Su un interessante articolo di Aldo Garzia: la sinistra e la questione del partito

Aldo Garzia, storico militante del Pdup di Lucio Magri, ha scritto per Il Manifesto un importante commento sulla situazione della sinistra italiana. Il titolo dell’articolo è già un commento delle contraddizioni del dibattito fra le forze progressiste che vanno via via accumulandosi; ‘Il partito, quell’oscuro oggetto del desiderio’. Garzia ricorda come la discussione sulla crisi della forma partito data già dagli anni in cui vi fu la travagliata vicenda del gruppo del ‘Manifesto’. Magri e gli altri avevano già pubblicato in quei tempi, un importante inchiesta sulle trasformazione del grande partito di massa, sottolineando il fatto di come quella forma classica dell’agire pubblico scontava ritardi e perdeva collegamenti con il mondo del lavoro e con parti della società in inquieto movimento. La questione non è stata risolta in anni più recenti, come ricorda sempre Garzia, dai partiti della nuova sinistra, né dalle ipotesi neoavanguardiste di Potere Operaio né da quelle movimentiste e populiste di Lotta Continua. Inoltre, il tentativo proprio attuato dal Manifesto di dare una rappresentanza unitaria alla nuova sinistra, in alternativa al PCI, non è mai decollata realmente. Infine, l’editorialista si sofferma sui tentativi di rinnovare la formula del ‘partito di massa’ tentate dalla Rifondazione di Magri, Cossutta e Garavini e il partito dei movimenti sperimentato senza reale successo qualche anno dopo da Bertinotti. Personalmente ritengo che il PRC abbia oscillato continuamente fra due poli opposti, sfiancandosi in ultimo nel continuo moto pendolare, fra il tradizionale partito istituzionale e l’estremismo della piccola avanguardia giacobina – leninista o della rivendicata immediatezza della rappresentanza sociale dei gruppi più orientati verso pratiche neo – cooperativistiche. Il percorso animato dal PDS – DS ha invece, infine, portato al Partito Democratico attuale, ovvero l’organizzazione del leader e degli elettori, ente elitario predisposto a rappresentare tutti perché intimamente paternalista e governativo.

Garzia, e credo giustamente, ci avverte di come la crisi del partito della sinistra non può essere affrontato con ragionamenti astratti e con inutili petizioni di principio ne con nostalgie impossibili, perché è indispensabile comprendere come il fatto che siano cambiate le composizioni di classe e i modelli di comunicazione ha minato nel profondo le condizioni che avevano fatto prosperare le organizzazioni politiche del movimento operaio. Su questo sono d’accordo, per la salute del vecchio partito di massa hanno contato molto la pervasività e la potenza dell’industria culturale e le trasformazioni della scuola e dell’organizzazione del tempo libero. Inoltre, le modificazioni e le stratificazioni nuove delle classi subalterne hanno reso più difficile emanciparle e portarle alla coscienza e alla partecipazione politica. Tuttavia, detto questo, forse si può aggiungere ancora altro sul tema sinistra – partito. Tutta la modernità è fondata sulla relazione classi popolari e partiti, perché questi ultimi garantivano l’inclusione di queste dentro lo stato moderno, e lo stato moderno aveva come sua dinamica interna l’integrazione delle masse dentro la sua costituzione, dentro i suoi meccanismi di funzionamento. E’ all’interno di questo processo, che doveva essere inesorabile, di integrazione delle masse nella vita politica, che qualcosa si è guastato, qualcosa che determina un blocco dello sviluppo del progetto della modernità. Tutto questo ha a che fare con il ‘fallimento’ della prospettiva comunista, e qui parlo non della sconfitta del Comunismo ma del suo fallimento con cognizione di causa come dirò. La relazione partito – classe era fondante nel comunismo, e proprio su questo si è rotto quel rapporto fra il partito e i suoi dirigenti, e quella classe operaia che doveva essere autonoma e libera nelle decisioni su ciò che si doveva produrre e consumare, e quindi di conseguenza, dare vita ad una ‘nuova struttura democratica che coinvolgesse anche l’economico’. Purtroppo il rapporto fra partito unico della rivoluzione e la classe è rimasto gerarchico, non mediato da forme assembleare e democratiche; il comitato centrale restava il vero accentratore delle decisioni, la classe era il terreno della sperimentazione progettuale per fare la transizione da una società ad un’altra. Chiaramente, il rapporto fra classe e partito non poteva che spezzarsi ingenerando la sfiducia nel disegno dei comunisti fra le stesse basi popolari.

