L’ubriacatura del Conte Uno e del Conte Due, pur con le sue evidenti differenze di contenuto ci ha fatto dimenticare come si è arrivati a quella situazione paradossale. Un “non partito” fa man bassa in molte parti d’Italia e costringe i “partiti tradizionali”, quelli percepiti come “parolai” , “venditori di fumo”, “intellettualoidi” a ritirarsi in buon ordine. I numeri, al 2018, erano spaventosi, specie per ciò che restava dell’ “Ulivo” e dei vari patti di “centrosinistra”, ma – evidentemente – non furono sufficienti ad avviare un ripensamento sul “perché” dei fatti. Per quali motivi avviene uno scollamento fra “popolo” e “intellettuali”, fra quelli che vivono, lavorano (di solito), votano e chi dovrebbe rappresentarli in modo democratico? Ecco…saper rispondere a questa domanda ci porterebbe, se non proprio al di là del guado…, un pochino più vicini alla riva. Prima, però, è necessaria una ripassatina.
Il dato più clamoroso tra i risultati di allora fu certamente quello del Partito Democratico (PD). Nel confronto tra le elezioni politiche del 2013 e quelle del 2018 il partito di Renzi perse 2.613.891 consensi in valore assoluto, in punti percentuali, rispetto alla prestazione del 2013, alla Camera il PD ottenne 6,7 punti in meno. Anche se a chiudere la XVII Legislatura non fu più Matteo Renzi ma Filippo Gentiloni .
Il Movimento 5 stelle (M5s) aumento’ i propri voti di oltre 1,5 milioni, passando da 8.704.809 nel 2013 a ben 10.522.278. Una crescita di 7,1 punti percentuali (dal 25,5% al 32,6%). In modo assolutamente imprevisto il (nuovo) primo partito italiano, con una distribuzione dei consensi ampia sul territorio nazionale, sebbene con un maggiore insediamento nelle regioni del Centro-sud, crebbe del 20,9% sui valori assoluti delle precedenti elezioni politiche.
Anche il centro-destra ottenne una insperata vittoria. Infatti incrementò i consensi di quasi 1,9 milioni (da 10.109.065 nel 2013 a 11.998.879 nel 2018), ossia una crescita di 18,7 punti percentuali rispetto ai valori assoluti di cinque anni prima. Forza Italia (FI), che nel 2013 aveva perso quasi metà dei propri consensi sul 2008, continuò (allora) la discesa passando da 7.332.134 voti a 4.535.742, ossia una variazione negativa pari al – 38,1%. Viceversa, la Lega ottenne 5.634.577 consensi, incrementando i propri voti di oltre 4 milioni e triplicandoli rispetto al 2013. Un vero terremoto. La dimostrazione della novità assolutamente inaspettata che si manifestò poco più di tre anni fa, sta nel risultato di una indagine fatta da due dottorande della Statale di Milano (1) che riportavano su un campione di quasi mille persone “particolari” , pubblicato un mese prima delle Elezioni politiche del 2018 che suggeriva uno scenario del tutto differente. La “particolarita” del campione stava nel fatto che si erano intervistate sulle loro “tendenze politiche prevalenti” studenti, professori, operatori tecnici della “Bocconi” e della Statale stessa, aggiungendo a questi i membri e gli amici di tre fondazioni culturali storiche milanesi (in una prima fase, per la precisione, 766 studenti, nella seconda estesa agli altri). I risultati del sondaggio furono abbastanza sorprendenti: alla grande PD e Piu’ Europa, appena dietro qualche formazione “civica”, distanziatissimi gli altri, sia pentapopulisti, sia di destra o di piccole formazioni a sinistra. Con numeri rilevanti: ben il 60 per cento orientati su Partito Democratico e Europeisti (collegati, come è noto, ad alcune correnti del vecchio partito Radicale. Loro, i professori, i rampolli di ciò che restava della borghesia lombarda a votare i “migliori”, gli altri a cercare soluzioni utili a sbarcare il lunario o, in subordine, a vendicarsi tramite la Magistratura o neopolitici combattivi, di anni di soprusi e incomprensioni.
