Nel mondo repubblicano romano, in particolare durante le guerre puniche, si sviluppò presso Roma quello che Sallustio definì metus hostilis.
Cosa è il metus hostilis?
Letteralmente, è il “timore del nemico”, la paura dell’avversario più acerrimo.
Annibale, in questo senso, rappresentò questo timore di Roma, soprattutto viste le numerose sconfitte di Roma contro il generale cartaginese: la battaglia del Ticino, quella della Trebbia, quella del Trasimeno e quella di Canne mostrarono al mondo intero di allora le criticità che colpivano la Repubblica romana e il suo esercito.
Da secoli si riconosceva il coraggio dei soldati romani (vedi ad esempio il fatto di Muzio Scevola contro il lucumone di Chiusi Porsenna, oppure il rispetto che Pirro aveva per il valore militare dei Romani…): eppure, Annibale fu capace di tenere sotto scacco l’esercito romano, senza però mai attaccare direttamente l’Urbe romana, fino a che Scipione l’Africano sconfisse il barcide a Zama nel 202 a.C.
Questa battaglia segnò in un certo senso il riconoscimento mondiale della potenza militare romana.
Roma da quel momento riuscì a far valere la sua forza a livello imperialistico, estendendo il suo controllo sul mondo conosciuto.
Nel 146 a.C., anno fondamentale per la Storia antica, Roma conquistò la Grecia e distrusse la città di Cartagine. Come ci racconta Polibio, Scipione Emiliano pianse vedendo la distruzione di Cartagine, immaginandosi la medesima fine per Roma…
Ecco, il concetto di “metus hostilis” si ripropose nel tempo anche per altri antagonisti di Roma, come, ad esempio, Spartaco, il gladiatore che guidò una grande rivolta di schiavi tra il 73 e il 71 a.C.
Spartaco, dopo la rivolta di Capua, dove era tenuto come gladiatore sotto il vigile comando del lanista Lentulo Batiato, decise di ribellarsi allo strapotere romano, guidando schiavi e liberi poveri contro l’esercito romano.
Come Annibale, Spartaco non attaccò mai Roma, la quale schierò nella battaglia decisiva, nei pressi del fiume Sele, l’esercito guidato da Marco Licinio Crasso: Spartaco morì combattendo fieramente (non come nello splendido film Spartacus di Stanley Kubrick, dove Spartaco viene crocifisso e vede la compagna con il loro figlioletto allontanarsi sulla via Appia dall’Urbe…), ma rimase, come Annibale, un mito, uno spauracchio contro cui Roma aveva paura di doversi riscontrare.
Tutto questo preambolo per significare come anche fino a pochi anni fa il concetto di metus hostilis si sia ripresentato nella Storia: la Guerra Fredda ha esemplificato perfettamente questo concetto nel conflitto fra USA e URSS, fra due blocchi con concezioni ideologiche opposte.
Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, gli Occidentali sentirono venir meno questo timore, che si concretizzò con la caduta dell’URSS nel 1991.
Hobsbawm ha descritto bene questo periodo, definendo il periodo fra il 1914 e il 1991 “il secolo breve”.
Oggi, sembrano ripresentarsi per gli Americani (e gli Occidentali) i fantasmi del metus hostilis: la Cina post-maoista e la Russia di Putin sembrano rappresentare un “esercito” in forte ascesa, ricco di risorse, capace di poter dominare l’Occidente con nuove “armi”…
La Cina, soprattutto, comunista a parole, di fatto notevolmente arrembante in ambito economico, nel mondo capitalista, si mostra al mondo (da anni) come avversario degli USA, come nuovo nemico, che rischia di annullare la definizione di Fukuyama di “fine della Storia”.
La Cina mischia socialismo e capitalismo, è un sistema talmente ibrido che è difficilmente definibile.
Di certo, possiamo asserire però che il metus hostilis sta tornando, forse più forte che mai, in un mondo della comunicazione rapida, della supremazia dell’immagine sul concetto.
Sinceramente, possiamo tranquillamente affermare che la “fine della Storia” non ci sarà neanche in questo periodo.
Finché ci saranno confini, limiti, restrizioni, conflitti, ci sarà bisogno di narrare la Storia, come esempio della condizione umana.
Dal mondo antico a quello contemporaneo, la Storia sarà materia fondamentale di studio: sarà il metro di valutazione del presente, guardando al passato, con una prospettiva importante per il futuro.
Marco Penzo
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