A quando una scossa?

“Il ministro Cingolani e tutto il governo italiano portino nella discussione europea sulla nuova tassonomia verde una posizione chiara e avanzata che non ceda alle lobby del gas fossile e del nucleare”

Con questo appello le direzioni nazionali di Greenpeace, Legambiente e WWF, intendono responsabilizzare le prossime scelte energetiche dei governi. Impresa meritoria e coraggiosa, al tempo stesso. L’appello, quasi un’invocazione, va al Draghi 1 ma sicuramente anche al Draghi 2 o a chi lo sostituirà. Oggi, comunque, il riferimento è ad una compagine di governo che non si capisce bene quali strategie chiare abbia in mente. O, meglio, gioca proprio sul rimandare le scelte che contano, quelle che potrebbero fare la differenza. Ed il comparto energetico è proprio uno di quelli.

Per prima cosa girano molti soldi; legami e interessi nazionali e sovrannazionali da settanta e più anni si stratificano su una società poco reattiva e, sostanzialmente, disinteressata… “Basta che ci diano il caldo d’inverno”, “fateci andare in macchina dove vogliamo”, “usiamo tutti le devices possibili”, anche se non abbiamo nemmeno il tempo di impararne l’uso appropriato. Ma così va il mondo. L’ “Energia” è un dato scontato. Figuriamoci  se qualcuno metterà in discussione quelle che sono delle necessità ovvie per tutti….come l’andare dal tabaccaio nell’isolato a fianco con tanto di SUV dai vetri oscurati oppure a prendere la nipotina con la Cinquecento abarth fin dentro l’atrio della scuola. L’ ”Energia” è qualcosa che non può mancare, neanche per qualche secondo… “altrimenti la lettera via posta elettronica certificata alla nonna di Frascati, come faccio a inviarla?” Già…un bel problema.

Uno studio recentissimo (28 dicembre 2021) di Federconsumatori ha assegnato per gli acquisti collegati al comparto energia  (dai telefonini di ultima generazione, ai tablet, alle auto elettriche/ibride, fino a motociclette e auto a trazione tradizionale, agli elettrodomestici grandi e piccoli, utili e inutili…) il posto numero due, immediatamente prima dei capi di abbigliamento e dopo l’intoccabile  settore alimentare (e collegati). Un giro di acquisti stimati tra i 250 e i 270 miliardi di euro solo per il periodo ottobre-dicembre 2021. Con relativo aumento dei consumi nazionali di una percentuale tra l’1,6 e l’1,8 rispetto alla primavera 2021 (quindi in periodo già meno influenzato dalla flessione covid). Il tutto in  un quadro complessivo desolante. Decine, se non centinaia sono state le sollecitazioni dell’Europa, prima, e del Governo italiano, poi, indirizzate ai Presidenti delle Regioni  perché predispongano, in qualche caso, correggano (quasi tutte) e, soprattutto, mettano in pratica quanto da loro stesse stabilito negli obbligatori piani energetici regionali. Niente, o quasi. Si continua come se niente fosse. Con un sistema basato ancora per la maggior parte su due capisaldi, che hanno visto la loro migliore stagione nel periodo del boom post seconda guerra mondiale: idroelettrico e fonti fossili. In tutte le forme possibili e con tutte le innovazioni accessibili, per mitigare gli impatti visivi e ambientali. Sono ancora queste due grandi ruote a far muovere il carro Italia. Le piccole ruotine possono giusto far bella mostra di sè (dall’eolico, al solare, al termico, alle biomasse, ecc.) senza però essere percepite come fondamentali. Questa la realtà . Dovuta soprattutto, e qui sta il nodo del problema, a scelte industriale conservatrici che sono all’origine delle cautele mostrate in mille frangenti dai vari governi, non solo dall’ultimo.

