del quale sono riprodotte anche nella raccolta di alcuni suoi scritti curata da Mirella Giannini –,[9] si evince come il tema della trasformazione economicistica dell’economia di mercato a una società di mercato, fosse già al centro dell’attenzione di questo grande storico, antropologo ed economista viennese il quale, dopo aver trascorso la sua giovinezza in Ungheria, emigrato a Londra negli anni della Seconda Guerra Mondiale, è approdato infine negli Stati Uniti dove ha insegnato Storia economica nella Columbia University di New York. Nel capitolo che apre la recente raccolta di scritti di Polanyi la curatrice Mirella Giannini rammenta come egli concordasse, scrivendo con John Maynard Keynes, “sul superamento dell’autoregolazione del mercato e della separazione tra istituzioni economiche e politiche” (p. 18). Temi sui quali lo stesso Polanyi tornerà in maniera approfondita nella sua opera maggiore. [10]
“Il punto cruciale – scrive Polanyi in La Grande Trasformazione – è questo: lavoro, terra e moneta sono elementi essenziali dell’industria; anch’essi debbono essere organizzati poiché formano una parte assolutamente vitale del sistema economico; tuttavia essi non sono ovviamente delle merci, e il postulato per cui tutto ciò che è comprato e venduto deve essere stato prodotto per la vendita è per questi manifestamente falso. In altre parole secondo la definizione empirica di merce essi non sono delle merci. […] Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione quindi del lavoro, della terra e della moneta come merce è interamente fittizia”.[11]
Concluderei questa mia nota dedicata al «mercato» tra etica e ideologia, con una citazione tratta dal capitolo “L’economicismo come illusione” della citata raccolta di scritti di Polanyi,[12] citazione che sintetizza molto bene il pensiero di questo autore e sulla cui attualità lascio giudicare al lettore: “La fondamentale dipendenza dell’uomo dalla natura e dai suoi simili per assicurarsi i mezzi necessari alla sua sopravvivenza, fu posta sotto il controllo di quella nuova creazione istituzionale estremamente potente, il mercato, che si sviluppò repentinamente da modeste origini. Questo congegno istituzionale che divenne la forza dominante dell’economia – ora giustamente descritta come economia di mercato – dette poi origine ad un altro sviluppo, anche più radicale, e cioè ad un’intera società incorporata nel meccanismo della sua stessa economia: una società di mercato (pp. 71-71)”.
di Bruno Soro
Alessandria, 22 novembre 2020
- I. Lavanda, G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere collettivo, Carocci editore, Roma 2004, p. 343. ↑
- In ambito finanziario, il termine «mercato» viene comunemente declinato al plurale, i cosiddetti «mercati finanziari», nell’ambito dei quali avviene la contrattazione e lo scambio dei titoli di credito. A seconda che sia possibile o meno l’ingresso o l’uscita di nuovi operatori, inoltre, si fa distinzione tra mercati «aperti» o «chiusi», oppure, a seconda dell’oggetto delle contrattazioni, tra «mercato monetario» e «mercato dei cambi» (o delle valute). è sufficiente poi lanciare uno sguardo al sito della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) per rendersi conto che oggi, “I mercati finanziari non sono più luoghi fisici, ma piattaforme informatiche (“sedi di negoziazione”) dove si “incrociano” le proposte di acquisto e di vendita di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, derivati, quote di fondi ecc.) immesse nel sistema telematicamente. ↑
- La “Controversia tra le due Cambridge”, che ha tratto origine dalla contestuale pubblicazione del libro di P. Sraffa, Produzione di merci a seguito di merci. Premessa a una critica della teoria economica, Einaudi, Torino 1960, e di quello di P. Garegnani (1930-2011), Il capitale nelle teorie della distribuzione, Giuffré, Milano, 1960, che ha visto coinvolte diverse scuole di pensiero al di là e al di qua dell’Atlantico, protrattasi per oltre un ventennio, è stata di fatto interrotta con l’affermazione del Premio Nobel Robert M. Solow che, per usare una sua espressione vi rimase “intrappolato”, e che gli “appare oggi una perdita di tempo, un’estenuante partita ideologica condotta con il linguaggio dell’analisi economica”. Cfr. R.M. Solow, La teoria della crescita, Edizioni Comunità, Milano 1990, p. XV. ↑
