Situazioni che si ripetono nel tempo e che ci fanno capire che, dopo il 2010, ma forse anche prima, qualcosa nel nostro sistema dei partiti, negli equilibri e le competenze che legano le due Camere, nello stesso bilanciamento dei poteri…qualcosa è successo. E non è più possibile girare la testa dall’altra parte. L’elezione di Sergio Mattarella è la celebrazione dell’attendismo, una fase della vita politica che attende tempi migliori, quasi una “nuova e fresca stagione” per potersi pienamente esprimere. In sostanza, rimanendo alla metafora, dal 1948 al 2008 siamo stati parte di una matura zione equilibrata delle cose, con tutti i tasselli al loro posto, più o meno graditi a seconda delle convinzioni di parte. In tre o quattro anni tutto è cambiato, portando il sistema democratico verso la paralisi. Cittadini votanti che protestano col non voto o con scelte antisistema (non residuali) con di fronte altri cittadini arroccati sulle posizioni dei partiti tradizionali, al punto da fondersi in improbabili alleanze, affidabili come le foglie d’autuno. Di qui la rilettura di questa pagina dell’enciclopedia Treccani. Troveremo analogie inquietanti e, anticipati di una decina d’anni, gli stessi interrogativi di oggi. Buona lettura (n.d.r.)
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Rielezione del Capo dello Stato
La rielezione – il 20.4.2013 – del Presidente Napolitano rappresenta un fatto senza precedenti nella storia della Repubblica. Al riguardo, l’art. 85 Cost. si limita a disporre che «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni», senza contenere alcun limite alla possibilità che il Capo dello Stato, alla fine del suo mandato, venga rieletto alla carica. Sebbene non siano mancate, sia in ambito scientifico che in ambito politico, proposte di introdurre il divieto di rielezione, la questione sembra doversi affrontare nel concreto svolgersi dell’esperienza costituzionale italiana. In questo senso, la rielezione del Presidente della Repubblica è parsa un’eventualità legata a circostanze eccezionali: difatti, sino a quella di Napolitano, non ci sono stati casi di rielezione.
1. La ricognizione. Rieleggibilità e disegno costituzionale
La rielezione – il 20.4.2013 – del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rappresenta un fatto senza precedenti nella storia della Repubblica.
L’art. 85 Cost. si limita a disporre che «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni», senza contenere alcun limite alla possibilità che il Capo dello Stato, alla fine del suo mandato, venga rieletto alla carica1.
Il dibattito in seno all’Assemblea costituente a proposito (della durata e) della rieleggibilità del Capo dello Stato fu lungo e complesso. Nel dicembre 1946 la Seconda Sottocommissione affrontò il problema prevedendo che il Presidente delle Repubblica, dopo un settennato, non avrebbe potuto essere rieletto. Tuttavia nel testo finale approvato dall’Adunanza plenaria nel gennaio 1947 si perse ogni riferimento espresso al divieto di rieleggibilità, non impedendo, ove necessario, la rielezione di un Presidente della Repubblica che si fosse dimostrato unico possibile garante della Costituzione.
Della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica si è discusso molto.
La questione è stata addirittura fatta oggetto di un messaggio che il Presidente della Repubblica Antonio Segni inviò alle Camere il 17.9.1963 per sollecitare il Parlamento, tra l’altro, a introdurre in Costituzione il principio della non rieleggibilità immediata del Capo dello Stato.
Tuttavia i disegni di legge di modifica costituzionale che seguirono tale messaggio non furono approvati. Tra quest’ultimi si deve senz’altro ricordare la proposta presentata dalla Commissione per le riforme istituita nella IX Legislatura (cd. Commissione Bozzi), favorevole all’introduzione del divieto espresso di rielezione immediata del Presidente. Negli anni successivi Carlo Azeglio Ciampi, in merito a una sua possibile rielezione, affermò che il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana.
La ratio di tale impostazione sarebbe quella di evitare che l’organo personale al quale la Costituzione assicura il mandato più lungo possa detenere una quota rilevante di poteri – di influenza, mediazione, regolazione – per un periodo di tempo tanto lungo. Siffatta esigenza di equilibrio nei rapporti fra poteri ha di fatto portato al consolidamento, nella prassi repubblicana, di una norma consuetudinaria in forza della quale la rinnovazione del mandato, seppure non vietata, potrebbe ritenersi non opportuna. Una consuetudine, questa, ribadita proprio da Giorgio Napolitano che – richiamando l’opinione di Livio Paladin – ha rammentato che la non rielezione è «l’alternativa che meglio si conforma al modello costituzionale di Presidente della Repubblica»2.
2. La focalizzazione. La rielezione di Giorgio Napolitano
Il 20.4.2013 Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica con un’ampia maggioranza (738 voti su 1008 aventi diritto).