Calza a pennello l’articolo di Giulio Di Donato (2), uscito da poco che ci aiuta a far luce sulla dicotomia in corso: “Il divorzio fra “dottori” e “popolo”: la lezione (quanto mai attuale) di Ernesto Sábato” . Una disamina della crisi che “è ormai evidente sia sul piano economico che su quello politico e sociale” e che permette di paragonare l’Italia di questi ultimi anni all’Argentina dei tempi di Peron.
“La crescita delle diseguaglianze sociali, l’impoverimento e l’insicurezza delle classi medie, lo smarrimento di chi è privo degli strumenti economici e culturali per sostenere le sfide e i problemi del mondo globalizzato sono all’origine di un rancore sociale che frammenta la società e contesta radicalmente l’egemonia delle èlite politiche e intellettuali”. Frase che sentiamo dire molte volte, in giro per le città, in televisione, sui media, la cui gravità aumenta in parallelo con le spinte all’automazione elettronica. Con conseguenze gravi che , a partire dall’inizio del Millennio sono diventate sempre più evidenti. “Sul piano politico questo si traduce in una maggiore fluidità del corpo elettorale, che è meno prevedibile negli orientamenti, molto più disposto che non in passato a rinegoziare i vincoli di fedeltà a opinioni e scelte di campo, anche a costo di abbandonarli. Se fino a qualche decennio fa la competizione dei partiti per il potere avveniva in nome di valori e culture politiche collocabili al di qua e al di là del discrimine destra/sinistra, negli ultimi tempi lo scontro appare piuttosto dislocato tra l’alto e il basso, tra l’élite e il popolo, tra le forze politiche riconducibili all’establishment, al rispetto dei vincoli di compatibilità, e chi si percepisce invece fuori del recinto, nelle periferie del disagio e dell’esclusione”. Ma Di Donato va oltre, completando il suo quadro con altri riferimenti importanti. Suggerisce, per esempio la lettura di L’altro volto del peronismo di Ernesto Sábato, tradotto e curato da Alessandro Volpi per la Rogas Edizioni. Un testo da cui si resta colpiti dalla straordinaria analogia tra le questioni evidenziate dall’autore rispetto all’Argentina (3) del suo tempo e quelle con le quali ci troviamo a confrontarci oggi. “Il problema, nota giustamente Sábato, era che per le forze democratiche di sinistra (compresi comunisti e socialisti) il popolo di Perón non esisteva, e se esisteva era poco più che «immondizia», una plebe senza volto da consegnare «allo scherno, alla beffa, al bon mot mondano». La denigrazione delle masse e l’incomprensione dei fenomeni politici argentini furono di fatto i due tratti salienti del movimento antiperonista” . Sempre Di Donato nel suo intervento. Che va oltre…I popoli, sostiene Sábato, “non possono essere giudicati unilateralmente solo sul lato delle virtù razionali, della parte luminosa e pura, degli ideali platonici. Così lasceremmo fuori il lato forse più profondo della realtà, quello che ha a che vedere con i suoi miti, con la sua anima, il suo sangue e i suoi istinti”. Infatti in un Paese (l’Argentina) sconvolto da una serie cambiamenti sociali vertiginosi, come mai era accaduto prima in centocinquanta anni di storia, covava uno stato diffuso e profondo di risentimento, a cui si accompagnava “una precoce e amara perdita di fede nelle grandi parole e una dolorosa disillusione rispetto alla maggior parte degli uomini che gestivano la cosa pubblica”. La critica dello scrittore argentino alla élite della sua epoca suona di drammatica attualità se pensiamo alle classi dirigenti del nostro Paese, da tempo incapaci di ragionare in termini di interesse nazionale perché prigioniere, anche a causa di una condizione di separatezza dai ceti popolari, di un’interpretazione subalterna e acritica del cosiddetto vincolo esterno. Questo è un segno, direbbe Gramsci, del distacco tradizionale “degli intellettuali italiani dalla realtà popolare-nazionale”. Infatti, come abbiamo già notato, il contesto sociale descritto da Sábato rivela notevoli affinità con quello del tempo presente: le condizioni che allora determinarono l’affermazione di un populismo particolare, basato su gruppi di disoccupati e border line (i famosi “descamisados”) che potremmo