Il tallone d’Achille democratico

Se c’è una battaglia campale che stiamo malamente perdendo – in questa guerra contro il virus – è quella della comunicazione. E forse, retrospettivamente, apparirà come la sconfitta peggiore. Da quella sanitaria, col tempo, in qualche modo ci riprenderemo. Quella economica ci segnerà a lungo, ma in passato abbiamo reagito a disastri ben maggiori. Non è chiaro, invece, se e come recupereremo di fronte alla vera Caporetto delle nostre democrazie, la catastrofe comunicativa. Dato che il nesso tra democrazia e comunicazione – oggi più che mai – è fondativo, questo è l’interrogativo più inquietante. Di cui, ovviamente, non si discute.

Il primo raffronto bruciante è con i regimi autoritari. Il controllo cinese del virus sta conquistando consensi nei ceti più disagiati, non solo occidentali. Che me ne faccio della libertà se non mi salva dalla malattia e dalla fame? – mi chiedeva l’altro giorno a lezione uno studente che riprendeva la vox populi di molti coetanei. Di come stiano veramente le cose, nella lotta contro il virus, in Cina abbiamo informazioni alquanto vaghe. Ma un punto è certo. Il controllo centralizzato della comunicazione ha svolto un ruolo determinante. Non solo nel tenere a bada le opinioni dissenzienti, e conferendo autorevolezza – a torto o a ragione – alla voce unica del partito-padrone. Ma anche – e forse soprattutto – facendo funzionare al meglio la macchina di trasmissione informatica di comportamenti, preferenze, orientamenti descritta da Francesco Grillo nel suo libro Lezioni cinesi.  Un surrogato – forse più efficiente – del nostro ormai sgangherato sistema rappresentativo. Mentre da noi il parlamento languiva, i partiti di ogni colore litigavano e il governo proclamava ukaze, in Cina comunicavano attraverso protocolli rigidi e inflessibili, ma molto ben documentati e profilati.

L’esatto contrario di quanto abbiamo fatto finora noi. È imbarazzante stilare la classifica di chi abbia sbagliato più forte, tra media, politici e scienziati. Forse, la responsabilità principale sta proprio nel mix micidiale che si è creato tra questi tre attori e – a parole – principali difensori della nostra libertà di opinione. Dell’intollerabile teatrino delle furibonde liti tra virologi, epidemiologi e matematologhi si lamentano ormai in parecchi. Però, perché le reti televisive persistono ad ospitarli, con una azione di disorientamento di massa incontrollabile e inqualificabile? È accettabile che si continui a barattare qualche decibel d’audience in più con un codice deontologico che invece imporrebbe – nella situazione di guerra attuale – di dare soprattutto la parola a un nucleo ultraselezionato di esperti? Certo, il compito sarebbe stato più facile se i Ministri avessero fornito un minimo di linee guida. Sia decidendo che i propri consulenti, insigniti di un così alto incarico, cessassero di esibirsi in pubblico a titolo – si fa per dire – personale. Sia mettendo un minimo di ordine nel guazzabuglio di cifre e statistiche con cui – dopo otto mesi! – si continua a disinformare il paese.

Col che si tocca il nodo più critico della nostra debacle comunicativa, quello della infrastruttura digitale. Il fallimento di Immuni e di tutti i tentativi di tracciamento è lo specchio impietoso di un colossale ritardo culturale, ancor più che tecnologico. Come è possibile che non si sapesse che l’input istantaneo dell’app si sarebbe impantanato nel muro di gomma della PA incaricata di validare e rimbalzare i dati? E in una popolazione che vanta un indice elevatissimo di alfabetizzazione digitale, perché non si è provveduto per tempo a mettere a disposizione – in rete! – le informazioni essenziali – e vitali – su come fronteggiare le prime fasi della malattia, quando l’unica cosa che, a nostre spese, abbiamo imparato è che restiamo soli con noi stessi? Niet. Internet, il più potente strumento di comunicazione che l’umanità abbia mai avuto, tace, molto peggio del 118.

Ci sarebbero volute un paio di settimane per montare un corso rapido di autoassistenza domiciliare per i malati di covid. Un corso dal volto umano, dei migliori esperti nazionali validati dai ministri competenti. Come le decine di migliaia di corsi – di eccellente qualità e gratuiti – con cui oggi centinaia di milioni di studenti di ogni età si formano e studiano nel mondo. Imparare a salvarsi la vita: vi assicuro che anche senza gli strilli pubblicitari in Tv, avrebbe avuto un enorme successo. Fonti semplici, qualificate, e capaci di interloquire con chi è nel panico del bisogno. Nei giorni che ti separano dalla chiamata di emergenza; dalla visita che non riuscirai ad avere a casa – perché i medici per quanto eroici sono in numero limitato – e potresti almeno avere in video, quasi sempre altrettanto efficace e certo molto più tempestiva; dal viaggio della speranza in ospedale che forse faresti meglio a non fare. In quei giorni, la rete tace.

Assediati da fakenews, informazioni contraddittorie e vaghe, manca l’autorevolezza della comunicazione del governo. Alla fine dell’ennesimo contenzioso tra sigle sindacali, sembrerebbe che l’unica cosa che puoi prenderti se sei positivo è una pasticca di tachipirina. E scegliere a che santo votarti. Ho scritto, e continuerò a ripetere, che la sfida che gli obsoleti nostri amati regimi democratici stanno affrontando è titanica. Ma non avere fatto niente per tappare le falle di comunicazione rischia di far crollare la diga del consenso. E la colpa, stavolta, non potremo darla ai populisti.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 23 novembre 2020).

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