Negli anni Settanta dello scorso secolo, ci si rese conto che non si poteva più andare avanti con quelle “ruote” e si cercarono vie nuove. L’assassinio Mattei (perché di assassinio si trattò) fece capire in pieno boom economico italiano , quali erano le poste in gioco, ponendo di fatto paletti ben definiti alla nascente ENI. Così come le crisi ripetute di inizio anni Settanta, culminate nei forti rincari dei prodotti petroliferi del settembre 1973, fecero capire che l’industria italiana, prima ancora del decisore politico, avrebbe dovuto imboccare strade nuove e vincenti. Purtroppo non fu così. Con il CNEN (il comitato a controllo pubblico appositamente pensato per l’incentivazione dell’energia nucleare) ci si inoltrò nella strada senza uscita del “nucleare di fissione PWR” cioè ad acqua pressurizzata; si costruirono centri di ricerca, anche importanti e si semplificarono gli iter amministrativi per la costruzione di alcune centrali nucleari, fra cui quelle di Caorso (PC) e di Trino (VC), ma tutto finì lì. Dopo una decina d’anni, con problemi di ogni tipo, gestionari, organizzativi, di sicurezza, di competitività rispetto ad altre filiere, si decise di soprassedere. O, per la verità, si cercò di rilanciare, complici i governi di centro e  centrosinistra di allora, con nuove “PWR” Westinghouse che trovarono nell’opposizione di tecnici, di Università, di Sindaci e di intere popolazioni, ostacoli insormontabili. Culminati con il referendum perso dall’establishment filonucleare nel 1987. Da allora, però, il nulla (o quasi). Evidentemente il mondo industriale che conta non ha interesse  a variare sostanzialmente i sistemi di produzione energetica, perpetuando la restaurazione delle “vecchie” ruote “fossili” e “idroelettriche” che, comunque, stanno in piedi. Non si sa per quanto, ma stanno su. Proprio qui dovrebbe agire la “Politica” quella con la “P” maiuscola. Americani, Tedeschi, Francesi, Russi, Cinesi (e centinaia di altri governi) nonostante le apparenze ancora più o meno legate al “moloch” nucleare, stanno pensando in grande. Decuplicano gli investimenti per l’eolico, per il solare, per l’energia delle onde, per il geotermico dove possono, cercano anche nuove forme razionali e non pericolose di energia, come quella fornita dalla celle di calore ad origine idrogeno. Studiano, diversificano, danno finanziamenti, controllano il buon uso degli stessi, giungono in tempo ai molti bandi proposti a livello europeo, si danno da fare. Noi no. Sempre con il carrettino a due ruote, lemme lemme,…finchè tiene.

A quando una scossa?

Segue il bel documento (in forma integrale) elaborato dalle dirigenze di Greenpeace, Legambiente e WWF:

 

“Invece di continuare ad alimentare un dibattito sterile sul nucleare, una tecnologia di produzione di energia superata dalla storia, surclassata da tecnologie più mature e competitive che usano fonti rinnovabili, sarebbe auspicabile che il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani e tutto il governo italiano si facessero portavoce, nella discussione europea sulla nuova tassonomia verde, di una posizione chiara e avanzata che non ceda alle lobby del gas fossile e del nucleare, così come hanno fatto altri governi, per esempio la Spagna. Le nostre associazioni, come le numerose imprese italiane dell’economia avanzata e verde , non possono accettare un posizionamento italiano di retroguardia a proposito della nuova tassonomia green, così come le timidezze dimostrate sulle urgenti semplificazioni per decuplicare la potenza annua installata di rinnovabili, sull’approvazione del nuovo Pniec in linea con il nuovo obiettivo europeo per ridurre del 55% i gas climalteranti entro il 2030, sul taglio dei sussidi alle fonti fossili che neanche la legge di bilancio appena approvata ha praticato. Ci aspettiamo dall’esecutivo Draghi  una presa di posizione chiara, in linea con i mandati referendari e con gli impegni sul cambiamento climatico, per contribuire a fermare lo snaturamento della tassonomia verde,  che rischierebbe di essere un grave autogol europeo in evidente contraddizione con l’impostazione del green Deal”, questa la posizione di Greenpeace, Legambiente e WWF rispetto alla proposta avanzata dalla Commissione di inserire il nucleare e il gas naturale all’interno di una lista di attività economiche considerate sostenibili dal punto di vista ambientale e alla risposta che l’Italia dovrebbe dare in merito.