Questo significa allora che il partito riformista, di contro al partito rivoluzionario ovviamente, nella sue diverse versioni di partito piglia – tutto e governativo sia la risposta per la rappresentanza per le classi popolari? Io non lo credo per il semplice fatto che fra quel partito liberale e riformista e le masse si accentua il rapporto delegate e gerarchico per cui le masse partecipano poco o punto, e hanno solo il compito di confermare la delega al ‘sistema’ nei giorni della festa elettorale. In più, la strategia riformista non è in grado e non vede peraltro, come la società capitalistica brucia in fretta ogni possibilità di politica di compromesso sociale fra capitale e lavoro e tende a mangiarsi in questo modo le strutture portanti della democrazia.

Se le cose stanno così quale risposta?

Chi scrive non è in grado di dare una risposta a dilemmi così importanti e che impegnano così tanto intelligenze teoriche di prim’ordine e gli sforzi pratici di dirigenti e militanti appassionati e capaci. Mi sono limitato a cercare di cogliere dei nodi problematici che rendono veramente arduo superare con semplici atti di buona volontà il filo che si è spezzato fra partiti e le masse subalterne che ad essi avevano le loro speranze. Profondi fatti storici hanno modificato certe cose, eventi strutturali hanno determinato egemonie neo – conservatrici. La mia convinzione tuttavia è questa; che sia necessario un lungo processo politico storico per riannodare i fili di una fiducia e di un rapporto con le masse popolari che si è consumato prima e spezzato poi, e che lo strumento per percorrere questo tempo resta il partito di massa di integrazione delle classi subalterne, pur adeguato ai tempi e alle coscienze di classe modificatesi nelle condizioni attuali.

In ultimo mi preme annotare una significativa polemica che si è verificata nel Partito Democratico attorno al valore del tesserato all’interno della vita di un partito. Gianni Cuperlo ha stigmatizzato il fatto che un membro della segreteria del PD abbia affermato candidamente di non avere la tessera, quasi ritenendo ciò naturale. Se Cuperlo in merito a ciò si è posto la domanda su cosa sia ormai la organizzazione di cui è membro, Valter Verini, dirigente anch’egli democratico, gli ha risposto che il PD è fondato su iscritti e elettori in un ottica che privilegia ‘l’apertura’ massima dell’organizzazione al fine che essa non ristagni e soffochi vittima del correntismo.

Le argomentazioni di Verini mi hanno impressionato non poco; da un lato si afferma che la società deve poter partecipare all’interno di un partito non chiuso su se stesso, dall’altra non ci si domanda perché una struttura sempre più liquida come il PD non solo non attiri in sé nuove energie ma ne perda in continuazione. Il PD è ormai, sempre più, il partito ministeriale per eccellenza e non ha nulla da offrire a coloro che partecipano alla sua vita interna. Sfugge completamente al dirigente democratico come il tesserarsi ad una organizzazione è scegliere un campo ideale, una visione del mondo, uno stile di vita a volte. Il PD non ha un campo di valori definito, a parte la visione ideologica liberale che però il partito stesso non elabora più al suo interno, perché i grandi ‘facitori di pensiero’ hanno ‘le loro fabbriche’ del concetto al di fuori  dell’organizzazione medesima. Senza il senso di appartenenza nessuna militanza e nessuna iscrizione e dunque, partito fragile che è destinato ad essere perennemente un insieme di partiti e fazioni che utilizzano il corpo del partito per farsi portare dove meglio si crede o si ambisce. Un forte partito della sinistra rinascerà da programmi forti e da idealità chiare, diversamente non ci si deve stupire del motivo per il quale i giovani militino solo nel sociale e nel volontariato, e se di conseguenza, il nuovo PD di Letta assomiglierà drammaticamente a quello che abbiamo sempre visto all’opera.

Alessandria 06-04-2021

  Filippo Orlando

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