Eccoli, finalmente, i partiti. Tornati sulla scena a riprendersi lo scettro che i tecnici – e i mercati – gli avevano momentaneamente sottratto. Spetta a loro l’iniziativa, la sapiente arte della mediazione, e la brusca impennata che indica chiara e lampante la soluzione. Peccato che l’unico segnale che ad oggi si intravede è il caos. La babele delle alleanze, dei nomi fatti solo per essere bruciati. Uno spappolamento che è lo specchio di una realtà che già conoscevamo. Partiti senza identità, poli che non si sa chi e come ricomporre. Quella stessa realtà per la quale era stato chiamato Mario Draghi a riprendere il timone e la rotta di un paese incagliato, e smarrito. Se al posto di Palazzo Chigi si mette il Quirinale, il risultato dell’equazione non cambia. Nelle mani dei partiti il prodotto resta il caos o – se preferite – il caso.
La pantomima della candidatura annunciata e clamorosamente autoaffondata di Berlusconi è stata il sigillo di questo vuoto della politica sulla scena italiana. L’inventore della Seconda Repubblica ha rivendicato il diritto di decretarne ufficialmente la fine. Cristallizzandone i frammenti, i cocci. Due coalizioni che fanno fatica a delineare i propri confini, per non parlare delle presunte leadership. Incapaci di prendere il bandolo di una crisi che non sanno affrontare, continuano a ripetere il mantra di un candidato di altissimo profilo. Sapendo solo che il loro unico interesse è di tenere fuori dal Colle colui che ne avrebbe i requisiti, ben visibile di fronte a loro, e a tutti i cittadini italiani.
La beffa che si aggiunge al danno è che niente di tutto questo ci sorprende. Sappiamo bene lo stato comatoso in cui versano i nostri partiti. E siamo tutti altrettanto consapevoli che il Quirinale è oggi l’ultimo baluardo di un sistema a rischio di implosione. Un baluardo che la Costituzione ha messo a protezione e salvaguardia del paese proprio nelle condizioni estreme che oggi si sono verificate. Consentendo che i poteri del Colle – normativi, comunicativi, di leadership – si amplino per affiancare i partiti quando smarriscono la capacità di indirizzo e stabilizzazione dei complessi meccanismi istituzionali che regolano la nostra democrazia. Come i giuristi hanno più volte ripetuto, un semipresidenzialismo di fatto che rispecchia rigorosamente il dettato dei nostri Padri fondatori.
Se questa è la realtà – e tutti sanno che questa, piaccia o non piaccia, è la realtà – l’unico modo per arginare l’espansione dei poteri del Colle è ridare forza e autorevolezza ai partiti. Non a chiacchiere, con le rivendicazioni di principio che abbiamo ascoltato in questi giorni negli sproloqui dei talk-show. Ma con un processo lungo e faticoso di rifondazione dei partiti che – purtroppo – nessuno intravede all’orizzonte. Per il medesimo sillogismo, l’idea che in queste ore si affaccia di far sedere sullo scranno più alto il più inoffensivo dei Carneade equivale, letteralmente, a proporre un’eutanasia della nazione.
Conchiuso il rito di un’elezione farlocca, l’Italia tornerebbe in balia della stessa impotenza che ha costretto, solo un anno e mezzo fa, il Capo dello Stato a intervenire draconianamente nominando ex-imperio un suo Premier. Con l’aggravante che non ci sarebbe Mattarella con la sua autorevolezza a sbrogliare di nuovo la matassa. E le prossime elezioni alle porte – incerte come mai lo sono state nella storia repubblicana – renderebbero per il nuovo presidente la matassa ancora più ingarbugliata.
È vero, siamo solo agli inizi di una partita molto lunga. Ma la posta in gioco altissima impone di non usare mezzi termini. Se dalla debolezza dei partiti dovesse nascere la debolezza del Colle, ci troveremmo ad un tornante storico. Un paese che si è indebitato per le prossime due generazioni non può consentirsi di giocare a dadi con il proprio futuro. Per i prossimi sette anni, il Quirinale sarà il luogo in cui l’Italia e l’Europa dovranno trovare il simbolo e la garanzia istituzionale della propria reciproca fiducia. È bene non dimenticarlo quando dai conciliaboli inconcludenti si passerà alla responsabilità del voto.
di Mauro Calise.
“Il Mattino”, 24 gennaio 2022.
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