ritrovare oggi negli abitanti disorientati di molte delle nostre periferie cittadine. Lo sa bene il neo segretario del PD Letta che non fa segreto delle telefonate ricevute poco più di un mese fa contenenti il leit-motiv del “se non cambiamo rotta alle prime elezioni importanti, il centro-destra, la meloni, Salvini, quel che resta di Berlusconi, stravincono”. Ma quale strada intraprendere? Bisognerebbe liberarsi da quello che sempre Gramsci chiama “l’errore dell’intellettuale”, che “consiste (nel credere) che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che “l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo (…) non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione”. Belle parole che fanno magari vincere un concorso o impressionare positivamente una folla gaudente ma che non sono adatte per il momento storico che stiamo vivendo. Se cinque o sei anni fa c’è stato questo segnale forte, semplicisticamente definito “antipolitica”, se l’erede del più importante partito della sinistra dell’Europa Occidentale ha subito una tale umiliazione, se sono cresciuti dal nulla “fenomeni” come i pentastellati che con il “faremo”, “vedremo” hanno incantato come il più classico dottor Dulcamara, ci deve essere una ragione. Una ragione vera. Solo andando a ritroso nel tempo si può capire dove si è perso il bandolo della matassa e come è iniziato il declino. Non è difficile. Gli anni dell’immediato post-miracolo italiano, quelli che vanno dagli anni Settanta agli anni Novanta dello scorso secolo sono stati , per l’Italia, gli anni dell’inizio del disfacimento. La Nazione ha perso fiducia in se stessa, nei suoi rappresentanti politici, ha permesso che fossero saccheggiate le sue risorse industriali primarie, svendute, smontate pezzo per pezzo in nome di una modernizzazione dei processi produttivi che non si è mai avviata. Una Nazione ostaggio del malaffare che, da notizia di cronaca nera locale, è riuscito a condizionare Sindaci, Università, Governi. Fino ad alcuni ricatti macroscopici come quelli costitutiti dagli attentati di Via dei Georgiofili (e altri) ad inizio anni Novanta. Una Nazione che si è chiusa in se stessa, è diventata diffidente, anche per i fenomeni abnormi e omidici del terrorismo e dello stragismo. Una Nazione che non ha saputo sfruttare il suo ruolo di cerniera tra est e ovest del mondo, tra nord e sud del Mare Mediterraneo. Una Nazione perennemente in ritardo su tutto e a ruota di qualcun altro, specie se di fede “atlantica”. Una Nazione che progressivamente si è mossa sempre più lentamente fino a fermarsi. L’aggancio con l’Europa dell’Euro sembrava poter essere l’occasione giusta per un rilancio ma una globalizzazione penalizzante per la penisola ed una serie di crisi economico-finanziarie ripetute, hanno fatto il resto. Ora Letta (e in un certo senso anche Mario Draghi) hanno un solo binario disponibile da percorrere: quello della sincerità e della chiarezza. Assumendosi le responsabilità delle scelte e facendo capire che una locomotiva del Ventennio (l’Italia di oggi) non può – subito – competere e mettersi in gioco con Motrici superveloci e con reti economiche, sociali, informatiche, rodate da anni di ricerca applicata e concretezza nelle realizzazioni. Un passo per volta, spiegando a tutti i cittadini che diversamente sarebbe peggio e che l’unica strada percorribile è quella. I dieci punti ricordati recentemente da Legambiente al mInistro della Transizione Ecologica Cingolani potrebbero aiutare ma si trovano a competere con chi chiede il ponte sullo Stretto di Messina e tutta una serie di grandi opere che nemmeno quando eranno state proposte negli anni Ottanta, avevano un senso. Letta (e Draghi) devono scegliere…e assumersi oneri e onori nelle scelte.
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.1. https://traileoni.it/2018/02/elezioni-4-marzo-i-risultati-del-nostro-sondaggio/
.2. “Il divorzio fra “dottori” e “popolo”: la lezione (quanto mai attuale) di Ernesto Sábato” . 28 Mar , 2021|Giulio Di Donato| Su https://www.lafionda.org/2021/03/28/il-divorzio-fra-dottori-e-popolo-la-lezione-quanto-mai-attuale-di-ernesto-sabato/
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