- Tra i cultori dell’Economia dello sviluppo, colgo l’occasione per ricordare il compianto professor Luciano Boggio (1941-2012), co-autore di uno dei più accreditati manuali italiani di Economia dello sviluppo, all’interno del quale viene dedicato al Washington Consensus l’intero capitolo 9. Cfr. L. Boggio, G. Seravalli, Lo sviluppo economico. Fatti, teorie, politiche, il Mulino, Bologna 2003, pp. 321-344. ↑
- D’altra parte, è noto come, fin dai primi anni del nuovo secolo, il Premio Nobel Joseph Stigliz, forte della sua esperienza maturata alla Casa Bianca e presso la Banca Mondiale, avesse lanciato, inascoltato, prima In un Mondo Imperfetto. Mercato e democrazia nell’era della globalizzazione (Donzelli Editore, Roma 2001) e l’anno successivo nel best seller La globalizzazione e i suoi oppositori (Einaudi, Torino, 2002), un grido d’allarme sulla necessità di sottoporre la globalizzazione ad un “controllo”. ↑
- Citazione tratta dalla Lettura magistrale su L’economia non può fare a meno dell’etica tenuta dal professor Lorenzo Caselli, Professore emerito all’Università di Genova e già Preside della Facoltà di Economia dal 1990 al 2002, nonché docente di “Etica economica e responsabilità sociale delle imprese”, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2019 dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere. Sono grato al professor Caselli per avermi fatto pervenire il testo della sua Lettura. ↑
- Tra i motivi per i quali occorrerebbe ripensare l’economia il professor Caselli elenca “alcune verità elementari” che riportiamo in sintesi: a) Il mercato non soddisfa il bisogno, bensì la domanda pagante; b) La dimensione finanziaria non coincide con la dimensione reale dell’economia; c) L’impresa non “appartiene” soltanto agli azionisti o ai proprietari, bensì a tutti gli stakeholder (lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, comunità); d) L’utilità collettiva, il bene comune non sono la somma dei tornaconti individuali e dei beni privati; e) La sfera dell’economia di mercato non è la biosfera; f) Tra reddito e felicità il legame non è automatico. ↑
- K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo. Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Mimesis Edizioni, Milano, 2020, la riedizione di questo volume è stata recensita da S. Paliaga, “Basta col mercato, torniamo alla società”, su Avvenire, 5 novembre 2020, p. 23. ↑
- Mirella Giannini, già Professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, ha curato la raccolta di scritti di K. Polanyi, O la socialità come antidoto all’economicismo, Jaca Book, Milano 2020, arricchita da un ritratto dell’autore e da una dissertazione sulla sua critica del mercato e dell’economicismo, unitamente ad una dissertazione intesa a mettere in evidenza la critica del mercato e dell’economicismo di Polanyi inteso quale precursore dell’economia della decrescita. ↑
- K. Polanyi, La Grande Trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, a cura di Alfredo Salsano, Einaudi, Torino 1974. ↑
- Il brano è tratto dal capitolo “Ascesa e caduta dell’economia di mercato” riportato nella raccolta di scritti di Polanyi citata nelle precedente nota 9, alle pagine 48-49. ↑
- Per la serie delle curiose coincidenze, le pagine dell’ultimo capitolo della raccolta di scritti di Polanyi curata da Mirella Giannini sono tratte da un’altra raccolta di saggi elaborati negli anni Cinquanta, all’epoca in cui l’autore insegnava Storia economica generale alla Columbia University: K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo. Il ruolo dell’economia nelle società antiche, edito, a cura di H.W. Pearson, per i tipi di Einaudi nel 1983 e recentissimamente riedito da Mimesis Edizioni, Milano 2020. ↑
Commenta per primo