Le associazioni ricordano che da mesi è in corso in Italia un dibattito surreale sul cosiddetto nucleare di quarta generazione, favoleggiato da decenni senza nessuna reale novità tecnologica,  e sui piccoli reattori modulari – ancora in fase sperimentale – partito dalle dichiarazioni inopportune del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che hanno distolto l’attenzione sulle tecnologie che usano le fonti rinnovabili già a disposizione sul mercato, che sono in grado di produrre elettricità a costi di gran lunga inferiori senza emettere anidride carbonica, né produrre scorie radioattive o aumentare i rischi di incidenti catastrofici.

“Si è discusso in modo vacuo dei rincari in bolletta, da alcuni paradossalmente addebitati alla transizione ecologica, senza puntare il dito sulla vera causa da ricercare nella eccessiva dipendenza del nostro Paese dall’uso del gas e nei ritardi nell’esecuzione del Green Deal, come ha fatto giustamente notare il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans. Ora sentiamo parlare – continuano Greenpeace, Legambiente e WWF – di un fantomatico referendum per tornare al nucleare e vale la pena ricordare che nel nostro Paese questo strumento serve solo per abrogare norme, come è stato fatto con grande successo nel 1987 e nel 2011 quando, per ben due volte, i cittadini del nostro paese si sono espressi chiaramente contro la produzione elettrica dal nucleare. Tornare a parlare di nucleare è un esercizio davvero inutile, nei tempi di risposta alla crisi climatica, nel contributo dato alla produzione di elettricità e nella riduzione del costo in bolletta”.

I reattori di quarta generazione, al centro di programmi di ricerca in corso da 20 anni senza grandi risultati, sono del tutto fuori gioco rispetto alla data di riferimento del 2030. Occorre invece accelerare subito sul taglio delle emissioni: i nuovi obiettivi europei per il clima, a cui l’Italia deve attenersi, prevedono un taglio del 55% delle emissioni di gas climalteranti (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, e la neutralità climatica entro il 2050.

Al netto di tutti i problemi irrisolti legati alla produzione di energia dall’atomo con la costruzione di centrali nucleari di terza generazione, l’unica attualmente disponibile (la sicurezza delle centrali, lo smaltimento definitivo delle scorie, il decomissioning degli impianti chiusi, il costo di produzione per kilowattora), investire in questa forma di produzione di energia come contributo alla lotta ai cambiamenti climatici, sarebbe una scelta assolutamente contraddittoria con l’urgenza negli interventi di riduzione delle emissioni climalteranti, ribaditi anche nei rapporti dell’IPCC, per contenere il riscaldamento globale a 1,5°C.

Inoltre, considerando i programmi di dismissione di centrali nucleari costruite nel passato, i progetti di nuovi impianti di terza generazione in varie parti del mondo (soprattutto Cina e India) non hanno le dimensioni per portare significativamente al di sopra del 2% la quota di consumi finali d’energia oggi spettante al nucleare. In Europa il peso del nucleare è caduto dal 17% al 10% dei soli impieghi elettrici, mentre i nuovi reattori di terza generazione faticano a vedere la luce nei paesi in cui sono in costruzione: i ritardi nella conclusione dei cantieri e i relativi costi sono aumentati enormemente rispetto alle stime iniziali, come da tradizione dell’industria nucleare civile.

Anche sul fronte dei costi della bolletta, puntare sul nucleare sarebbe un vero suicidio. Nei decenni i costi del nucleare sono saliti sempre di più, mentre quelli delle rinnovabili sono scesi a livelli sempre più bassi. Oggi il kWh di energia elettrica prodotto dal nucleare costa molto di più dell’energia prodotta dal fotovoltaico o dall’eolico: secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l’eolico 4, con nuovi impianti nucleari 16,3.

 

L’Ufficio stampa di Legambiente: 3496546593

L’Ufficio stampa del WWF Italia: 334 6151811

L’ufficio stampa di Greenpeace: 348.7630682

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*