La trattativa sul Quirinale si inseriva in un contesto storico e politico certo non semplice, intrecciandosi con il negoziato sulla formazione del nuovo Governo e producendo un’ampia dislocazione delle forze e degli interessi politici.
Il Partito democratico (PD) aveva tentato dapprima l’accordo con il Popolo della libertà (PDL), lasciando cadere la proposta del Movimento 5 stelle (M5S) di votare Stefano Rodotà e candidando Franco Marini. Ma nella prima votazione l’ex Presidente del Senato riportava soltanto 521 voti (molti meno di quelli di cui avrebbe dovuto disporre sommando i voti dei due partiti che avevano raggiunto l’accordo) e la sua candidatura veniva perciò abbandonata.
Dopo due scrutini interlocutori, veniva proposto dal PD Romano Prodi, il quale riportava al quarto scrutinio 395 voti, ben 109 in meno di quelli necessari per raggiungere la maggioranza assoluta ed essere eletto.
Esclusi così due fra i candidati più autorevoli, il PD si trovava nella (difficile) situazione di non poter appoggiare la candidatura di Rodotà senza perdere la sua ala moderata, né ritornare a trattare con il PDL su un nuovo candidato gradito al centro-destra.
L’unica soluzione possibile pareva una scelta interlocutoria. In quest’ottica, solo la riconferma di Napolitano avrebbe evitato ulteriori lacerazioni in un partito sfibrato da rivalità interne e diviso sulle politiche di alleanza e, di conseguenza, sui singoli candidati al Quirinale che incarnavano le diverse possibili opzioni di Governo.
La scelta di confermare Napolitano – nonostante il limite oggettivo dell’età del Presidente (87 anni) – preludeva a un Governo di larghe intese (Governo Letta – XVII legislatura) che sanciva la crisi profonda del sistema politico e dei partiti.
3. I profili problematici. La rielezione è un caso eccezionale?
La questione della rieleggibilità del Presidente della Repubblica può in astratto prestarsi a interpretazioni opposte3.
Il divieto potrebbe essere giustificato dall’esigenza di uno svolgimento più corretto e imparziale delle funzioni, ma allo stesso tempo, sottolineando l’alterità del Presidente rispetto al sistema delle forze politiche, potrebbe produrre un notevole rafforzamento del suo ruolo. Per ragioni inverse, ammettere la rieleggibilità potrebbe essere considerato un mezzo per sottomettere il Presidente alla volontà delle forze politiche ovvero potrebbe significare il riconoscimento di una sua responsabilità politica e, dunque, della titolarità di poteri politici autonomi.
Sebbene non siano mancate circostanze in cui l’ipotesi della rielezione sia stata effettivamente posta nel dibattito politico, la prospettiva di una rielezione del Presidente della Repubblica è comunque parsa un’eventualità piuttosto remota, legata a circostanza di carattere eccezionale (difatti, sino a quella di Giorgio Napolitano, nella prassi costituzionale italiana non ci sono stati casi di rielezione).
Contro questa ipotesi gioca, del resto, anche la lunga durata della carica: in caso di rielezione, infatti, il Presidente resterebbe in carica per ben quattordici anni, un periodo di tempo che nella vita istituzionale può essere considerato come effettivamente molto lungo.
Sebbene negli anni non sono mancate, sia in ambito scientifico che in ambito politico, proposte di introdurre il divieto di rielezione, la questione sembra doversi affrontare nel concreto svolgersi dell’esperienza costituzionale del nostro Paese. Considerando che il Presidente ha indubbiamente assunto, soprattutto in alcuni decisi passaggi istituzionali, un ruolo politico non secondario, stabilire la sua non rieleggibilità potrebbe difatti suscitare qualche preoccupazione. Da un lato infatti, si correrebbe il rischio «di irrigidire inopportunamente la vita politica, impedendo la rielezione magari di quell’unico soggetto che sulla base dell’esperienza passata, ha guadagnato la fiducia di tutte le principali forze politiche»; dall’altro potrebbe significare sancire la totale irresponsabilità politica del Presidente «eliminando anche quel possibile ed eventuale giudizio di responsabilità connesso alla rielezione o mancata rielezione»4.
Note
1 Cfr. Petrangeli, F., Art. 85, in Celotto, A.-Bifulco, R.-Olivetti, M., Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, ad vocem.
2 Cfr. Paladin , L., voce Presidente della Repubblica, in Enc. dir., Milano, 1985, ad vocem.
3 Cfr. Volpi, M., Considerazioni sulla rieleggibilità del Presidente della Repubblica, in Silvestri, G., a cura di, La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1985, 502 ss.
4 Così Rescigno, G.U., Art. 85, in Branca, G., a cura di, Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979, 64 ss.
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